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Potere e responsabilità della Germania nei paesi dell’Asia Centrale

Creato il 06 dicembre 2011 da Eurasia @eurasiarivista

Asia Centrale, Germania :::: Francesca Barnaba :::: 5 dicembre, 2011 ::::    Potere e responsabilità della Germania nei paesi dell’Asia Centrale

Quando la comunità internazionale, in seguito agli eventi dell’11 settembre e al conseguente scoppio della guerra in Afghanistan, “scoprì” la rilevanza strategica della regione centro-asiatica, il governo di Berlino aveva già accumulato un’esperienza decennale nella gestione delle maggiori problematiche dell’area. La Germania difatti fu il primo stato europeo a riconoscere le cinque repubbliche e a insediarvi già nel 1992 rappresentanze diplomatiche, manifestando da subito un grandissimo interesse a intrattenere stretti rapporti sia politici che economici con i cinque governi della zona. Da quel momento le relazioni tra la Germania e gli stati dell’Asia Centrale hanno continuato a rafforzarsi. Eppure, come il recente deteriorarsi delle relazioni tra Berlino e Tashkent sembrano dimostrare con una certa evidenza, lo scarso livello di democratizzazione che tutt’ora si registra negli stati della regione centro-asiatica potrebbe compromettere in un futuro non troppo lontano la positività di tali rapporti; mettendo seriamente a rischio il successo della strategia tedesca (europea) per l’Asia Centrale.

Gli interessi della Germania in Asia Centrale

In assenza di un’analisi approfondita della materia, la presenza massiccia, quasi sistemica, della Germania in tutti e cinque gli stati dell’Asia Centrale potrebbe apparire quasi assurda: impiegando nella regione più personale dell’Unione Europea, Berlino vi ha creato un network nell’ambito del quale alle rappresentanze diplomatiche si affiancano numerosi istituti economici (“German Technical Cooperation-GTZ”, “the German Development Service-DED”, “German Development Bank-KfW”) e culturali (tra gli altri il “Deutsche Akademische Austauschdienst-DAAD”, il “Deutsche Volkshochschulverband-DVV”, la “Welthungerhilfe”, il “Goethe Institute”, il “Konrad-Adenauer-Stiftung-KAS” e il “Friedrich-Ebert-Stiftung-FES”). In Kazachstan, ad Almati è stata addirittura istituita la “Kazach-German University-KGU”, mentre in molti degli stati della regione il tedesco è una delle due lingue straniere più parlate.

Gli interessi che hanno motivato il governo di Berlino alla creazione di questo fitto network di istituzioni culturali, politiche ed economiche nella regione sono molteplici. Reinhard Krumm nel suo saggio intitolato “Central Asia, the struggle for power, energy and human rights” suggerisce l’individuazione di tre fasi cronologicamente distinte, in ognuna delle quali gli interessi tedeschi si sono modificati (anche se forse sarebbe più corretto affermare che si sono sommati a nuovi interessi sopraggiunti per il modificarsi delle condizioni esterne ed integrati con essi). Nel primo periodo, quello immediatamente seguente all’ottenimento dell’indipendenza da parte delle cinque repubbliche, l’azione di Berlino fu volta principalmente a tutelare la popolazione di circa un milione di tedeschi che risiedeva nella regione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando un editto di Stalin del 28 agosto 1941 ne aveva ordinato la deportazione dalla regione del Volga. È questa popolazione (concentrata principalmente in Kazachstan e solo in misura minore in Kyrgyzstan e Uzbekistan) la chiave interpretativa per comprendere il perché degli intensi rapporti politici avviati sin dall’inizio degli anni Novanta dalla Germania con le cinque repubbliche centro-asiatiche. Già dalla fine del decennio, tuttavia, venne ad aggiungersi l’interesse per le ricche risorse energetiche (gas e petrolio) della regione, come venne chiaramente esplicitato in un documento presentato nel 1998 dal partito socialdemocratico tedesco e intitolato “Zukunftsregion Kaspisches Meer”. L’11 settembre 2001 segnò poi un punto di svolta per la politica tedesca nei confronti dell’Asia Centrale, che divenne anche per Berlino zona d’importanza strategica ai fini della lotta contro il terrorismo internazionale. La nuova strategia tedesca, contenuta nel documento “Central Asia Concept” del 18 marzo 2002, viene ben espressa dalle parole del ministro degli esteri tedesco Westerwelle: If we are to ensure the success of the process of political reconciliation in Afghanistan, then it is crucial that neighbouring countries get involved, that they (…) are engaged politically but also have such strong economic links with Afghanistan that it can develop favourably”. Per completare il quadro degli interessi di Berlino nei confronti della regione centro-asiatica è tuttavia ancora necessario aggiungere una precisazione con riferimento alle attività implementate in ambito economico. Gli interessi economici di Berlino nei confronti dell’Asia Centrale non si limitano difatti all’estrazione di petrolio e gas naturale, che pure continuano a rivestire un’importanza primaria (non a caso il prossimo “Turkmenistan Oil & Gas Road Show 2012” si terrà proprio in Germania, a Berlino, il 14-15 marzo del prossimo anno). Altrettanto importanti sono le esportazioni verso le cinque repubbliche di macchinari, autoveicoli e prodotti chimici, soprattutto in una fase in cui la crisi economica mondiale ha determinato una contrazione della domanda per le esportazioni tedesche (da sempre perno dell’economia della Germania).

Rapporti politici ottimi … ma non troppo

Sin dall’inizio degli anni Novanta la Germania intrattiene buoni rapporti politici con tutte e cinque le repubbliche della regione, suggellati da frequenti visite ufficiali di alti esponenti governativi, stipulazione di accordi economici e politici, un’attività sempre più diffusa delle imprese tedesche e, non da ultimo, un’intensa collaborazione in campo culturale. Per citare il solo esempio del Kazachstan, il principale partner tedesco nella regione, il 4 febbraio 2010 venne aperto ufficialmente con una cerimonia ad Astana “l’anno della Germania in Kazachstan”, dopo che nel 2009 in occasione della prima visita del presidente kazako a Berlino era stato indetto “l’anno del Kazachstan in Germania”. In questi ultimi anni sono state particolarmente numerose anche le visite dei massimi esponenti governativi dei due paesi: nel settembre 2009 fu la volta del presidente federale Koelher, la cui visita fu anche un’occasione per firmare una serie di documenti ufficiali tra cui sei accordi commerciali; nel 2010 la Cancelliera A. Merkel si è recata per ben due volte ad Astana, firmando anche in questo caso una serie di “investment memorandums”. Più di recente, il 20 luglio 2011, il ministro degli esteri tedesco Westerwelle si è incontrato con la sua controparte kazaka a Berlino. Inoltre rimanendo agli ultimi mesi, il 30 giugno di quest’anno a Kaganda ha avuto luogo il “5th meeting of the German-Kazakh Intergovernmental Working Group on Business and Trade (RAG)”.

Le relazioni della Germania con le cinque repubbliche dell’Asia centrale sembrano quindi continuare con il tempo a rafforzarsi incessantemente. Tuttavia un’analisi più attenta permette di rilevare le debolezze e i rischi nascosti nelle relazioni di Berlino con gli stati della regione. Tali deficienze sono state d’altro canto portate alla ribalta dalle recenti frizioni tra il governo tedesco e quello di Tashkent. Berlino aveva difatti pianificato per questo novembre la visita di una delegazione tedesca, per tenere degli incontri bilaterali con il governo e il parlamento uzbeko, al fine di discutere di tematiche connesse al rispetto dei diritti umani nella regione. La visita della delegazione tedesca è stata però rifiutata tramite un comunicato del ministero degli esteri uzbeko. Le frizioni tra i due governi si sono poi aggravate quando, nell’agosto di quest’anno, le autorità di Tashkent hanno deciso di imporre il loro stretto controllo a un’importante impresa tedesca da prodotti da forno posseduta dalle Steinert Industries, sino ad arrivare al punto di impedire all’ambasciatore tedesco Wolfgang Neuen di accedere alla struttura.

La ragione dell’irrigidimento di Tashkent nei confronti del governo tedesco va con tutta probabilità ricondotta al tentativo portato avanti da Karimov sin dall’indomani dell’indipendenza di imporre uno stretto controllo statale sull’economia nazionale. Già nel 1993 il Presidente uzbeko aveva pubblicato un documento finalizzato a delineare un modello economico nazionale che affiancasse l’apertura del paese al commercio internazionale con il mantenimento di un rigido controllo da parte delle autorità governative. In tale contesto la presenza e l’espandersi di grandi imprese tedesche nel territorio nazionale può essere stato interpretato come un rischio per il controllo sull’economia da parte del governo di Tashkent, che ha pertanto voluto lanciare un chiaro messaggio a Berlino.

D’altro canto questa spiegazione da sola non può bastare a comprendere il perché dell’irrigidimento di Tashkent verso la Germania proprio in questo periodo. Con ogni probabilità l’atteggiamento adottato negli ultimi mesi da Karimov deve essere letto come una reazione all’inchiesta parlamentare per violazione dei diritti umani in Uzbekistan che ha avuto luogo nel Bundestag lo scorso maggio. Il 19 maggio 2011, difatti, quasi in perfetta coincidenza con l’anniversario del massacro di Andijan di sei anni fa, quattro membri del Parlamento tedesco (Viola von Cramon, Johannes Pflug, Volker Beck e Dagmar Enkelmann) hanno ufficialmente esortato la Cancelliera Angela Merkel a sollevare presso il governo uzbeko il caso di Akzam Turgunov e di altri dodici difensori dei diritti umani imprigionati ingiustamente e torturati in Uzbekistan. Il governo di Tashkent non deve aver gradito l’iniziativa parlamentare tedesca, cosicché attraverso le iniziative avviate negli ultimi mesi Karimov ha molto probabilmente voluto inviare al governo di Berlino un chiaro messaggio: non si accetta nessun tipo di interferenza nelle questioni di politica interna del nostro paese.

La questione dei diritti umani, chiave di volta della strategia tedesca (europea) in Asia Centrale

Sta emergendo in modo sempre più evidente, quindi, che l’elemento centrale che determinerà il successo ovvero il fallimento futuro della strategia tedesca in Asia Centrale consiste nel grado di democraticizzazione dei governi dell’area. Fondamentale, cioè, sarà capire qual è la strategia ottimale per garantire il mantenimento delle strette relazioni che legano la Germania a una regione chiave quale quella dell’Asia Centrale, ponte insostituibile tra Europa e continente asiatico.

Sino ad oggi Berlino ha dimostrato di privilegiare un atteggiamento molto tollerante nei confronti dei regimi autoritari delle delle cinque repubbliche centro-asiatiche. E, di nuovo, questo aspetto è emerso in maniera evidente in particolare dai rapporti tra Berlino e Tashkent. È stato difatti solo a causa delle forti pressioni esercitate dal governo tedesco che l’Unione Europea ha infine deciso di togliere le sanzioni che erano state imposte nel 2005 all’Uzbekistan in seguito al massacro di Andijan del 15 maggio. Ma, soprattutto, è stato dimostrato che le sanzioni comunitarie non sono state rispettate dal governo di Berlino, che ha continuato a supportare il Presidente uzbeko anche negli anni trascorsi dal 2005 al 2009. In particolare la Germania ha versato a Tashkent 67,9 milioni di euro dal 2005 al 2009 per costi associati all’utilizzo della base di Termez, fondamentale supporto logistico per le truppe tedesche operanti in Afghanistan. Sempre nello stesso periodo, inoltre, Berlino ha concesso al ministro dell’interno uzbeko Zokir Almatov di viaggiare in Germania per sottoporsi a trattamenti medici, contravvenendo in tal modo al divieto di ospitare visite di membri del governo uzbeko incluso nelle sanzioni imposte da Bruxelles. Senza contare poi che a partire dal 2010, dopo che le sanzioni europee erano state tolte senza che il governo di Tashkent potesse in alcun modo dimostrare di aver soddisfatto le richieste avanzate in materia di rispetto dei diritti umani, la Germania ha deciso di accordare al governo uzbeko un compenso aggiuntivo di 15,9 milioni di euro annuali come “compensazione finanziaria” per l’utilizzo della base di Termez.

Al di là delle considerazioni di carattere morale che, in quanto tali, esulano dalla sfera di interesse di questo articolo, non si può riporre la minima speranza di successo in una strategia basata sull’assecondamento di qualsiasi richiesta avanzata da Tashkent. Conseguenza di una tattica di questo tipo sarà difatti inevitabilmente un’enorme perdita di potere contrattuale da parte di Berlino: ormai la Germania si sta trovando a subire passivamente i ricatti del governo uzbeko che, conseguentemente, rafforza le sue convinzioni e sempre di meno si dimostrerà disposto a rivedere le sue pratiche in materia di diritti umani e democraticizzazione.

In realtà, a giudicare dalla lettura dei documenti strategici ufficiali, la Germania sembra aver capito che la questione dei diritti umani riveste un’importanza fondamentale non solo a livello umanitario, ma anche in funzione strumentale (di protezione dei propri interessi nella regione). Il tema della democraticizzazione, pacificazione e stabilizzazione dell’area è difatti al centro sia della strategia di Berlino per l’Asia Centrale che di quella comunitaria, la quale è stata elaborata nel 2007 proprio sotto e per impulso della Presidenza tedesca dell’epoca (andando quindi a coincidere quasi totalmente con le linee definite dalla Germania per la regione). Dalla lettura dei documenti ufficiali sia tedeschi che comunitari emerge in maniera evidente la comprensione dell’importanza della questione della democraticizzazione e della salvaguardia dei diritti umani. Vi si legge difatti: “The aim of the European Commission’s assistance Strategy Paper for Central Asia (2007-13) is to promote the stability and security of the countries of Central Asia, to assist in their pursuit of sustainable economic development and poverty reduction and to facilitate closer regional cooperation both within Central Asia and between Central Asia and the EU”. Tuttavia le dichiarazioni contenute in un documento ufficiale non sono strumento sufficiente a garantire la salvaguardia dei diritti umani, né lo sono i pur numerosi e utili progetti implementati in questo campo dall’UE e dal governo di Berlino. Fondamentale è sommare a dichiarazioni strategiche e progetti umanitari, l’immediata e ferma reazione e negazione delle pretese di Tashkent così come degli altri governi dell’area. Il che, nei fatti, significa ad esempio sottoporre il pagamento dei “contributi finanziari” per l’utilizzo della base di Termez ad azioni concrete in materia umanitaria, reagire immediatamente e con fermezza alle iniziative di Karimov degli ultimi mesi, non accontentarsi di azioni di facciata ma assicurarsi che le eventuali sanzioni vengano applicate e le richieste di democraticizzazione effettivamente rispettate. Una strategia di questo tipo comporterebbe una crescita del potere contrattuale della Germania (e dell’Unione Europea nel suo complesso).

Per concludere

Per concludere, quindi, appare indubbio che se la Germania intende mantenere e rafforzare nel tempo le sue relazioni con l’Asia Centrale, area di importanza fondamentale sia per le sue risorse economiche che per la sua funzione strategica e di ponte tra Europa e Asia, dovrà necessariamente rassegnarsi ad un atteggiamento meno tollerante nei confronti dei governi della regione. La posizione privilegiata che il governo di Berlino è riuscito a conquistarsi nell’ultimo ventennio nelle cinque repubbliche potrà rimanere tale solo a patto di mantenere intatto ed anzi accrescere la propria forza contrattuale nei loro confronti. Il che potrà avvenire solamente quando le dichiarazioni di principio enunciate nei documenti ufficiali e i progetti umanitari implementati verranno accompagnati da un atteggiamento fermo, risoluto e sempre coerente da parte congiuntamente delle autorità governative tedesche ed europee.

*Francesca Barnaba è dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Universtà di Trieste (Gorizia)

Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autore e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”


 


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