Magazine Psicologia
Il termine più utilizzato è riabilitazione, che letteralmente (da vocabolario) si riferisce al restituire della abilità. Quando si restituiscono delle abilità si suppone che queste in precedenza acquisite, si sono “perse” per qualche motivo. E’ quindi necessario un percorso riabilitativo, appunto, per poterle ri-apprendere. Ciò può accadere ad esempio dopo un incidente che procura una lesione ad un arto precedentemente funzionante. Per riabilitare è necessario fare un esame delle abilità residue e delle abilità danneggiate e proporre un programma riabilitativo con vari e mirati esercizi volto alla recupero completo o parziale delle competenze perse.
Nelle Linee Guida sulla Riabilitazione (GU 124 30/05/98 Min. Sanità) si legge: La Riabilitazione è “un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle scelte operative”. La riabilitazione si pone come obiettivi:
a) la promozione dello sviluppo di una competenza non com-parsa, rallentata o atipica;
b) il recupero di una competenza funzionale che per ragioni patologiche è andata perduta;
c) la possibilità di reperire formule facilitanti e/o alternative.
Quindi, nelle Linee Guida il termine riabilitazione viene usato per indicare un trattamento volto al recupero di una competenza non comparsa. Ma ciò non produce confusione? Se la competenza non è mai comparsa, cosa si ri-abilita?
In campo neuropsicologico invece, si parla di abilitazione (rendere abili, capaci), definendola come l'insieme degli interventi volti a favorire l'acquisizione e l'apprendimento di abilità specifiche. In questo caso però, l’abilitazione è riferita esclusivamente ai disturbi dell’apprendimento.
Andiamo a vedere di cosa si occupa la neuropsicologia.
Essa va ad indagare il funzionamento di competenze cognitive come: attenzione, pianificazione, problem solving, ragionamento astratto, formazione di concetti, automonitoraggio, flessibilità cognitiva, memoria, linguaggio, abilità linguistiche, abilità prassiche; abilità visuo-spaziali. In pratica la neuropsicologia si occupa anche delle diagnosi dei disturbi in età evolutiva. L’utilizzo del termine abilitare si può quindi allargare a tutti i disturbi dell’età evolutiva.
Di conseguenza, un programma sul linguaggio in una persona con diagnosi di autismo, che pone i suoi obiettivi sullo strutturare competenze mai acquisite che permettono l’acquisizione o il miglioramento dell’area linguistica, si può considerare un programma abilitativo piuttosto che riabilitativo. (Ovviamente è diverso quando all’interno di un percorso abilitativo il bambino perde una abilità che ha acquisito lavorando).
Ma, a cosa ci serve tutto questo? A cosa ci serve usare il termine abilitazione piuttosto che riabilitazione? Alla fine, quello che si deve fare non cambia.
Non è proprio così. Le parole portano dei significati. Se si utilizza una parola piuttosto che un’altra c’è un motivo che risiede nel pensiero non espresso. Ad esempio, se una persona parla di riabilitazione riferendosi al programma di un bambino che non ha mai acquisito l’abilità su cui si sta lavorando, che immagine ha di quel particolare bambino? Come lo vede? Come si relaziona con lui? Come lavora con lui? Un conto è pensare e sapere di lavorare per riabilitare una competenza persa, un conto è lavorare per abilitare, tenendo sempre presente che quell’abilità non c’è mai stata. Il modo di lavorare e di relazionarsi con quel bambino è completamente diverso a seconda di ciò che pensiamo di lui e dei suoi punti di debolezza.
Il termine riabilitazione è ormai di uso comune, quasi non si fa più caso se il suo utilizzo è corretto o meno. La proposta è di cominciare a fare una differenza tra l’uso comune e l’uso professionale del termine: chi opera nell’ambito dell’abilitazione ancora troppo spesso parla di riabilitazione al posto di abilitazione. E’ importante usare i termini che rispecchiano il proprio lavoro per non creare confusioni, aspettative, deleghe… ed in particolare come riconoscimento della propria attività.
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