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“postmodernità, psicopatologia e psicoterapeuti”

Creato il 15 aprile 2012 da Raffaelebarone

E’ necessaria una riconversione della professione psicoterapeutica

Relazioni Congresso Nazionale 2011

dei Soci del Laboratorio di Gruppoanalisi

Relazione e dibattito completo Clicca qui ( visibile anche sulla sezione Laboratiorio Gruppo Analisi )

Estratti dalle relazioni

di  Paolo Cianconi: Postmodernità e psicopatologia

Psichismi vulnerabili. La società Postmoderna può essere intesa come società vulnerabile. Cosa si intende per vulnerabilità? Vulnerabilità vuol dire che i sistemi di protezione che garantivano stabilità sociale, culturale, politica, economica, familiare, terapeutica non sono in grado di dare la protezione che veniva data in precedenza…

Sindromi mutanti Le Sindromi fanno quello che fa l’estetica dentro l’arte, cioè predicono quello che arriva da fuori, e quindi possiamo chiaramente evidenziare all’interno del percorso di una struttura sociale ciò che viene da fuori. Come si riconosce: il primo indicatore è che non viene curata; il secondo indicatore è che non viene in contatto con il terapeuta, cioè svicola, non è nella direttiva di incontro con il terapeuta..

. Oppure pensiamo all’autolesionismo che è considerato un sintomo borderline: nel carcere quando il ragazzino si taglia è considerato borderline; se andate in posti dove i ragazzini si riuniscono non ce ne è uno con la pelle sana ed anzi, il fattore dell’autolesionismo si sta talmente tanto ampliando che ci sono ormai delle sindromi note, come il Vampirismo: la ragazzina si taglia e il ragazzino beve (per esempio nella zona di Bologna); e viaggiano su internet e si incontrano su quel tipo di canale e dal terapeuta non ci vanno.

I sociologi che studiano da dove arriva il futuro parlano di postbiologico, postumano, transumano: la società si costituirà su basi molto diverse da quelle che noi conosciamo e quindi, rispetto a ciò che è in rapida trasformazione, si concluderanno alcune trasformazioni da qui fino al 2080.

Questi sono esperimenti sociali molto grandi: per dire, gli esperimenti portati avanti dalle nanotecnologie non hanno un confine immaginabile; faccio un esempio: una trasformazione di tipo genetico che completamente ridisegnerà le architetture dell’incesto, è quella che già sta avvenendo oggi ma che in futuro avrà un’espansione enorme: immaginate a Londra un tipo che vende il seme e che ha circa un’ottantina di figli; di questi figli, che non si conoscono, qualcuno potrebbe pure sposarsi in futuro, completamente disarticolando l’organizzazione dell’incesto della famiglia: sono tutte cose che dovremmo aggiustare in futuro, per il momento non sono aggiustate

Dobbiamo cominciare a pensare che ci sono le sindromi come le conosciamo, che ci sono le sindromi mutanti, e che sono difficilmente comprensibili; che le cose più facili che troviamo, come le sex addiction da internet, è perché la pornografia su internet è il terzo business mondiale subito sotto le armi: è uscita fuori e quindi se ne parla; tuttavia ci sono sindromi che si manifestano in modo così chiaro che le vediamo, mentre altre si nascondono in ciò che già conosciamo e che dovrebbero essere uno stimolo per riflettere e capire se ciò che conosciamo è realmente ciò che conosciamo o se è cambiato

Come dicono alcuni sociologi, per esempio nella post modernità è saltato il processo delle grandi narrazioni: la scienza non si sa che cosa dice, la filosofia è arrivata ad una crisi di senso,  le grandi narrazioni, cioè lo Stato, la giustizia, il diritto, sono un po’ finiti e la gente non ci crede più. Io ho coniato questo termine “sarcinesi”: se parli con un ragazzino concludi che sono pieni di sarcasmo ed ironia che danno stabilità: i ragazzini non ti credono più in nulla. Sarcasmo ed ironia: tu gli dici qualcosa ma che non credono, che sminuiscono perché hanno visto il film che dice qualcosa di diverso. Questi aspetti si moltiplicano sull’assenza delle grandi narrazioni, e sul fatto che sia saltata anche la narrazione della progressione dall’infanzia all’età adulta. Se continui a lavorare come psicoterapeuta che considera la persona anziana che in quanto tale sa più cose, sei fuori tempo. Faccio un altro esempio: una sindrome culturalmente caratterizzata in Giappone e che sta filtrando anche in Occidente è quella degli Hikikomori: andandola studiare nella letteratura sono stati connessi alla schizofrenia o ad una forma di buddismo: ragazzini che si chiudono in una stanza credendoli connessi ad Internet, in realtà non sono connessi a nulla. Pare che il 60% degli Hikikomori non usa il computer quindi non sono ragazzini come vengono descritti nella nostra mitologia, ma in seguito ad un’offesa si chiudono dentro la stanza a non fare nulla per anni, senza uscire nemmeno dalla stanza e quando vi ci entra qualcuno bisogna fare tutto un processo di avvicinamento, perché questo non ti viene in terapia: il terapeuta deve uscire dal suo studio e andare lì a fare terapia al di qua della loro porta…

di Gianluca Ponzio: Ultimi sviluppi sul mercato del lavoro per gli psicoterapeuti

era assolutamente impossibile pensare ad un’evoluzione della professione senza mettere in discussione costante, pro quota, la dimensione autoreferenziale della nostra professione, perché, se cambia il mondo, se cambia l’utenza, per gioco forza dobbiamo cambiare anche noi: appena l’estensione, e quindi la proposta, è cercare di riorientare il prodotto della psicologia

Da questo punto di vista io ne faccio una questione metodologica: la differenza non sta tanto nell’individuare una nuova tassonomia di quel malessere, ma nell’avere un atteggiamento diverso nei confronti dell’utenza, cioè andare a vedere come evolve l’utenza e come mettersi in relazione all’utenza in funzione delle proprie capacità professionali sicuramente quello che cambia è il mandato sociale della proposta alla professione: quello che cambia in una qualche maniera è la dimensione dei bisogni e delle domande che evolvono nel nostro paese, senza entrare in una dimensione di valore è bene non è bene, è giusto non è giusto: credo che prendere in considerazione l’evoluzione del contesto, sia fondamentale se vogliamo continuare lavorare sulla buona formazione dei giovani, altrimenti raccontiamo loro di un mondo che non esiste più. .

Negli ultimi 12 mesi le persone sono entrate in contatto con psicologi per quale motivo? qui entriamo in una dimensione interessante perché andando a raccogliere domande e risposte in gradi di categorie, vengono fuori delle domande che magari non erano così ovvie: alla domanda “sono venuta in contatto con la psicologia” per problemi in una qualche maniera iscrivibili al concetto di qualità della vita quotidiana, di criticità nel mio percorso individuale, di crescita professionale, di problemi a stare con gli altri, qualche cosa che ha che fare con la qualità della mia vita o di scelte rispetto al futuro scolastico, professionale, di scelte di vita: questo è stato il fattore che ha più saturato, il problema della qualità della vita. Oppure sono entrato in contatto con gli psicologi perché gli psicologi ci sono e anche perché questo di per sé non è un disvalore anzi, trovarli nei contesti naturali di elezione come il lavoro, la scuola, il volontariato ed è stato motivo di contatto più o meno gratificante, diciamo abbastanza gratificante. …

poi vedete che ho citato la psicoterapia che è l’aspetto più estremo ma poi c’era la prevenzione, la riabilitazione ecc, ecc, le dipendenze, che si mettono in una relazione quadrata quasi identica. Quello che se vogliamo è interessante è che dall’altra parte ci sono alcuni aspetti, come la qualità, la formazione, la valutazione e selezione del personale, la pubblica amministrazione, le emergenze, l’ergonomia sono aree dove la domanda si prevede in evoluzione, ma non sono contesti specifici della psicologia ed  utilizzando una metafora, secondo me molto corretta, del professor Romano “la psicologia è in condominio”: è quello il nostro futuro professionale, cioè la capacità di convivere in parte con altre professioni, nel senso che la psicoterapia è un’area che nei fatti non potrà garantire ipotesi di sviluppo, è un’area da mietere e forse un’area rispetto alla quale dobbiamo immaginare forse una dismissione e un ripensamento..

Altre aree che esprimono domande di bisogni sicuramente da capire meglio, aree genericamente chiamate organizzative, perché non iscrivibili in setting duali ma legate a contesti più ampi rispetto ai quali dobbiamo continuare sempre più a produrre letteratura..

io non ho una disciplina ma ho un problema e cioè far lavorare insieme queste persone, quindi per far lavorare bene queste persone, metto in campo una serie di competenze legate alla tecnologia, in particolare all’informatica, altre legate all’economia cognitiva: che tipo di interfaccia costruisco per queste persone? e ce n’è una che è di tipo culturale: come faccio a far lavorare insieme persone che hanno concetti così diversi del loro stare insieme?

Però è proprio questo il mio approccio: la questione non è sulla disciplina ma sul problema e allora utilizzo quello che ho nella mia cassetta degli attrezzi, tra cui le mie competenze psicologiche che sono molto importanti perché le interazioni umane tra persone sono fondamentali. Poi alla fine, come dicevo prima, mi chiedo se ho fatto qualcosa di psicologico, ma questo forse non è rilevante perché la mia soddisfazione nasce dal fatto che sono riuscito a far lavorare insieme queste persone con soddisfazione,  utilizzando tutte le competenze che sono in grado di utilizzare.


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