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Dieci brani tratti dalla tradizione dei crooner. Più d’uno ha azzardato un paragone con l’irraggiungibile Frank Sinatra
di Giuseppe Fiorentino e Gaetano ValliniPerché ce l’hanno tutti con me, si chiede Bob Dylan nel discorso pronunciato in California in occasione di una premiazione e ampiamente pubblicato da «la Repubblica». Con uno stile a cavallo tra una gag di Woody Allen e il sermone di un predicatore puritano — quindi perfettamente attinente al suo percorso personale di ebreo convertitosi al cristianesimo — Dylan accusa i critici musicali di essere tanto spietati con lui quanto indulgenti verso altri musicisti della sua generazione. «Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Perché dicono che non so cantare o tenere una nota mentre cantanti come Tom Waits, Dr. John o Lou Reed vengono puntualmente assolti?».Gli interrogativi posti da Dylan non sono del tutto privi di fondamento. È arcinoto infatti come certa critica, soprattutto in Italia, si muova su territori già battuti, senza dare davvero prova di fantasia. Alcuni artisti ricevono quindi recensioni sempre positive, mentre altri vedono puntualmente stroncati i propri lavori. È un atteggiamento che si riflette sulla condizione della musica leggera italiana, immancabilmente destinata, come certa critica, a ripetere se stessa. Così mentre il Paese affronta stoicamente l’ennesimo festival di Sanremo — quest’anno in un’edizione particolarmente rassicurante nella sua normalità nazionalpopolare — popolato da acerbi frutti di talent show e da autentici sconosciuti, all’amante della buona musica non resta che rifugiarsi in piccole oasi confortanti, e probabilmente poco frequentate, come le trasmissioni che al mattino Radio1 propone sotto la sapiente conduzione di John Vignola. Dylan, dunque, si lamenta. Eppure va sottolineato che come sempre la critica italiana ha accolto l’ultimo suo disco, Shadows in the Night, con un unanime coro di plauso. E lo stesso è avvenuto oltreoceano. La rivista «Rolling Stone», che da quasi cinquanta anni funge da opinion leader per i giovani di tutte le età, gli ha attribuito quattro stelle su cinque. Unica eccezione il «Time» di Londra che non senza sussiego ha descritto la voce di Dylan come quella di «un ubriaco che esegue una serenata a un lampione».Di sicuro l’ultimo lavoro del cantautore ha sorpreso tutti. A cominciare dalla scelta delle canzoni: dieci brani, non tutti notissimi, della tradizione dei crooneramericani. Non a caso più d’uno nel commentare il lavoro ha azzardato un paragone con l’irraggiungibile Frank Sinatra. E furbamente Dylan si è chiamato fuori. In secondo luogo colpiscono gli arrangiamenti dei dieci pezzi — dettati dalla composizione della band formata da tre chitarre, un basso e una batteria — e l’incisione in presa diretta, senza cioè ripensamenti. Il risultato è un disco che a seconda dei casi o ammalia o irrita. Una volta abituatisi alla scelta di brani dalla timbrica e dal ritmo uniformi e all’invadenza della chitarra steel, davvero troppo presente, il tutto risulta accettabile e in alcuni casi, ovvero le canzoni sostenute da una robusta sezione di fiati, anche piacevole. Ma ciò che in questo disco sorprende davvero è il canto, più pulito, per quanto possibile, e preciso dei lavori dell’immediato passato e soprattutto delle esibizioni dal vivo in cui il cantautore ama spesso rendere quasi irriconoscibili i suoi cavalli di battaglia, sottraendoli così al rito di massa. Qui, nonostante la voce rasposa e graffiante sembri fare a botte con le melodie classiche, aggredite più che cullate, il canto di Dylan dimostra rispetto anche metrico per gli standard che affronta, evitando pericolosi equilibrismi e rischiose incursioni in campi inaccessibili.
Non può esserci evidentemente alcun paragone con le canzoni originali, così come non è pensabile che il musicista abbia voluto offrire una nuova lettura dei brani. Il tutto suona più come un divertissement e alcune delle canzoni contenute nel disco sembrano più che altro bis al termine di un concerto. Certo Bob Dylan è uno di quegli artisti che possono permettersi il lusso di fare ciò che vogliono. Ma forse, malgrado tutto, di questo Shadows in the Night non si sentiva il bisogno.(©L'Osservatore Romano – 12 febbraio 2015)
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