Indifferenza: letteralmente non differenza.
Parola così facile da svelare etimologicamente, ma tanto complessa da argomentare e contestualizzare.
Sì, perché indifferenza non è mancanza di reazione, né mancanza di emozione di fronte a notizie, fatti o episodi -personali e non- rispetto ai quali altri reagiscono, si emozionano, si esalatano, si indignano.
L'indifferenza è oltre la reazione, oltre l'emozione, oltre l'esaltazione, oltre l'indignazione.
Subentra dopo tutto questo e perfino dopo la valutazione o il giudizio morale.
E si concretizza in una chiusura: nel chiudere fuori da noi -e dunque fuori anche dalle nostre emozioni, quali che esse siano- fenomeni, eventi, persone, fingendo che non esistano, non ci riguardino, non ci possano toccare.
A volte è un modo per superare dolori, altre volte è un éscamotage per non farsi sopraffare dall'ansia, più spesso è una manifestazione di ignavia.
Si diventa per ignavia indifferenti al degrado politico e sociale, alla corruzione dilagante, alla perdita di valori ed ideali, alla fine dello stato di diritto, agli attentati alla salute fatti solo in nome di un guadagno immediato, alla violazione dell'infanzia, alle violenze sugli indifesi.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Lo diceva Gramsci.
Ma esistono ancora i partigiani?