"Dietro un lavoro che sembra semplice, ci sono in realtà da risolvere problemi complessi, e la semplicità è un obiettivo non un dato di partenza. Si fa un buon lavoro quando una storia risulta,alla fine, semplice alla lettura. Si fa un pessimo lavoro quando invece si parte da una base fin troppo semplice e poi si incasina il racconto, presumendo di renderlo più appassionante."
A scrivere queste parole in risposta ad una mia domanda (quasi una postilla alla lunga intervista che mi ha rilasciato) è stato Gianfranco Manfredi, l'autore di soggetto e sceneggiatura del Texone "Verso l'Oregon" attualmente in edicola, disegnato magistralmente dall'argentino Carlos Gomez. E la storia, che si legge d'un fiato, è proprio così: semplice alla lettura, ma racchiude dietro di sè, come tutti i prodotti ben confezionati, cura e impegno certosini. E poi in realtà le storie sono due, come avevo già detto qui. Due trame che si snodano lungo le pagine senza mai dar troppo peso all'una piuttosto che all'altra, il cui trait d'union sono, naturalmente, Tex e Carson.
Da una parte abbiamo un gruppo di tenaci donne che vogliono raggiungere i loro futuri, ma ancora sconosciuti, sposi nel lontano Oregon, e che trovano nei due rangers un valido aiuto. Ancora Manfredi:
"Sulle spose postali, il film più famoso è stato senz'altro "Sette spose per sette fratelli". Trattandosi di un musical, là era tutto rose e fiori. La realtà era molto più cruda e ho letto un libro americano (Chris Enns, Hearts West - True Stories of Mail-Order Brides on the Frontier , TwoDot book 2005) che la svela. Quasi tutte finivano nei bordelli, oppure come schiave, a fare lavori durissimi in posti abbandonati da Dio."
Le donne dirette in Oregon. Disegno di Carlos Gomez
E questo sarebbe stato il destino anche delle coraggiose donne protagoniste del Texone, turlupinate da un'organizzazione capeggiata da un falso reverendo di Oregon City, zio del killer cui Tex e Carson danno la caccia.
Il killer dalla psiche molto debole. Disegno di Carlos Gomez
E qui veniamo all'altra trama del fumetto: la caccia ad un serial killer alquanto anomalo. Dal grilletto molto facile, sfodera la pistola non per sfida o per rapina, ma per paura; molto elegante, fugge gli uomini ed è attaccatissimo al suo maestoso cavallo bianco. E' una figura che desta, nonostante sia un assassino, molta pietà, anche se a qualcuno è parso poco realistico. La documentazione di Manfredi per questo personaggio è, al solito, molto curata, come si evince dalle sue parole.
Mi colpì un aneddoto che riguarda i suoi rapporti con Wild Bill Hickok quando questi era Sceriffo di Abilene. Sapendo che Harding era in città, ed essendo al corrente dei suoi crimini, Hickok andò da lui e gli disse che non lo avrebbe perseguito per i crimini già commessi, ma che se avesse causato problemi in città lo avrebbe ammazzato come un cane. Harding, spaventatissimo, si ritirò in albergo. Le stanze erano collettive. Durante la notte sentì aprire la porta e sparò a un altro cliente uccidendolo sul colpo, dopodiché scappo' da Abilene in mutande."Non potevano mancare delle osservazioni sugli splendidi disegni di Carlos Gomez, che fa esprimere ai personaggi, in primis a Tex e Carson, una varietà notevole di espressioni facciali, gestualità e posture. Il risultato è un disegno dinamico e comunicativo delle emozioni dei personaggi stessi. E Manfredi, prendendo spunto dal tratto di Gomez, si concede considerazioni interessanti sulla rappresentazione di Tex in generale.
"Riguardo ai primi piani dei personaggi che tu hai genialmente messo in rilievo, è una caratteristica dei disegnatori sudamericani dare massima evidenza alle espressioni. Molti lettori bonelliani si sono talmente abituati alla staticità espressiva, che le trovano eccessive. Invece io penso che contribuiscano a rendere più vivace e colorito un fumetto e dunque le apprezzo molto, anche perché è raro trovare un disegnatore che faccia "recitare" i personaggi. Il più delle volte, quando si guarda un primo piano, se non si legge il balloon, non si ha la minima idea dello stato d'animo del personaggio. Questo non aiuta a unire testo e disegni e dunque a mio avviso è un difetto. Ma anche qui: sia i lettori che i critici bonelliani sono da sempre abituati a distinguere nettamente tra testo e disegni come se fossero due cose separate e da valutare ciascuna in sè. Invece una storia si può dire riuscita soltanto se tra disegnatore e autore del testo c'è intesa.
E la chiosa finale non può che essere: "Puro vangelo!"