di Iannozzi Giuseppe
L’ultima volta hanno tentato di farmi fuori in quattro. Si sono sparati davanti a me con le loro mazze da baseball per farmi la festa. Ho sudato freddo, ma non m’hanno beccato. Non si aspettavano che reagissi. Gli ho menato un calcio volante in faccia. Devo avergli spaccato il setto nasale a quello che ho beccato. Sanguinava come un porco. Gli altri tre non si erano resi conto che il loro compare era andato. Poi me la sono data a gambe. Mi sono stati dietro nemmeno due minuti, e sono stramazzati al suolo mezzo infartati. Il fumo t’ammazza prima del tempo. Me li sono lasciati alle spalle rossi e ansimanti.
Non li conoscevo. Mai visti prima in vita mia. Posso però dire che ho tanti nemici con il lavoro che faccio. E’ che sono uno di quei detective privati del cazzo.
Com’è cominciata? Ero uno dei tanti disoccupati a zonzo per la città, uno senza né arte né parte. A quarant’anni vivevo ancora con la mia vecchia e mi sporcavo le mani solo per andare a fare la spesa al supermarket. Le massaie mi guardavano in tralice manco fossi un appestato. In cuor mio le mandavo a quel paese, filavo dritto o portavo arroganza intrattenendomi a litigare con loro o anche a spettegolare. Ero una checca, diciamoci la verità. Nel carrello della spesa ci finiva sempre un diavolo di giallo da quattro soldi. Ho sempre letto thriller e gialli, ne ho una collezione pazzesca. Sono venuto sù a forza di latte e gialli in edizione supereconomica. Mi sono arrangiato in lavoretti da niente facendomelo sbattere in quel posto dai padroni per quattro lire. Una checca, nient’altro che questo. A mia discolpa posso dire che ho sempre avuto una speciale attitudine per mettere a posto i danni lasciati dagli altri, anche nel lavoro. I padroni mi prendevano perché mettessi a posto le grane, poi un calcio in culo e tante grazie. L’ultimo giorno di lavoro in una cazzo di fabbrica di stampi in plastica esco con la paga in saccoccia, poco più delle vecchie quattrocentomila lire. Mi ci sarei potuto pulire il culo per due settimane, niente di più. Coi soldi in tasca pensavo a come impegnare quella miseria che m’ero meritato. Raggiungo la fermata del bus. Mi siedo sotto la pensilina. E’ già buio e la luna ulula in cielo dietro una cortina di nuvole di smog. Un venticello del piffero mi sferza la faccia. All’improvviso sono cieco. Mi trovo la faccia raccolta in un volantino. Incazzato marcio me lo levo dal naso e faccio per strapparlo, ma faccio prima in tempo a leggere “Diventa anche tu un detective privato!”. E’ così che tutto è iniziato. Un corso di sei mesi e m’hanno fatto detective. Non mi sono mai chiesto se il corso fosse valido o no, ma fare il detective mi piace e mi dà da campare, bene anche, devo solo fare attenzione alle teste calde che vorrebbero farmi la pelle.
Ho messo ufficio in un garage. Ho un telefono cellulare, quasi sempre senza credito, ma le chiamate le riceve. Quando mi ricordo gli do una botta da 5 euro per non farmi cancellare il numero. Ho anche un tavolaccio da calzolaio compreso nell’affitto per il garage, e un portapenne con una penna rossa e una nera più una matita. Alla parete un calendario scaduto da secoli, ma fa la sua porca figura: è pur sempre un Pirelli. C’è una giovanissima Monica Bellucci che mi spia: che potrei desiderare di meglio?
Mi occupo di casi del cazzo, nel vero senso della parola: i miei clienti si rivolgono a me per sapere se la moglie tradisce il marito e viceversa. A me tocca di trovare le prove, e una volta che becco una moglie infedele o uno sciupafemmine scatto qualche foto compromettente. E’ anche divertente, meglio che andare in un cinema porno per poi spararsi una sega in un cesso pieno di finocchi. Uomini e donne tradiscono alla grande, ci danno dentro come assatanati: la vita gira intorno al cazzo e alla figa, ladies and gentlemen.
A forza di scattare foto di mariti cornificati e di mogli puttane i nemici non possono che venir sù a grappoli. I delitti passionali sono la maggior parte: si uccide per due motivi, per passione o per soldi cioè per il potere. Una volta che un detective ha capito questo ha capito che ha da guardarsi le chiappe sempre punto e basta. Non accetto casi di persone scomparse: non fanno per me, sono una perdita di tempo. Se uno scompare è perché o è morto ammazzato o perché gl’è passato per la testa di farla finita con la sua vecchia vita. Non val la pena cercare chi scompare, non per un detective che vuole guadagnare e che ha letto gialli del cazzo per metà buona della sua esistenza.
L’altro giorno è venuta da me un gran figa. Una che non avrebbe sfigurato a confronto con la Kim Basinger di Nove settimane e mezzo. E’ entrata e ha portato con sé un effluvio di rose che mi ha fatto subito girare la testa. Mai vista una femmina così. Mi ha raccontato d’esser sposata con un poeta. Le ho chiesto chi fosse il poeta, lei ha sospirato e ha fatto nome e cognome. Io non ci capisco un’acca di poesia, figurarsi se conosco i poeti! In ogni modo mi ha spiegato che suo marito pubblicava sù alcune riviste di settore. Ho capito che era un fallito. Il mondo è pieno di poeti e di giallisti con le pezze al culo che pubblicano sù improbabili riviste di settore che alla fine non se le caga nessuno. Anna, la mia cliente, mise subito le cose in chiaro, non poteva pagarmi ma voleva sapere se il marito si vedeva con qualcuno. Mi offrì in pagamento un anello. Rifiutai. Non mi sono mai profittato delle donne in difficoltà. Le dissi che avrei seguito il marito perché il caso m’intrigava. Le rimisi l’anello al dito. Lei lasciò scivolare alcune lacrime silenziose sul suo bel viso. Le perle che piovvero così delicate sul suo volto angelicato mi commossero. Un detective non dovrebbe commuoversi in nessun caso, è la prima regola da seguire. Io la infransi con consapevolezza accettando di finire magari in chissà quali casini.
Non fu difficile beccare il marito di Anna. Non so ancora darmi spiegazione di come una donna bella come Anna avesse finito con l’innamorarsi d’un simile essere inutile. Lo beccai in un circolo di sedicenti poeti. Calvo come una palla da bowling, una lunga barbaccia marxista, naso aquilino, vestito in nero convinto forse che un simile abbigliamento gli avrebbe conferito l’aria del ‘maledetto’. Sarà stato alto non meno d’un metro e novanta. Ma in quel poveraccio con le pezze al culo l’altezza fisica era la sola e unica bellezza. Entrai nel circolo, ovviamente aperto a tutti, spacciandomi per un poeta. Nessuno fece domande. Una lampadina da cento candele illuminava il locale. Delle sedie in plexiglas e poco altro, una piccola libreria con dei libretti ingialliti dal tempo addossata a una delle pareti. Sembrava d’essere a un funerale, ma senza il morto da piangere e maledire per l’eternità.
Passai un paio d’ore in quel buco costretto a sorbirmi la loro stronza poesia. Ad un certo punto il cerchio si stringe, il marito della mia cliente mi indica con gli occhi, poi alza la mano e mi punta contro l’indice. Cazzo, tutti avevano declamato una poesia e adesso io avrei dovuto fare altrettanto. Tirai fuori un biglietto, la lista della spesa. Non so perché lo feci. Glielo lessi tutto, di filato. Un silenzio di piombo cadde sugli astanti, mentre io ero già pronto a squagliarmi oramai certo che quella sarebbe stata la mia prima e ultima performance al circolo. Ed invece prima un applauso, un applauso forte e scrosciante, poi lacrime, sì, proprio lacrime. Erano rimasti commossi dalla lettura della mia lista della spesa. E invidia anche: quegli idioti mi avevano eletto Apollo, sommo cantore della buia realtà odierna.
Anna tornò nel mio ufficio qualche giorno dopo, bella e impossibile, e sempre troppo innamorata del marito poeta.
Le raccontai la verità, null’altro che la verità.
“Non ha da preoccuparsi, suo marito non la tradisce, glielo posso assicurare.”
“Lei sembra esserne così certo!”
Notai subito che mi credeva e che al tempo stesso sentiva come il bisogno di sentirsi dire che il suo uomo la tradiva.
“Ho seguito suo marito e contro di lui non ho trovato niente di niente. Passa il suo tempo al circolo declamando… poesie.”
“E non ci sono donne al circolo?”
”Più piatte d’un asse da stiro. E in ogni caso suo marito le disprezza per quello che scrivono. Le bastona apostrofandole con tanti epiteti…”
“E come le chiamerebbe?”
“Liala, soprattutto.”
“E che mi dice degli uomini?”
Tossii divertito. “Mi spiace, suo marito non è gay. Là dentro si crede un Dio, un gran presuntuoso a dirla tutta.”
“E’ sempre stato così.”
“Gli è però piaciuta la mia lista della spesa!”
Anna si scompose sulla sedia manco l’avesse morsa una tarantola. “Si spieghi”, pigolò quasi sul punto di piangere.
“Non c’è niente da spiegare. Sono stato al circolo dicendo d’essere un poeta. Quando è venuto il mio turno di leggere una poesia ho letto la lista della spesa che avevo in tasca. Non so perché l’ho fatto, ma non potevo tenere la bocca chiusa. Quelli hanno pensato che fosse una poesia. Mi hanno fatto i complimenti. Anche suo marito.”
Balbettando: “Dunque le cose stanno così…”
Pallida come un fantasma temetti svenisse ai miei piedi. Devo però dire che l’improvviso pallore la rese ancor più bella.
Mi portai subito al suo fianco con una premurosità inusuale per me. E lei in un sussurro disperato mi disse queste precise parole: “Mi tradisce come sospettavo.”
Non ho mai capito che cosa intendesse dire con quel suo “mi tradisce come sospettavo”. So invece che non cercai di dissuaderla. Tacqui e lei si avvinghiò a me. Fu la scopata più bella della mia vita. Se fossi morto dopo essermi fatto sbattere da Anna non avrei avuto di che lamentarmi. Ci sono donne che sanno darti tutto, proprio tutto in una scopata.
Si venne alle mani. Cazzotti sù cazzotti. Quel cazzo di poeta con le pezze al culo un bel giorno di sole entrò nel mio ufficio buttando giù la saracinesca con un calcione. Mi afferrò subito facendomi volare sulla scrivania lasciandomi con il fiato come un chiodo conficcato nel petto.
Ce le suonammo di santa ragione fino ad ammazzarci. Solo quando tutt’e due fummo con sol più un alito di vita in corpo cademmo. Per onestà devo dire che quel dannato poetastro me l’ha suonate come mai nessuno. Lo sapevo sin dall’inizio che sarebbero stati guai. Sono convinto che se lo avesse voluto veramente avrebbe potuto ammazzarmi. Gli sarebbe bastato fare un piccolo sforzo in più per mandarmi al Creatore. Ma non lo ha fatto.
Prima di levarsi dalle palle mi ha confessato in un sussurro rabbioso che Anna le aveva detto tutto. Sembrava quasi volesse scusarsi per le botte che m’aveva rifilato: “La poesia è una puttana e anche mia moglie lo è… è convinta che la tradisca… è una puttana fuori di testa ma è mia, capito?”.
Ora che ho raccontato non crediate sia uno scherzo fare il detective privato. Bisogna sempre guardarsi il culo, esser pronti a fronteggiare i tipi più assurdi e fuori di melone.
Dopo la scazzottata con il poetastro ho preso a fumare, tre o quattro sigarette al giorno, per evitare la tentazione d’ingannare il tempo scrivendo poesie sui post-it gialli in bella vista sulla scrivania.
I clienti non mi mancano, le solite cose di corna, non mi occupo di persone scomparse né lo farò mai.
L’altro giorno però, giù al bar, per puro caso ho sentito che Anna, la mia ex cliente, sarebbe scomparsa nel nulla. Credo abbia piantato in asso il suo poeta. D’altro canto me lo aspettavo, era nell’aria che dovesse andare a finire così. Un tocco di femmina come lei non poteva stare con un fallito. Ho il sospetto che la rincontrerò presto al braccio d’un portaborse ben immanicato nella politica e nell’alta finanza. O forse no. Se è furba come credo avrà lasciato questo stivale del cazzo per ricominciare daccapo all’estero, e io non sono uno che si sposta. Non ho fantasia, mi basta darmi da fare qui.
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