Potere del linguaggio e Controcomunicazione – Semiosi delle contraddizioni del Capitalismo*
lunedì 13 maggio 2013 di Noemi Venturella
Chi parla male, pensa male e vive male.
Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!
(Palombella Rossa – Nanni Moretti)
#1 – POTERE
Mi chiedo cos’è per i più il potere.
Essere in grado di fare qualcosa?
Avere il permesso, la facoltà di fare qualcosa, essere autorizzati?
Avere motivo, diritto di fare qualcosa, qualunque cosa? Di fare male all’altro, di spezzare le linee di un corpo umano o animale o oggettuale o mentale, di creare morte? Di fare ciò che si vuole? Di essere liberi? Di rompere il cazzo a chicchessìa perché si è liberi?
Questo è l’eterno rischio, il percorso borderline delle logiche di dominio, sempre sul filo della frantumazione non etica dell’altro-da-sé.
#2 – LINGUAGGIO
Foucault affermava che OGNI parola è espressione di assoggettamento e di forme di potere. E che i discorsi portano con loro poteri, saperi e ruoli. A-B-C portano con loro poteri, saperi e ruoli, mica cazzi.
Attenti quando parlate e a come parlate, perché non esiste una verginità del linguaggio: le parole non sono un fenomeno neutro, ma un veicolo di (relativamente) gratuita trasmissione psico-culturale. Il linguaggio è spurio, campo di torbidi rapporti di forza (M. Foucault); ed è sempre un linguaggio di parte!
Basta quindi con l’illusione che la locuzione “Potere del linguaggio” si riferisca ancora alla fantastica possibilità delle lingue umane di differenziarci da un cocker e di esprimere il pensiero, di formare l’uomo nella sua mente, nel suo corpo e nelle sue relazioni. L’idea di “Potere del linguaggio” oggi indica quel ben più frequente uso strumentale del linguaggio che lo rende un mezzo attraversato da rapporti di potere.
Non è un caso che il linguaggio umano sia oggi abbreviato, semplificato, come rifondato da tecniche di comunicazione prive di etica, finalizzate alla compra-vendita, alla velocità, all’eterno evitamento delle rotture di cojoni. Il tutto avallato da una comunicazione di massa che agisce violenza psicologica, fenomeno sistemico-strutturale del capitalismo giustificato delle sue stesse esigenze di sopravvivenza.
Ecco: ficchiamoci in testa che anche le parole che ci escono dalla bocca non hanno nessuna “Denominazione d’origine controllata” che non sia quella del mercato.
#3 – CAPITALISMO
…Insomma, l’economia che regge e scrive la storia. Che ha scritto una storia del mediatismo che è la storia delle informazioni falsate dal sistema, dalla sua necessità di auto-reggersi, di auto-sostentarsi sul trono dell’ignoranza generalista e mafiogena.
La sua economia linguistica ha riciclato la storia dell’imperialismo del sistema comunicativo statale, conducendo una battaglia sul territorio finalizzata alla dittatura mentale.
Le sue bombe? Il conformismo; la desiderabilità occulta del conformismo. La modellistica. Gli standard. Gli automatismi. La riduzione delle potenzialità (comunicative, cognitive, immaginative, relazionali) condivise. La “creazione-riproduzione-controllo-consenso di parte” (F. Berardi). Il soffocamento dello spazio di soggettivazione.
I risultati? Outsider, vecchi e nuovi ricchi&poveri, eterni Berlusconi, sempre nuovissime mafie e crisi, fiammanti dicotomie, raffinati target, infiniti consumatori per infinite mode, linguaggi falsati ad hoc, e denari; il potere imperituro dei denari. E poi quei meravigliosi individui lobotomizzati che non votano, che non pensano, che il sabato escono solo dopo la De Filippi, che vogliono essere belli ed hipster, che scrivono messaggini con le K al posto delle CH, con le parole tronche, con l’eterna X che sta per PER.
Perché lo fanno? Perché il capitalismo italiano ha inaugurato una lingua parallela per manipolarci le teste; una lingua fatta di concetti semplici, chiari, immediati, primitivi, in grado di sollecitare bisogni legati al possesso, il bisogno di non faticare, di non pensare e di non sobbarcarsi impegni; che è il tipico modus pensandi veicolato dai politici, dalle televisioni, da quella fantasticheria mediatica che è ad esempio canale 5.
Tutto, pur di non far pensare, di non lasciare l’uomo solo a pensare, ad imparare a pensare. Un tutto che, facendosi passare per intrattenimento, genera una struttura di pensiero semplificata e sempliciotta che fonda le menti umane. Credete che tutto questo sia casuale? Forse, sollecitati, per non fare malafiura rispondereste di NO.
Ma poi gli italiani, dimentichi della storia e schiavi del potere della comunicazione costruita e del pensiero semplificato, vanno comunque avanti con i loro telecomandi-di-vita in mano.
Et voilà il PD+L.
#4 – (CONTRO)COMUNICAZIONE
Comunicazione è l’insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni. Ma da e verso chi? “Io (imprenditore capitalista) produco comunicazione, tu (consumatore) la ricevi e agisci di conseguenza”; il tutto dentro un contesto asimmetrico di potere, dentro rapporti gerarchici inquadrati in un dispositivo rigidamente dicotomico. Complice il bombardamento postmoderno, l’essenza di una contemporaneità fatta di continue stimolazioni visuali, pubblicitarie, orientate, marcate, sature, a-critiche.
Oggi chi è “bifolco”?
Chi parla la lingua locale, ‘u dialettu?
Chi parla la lingua di tutti, delle tv, bella, semplice e diretta, usata per mantenere un basso e manipolabile livello culturale?
Chi assume atteggiamenti ed usa parole contrari a quelli “normali”, cioè attesi?
Usciamo dai ranghi irreggimentati che ci calano nelle teste come le tagliatelle nell’acqua di pasta e chiediamocelo; e impariamo a “sapere”, sapendo anche che “il sapere non è fatto (solo) per comprendere, ma per prendere posizione” (M. Foucault) giacché, nell’era dell’assuefazione al linguaggio & alle menti di parte, il pericolo di restare invischiati dentro questa enorme bigbabol finto-rosa non è più tanto politico, quanto mentale e cognitivo: qualche folle vocifera che sia in gioco la “condizione” “umana”.
*Riflessioni elicitate dal Seminario dall’omonimo titolo, a cura del Collettivo Universitario Autonomo – Facoltà di Lettere e Filosofia, Palermo.
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