Diciamolo, il cavaliere è stato davvero sfortunato: è stato al centro della vita politica per più di vent’anni, ma non è riuscito a concludere nulla di ciò che si era proposto perché i tempi non erano maturi. Poi quando, grazie anche ai suoi avversari da lui grottescamente chiamati comunisti, i progressivi colpi portati al lavoro, la disgregazione del sindacato, la diffusione di una mentalità completamente aliena dal sociale, gli facevano intravvedere il traguardo, è stato cacciato per inaffidabilità geopolitica.
Così quello che lui voleva fare sull’onda del reaganismo e del thatcerismo, ovvero diminuire le tasse ai ricchi grazie alla dissoluzione dello stato sociale e dei diritti del lavoro, lo fa adesso il suo figlioccio Renzi con una chiarezza e una limpidità da manuale: la raccolta di dieci miliardi dalla sanità, per di più con qualche strizzata d’occhio alla malasanità, per finanziare una diminuzione delle tasse, peraltro solo presunta viste le condizioni del debito, è un esempio di scuola del trasferimento di risorse dalla base al vertice della piramide sociale. Davvero il destino è irriconoscente.
Certo quel pensiero unico che ha predicato il benessere della società attraverso l’accumulo di ricchezza in poche mani è ormai nella fase di risacca: i suoi principi cominciano ad apparire insensati, le sue pratiche pericolose, i suoi scopi deliranti, i suoi effetti nefandi. E tuttavia la forza d’inerzia e la potenza assunta da quelle poche mani sui gangli vitali della società consentono di far andare avanti la nave anche in mancanza di un porto. Rimane la capacità straordinaria di agire sulle persone in modo da fare vedere loro quello che non esiste: le classi medie sono state falciate e mentre i ricchi hanno goduto nei “quaranta ingloriosi” di Piketty di enormi tagli di tasse ( in tutto l’occidente si è passati progressivamente dall’ 80 o 90 per cento di incidenza fiscale sullo scaglione più alto al 35-45%) i ceti medi e popolari hanno avuto solo elemosine, compensate però da un aumento di tassazioni indirette al consumo e spese in sostituzione di tutele e servizi estremamente gravose. Tanto per fare un esempio dei sempre citati Usa, un single che guadagna diecimila dollari l’anno, ossia un povero assoluto che può campare solo grazie ad aiuti pubblici paga il 23% di tasse totali, mentre chi ne guadagna dai 450 mila in su arriva a mala pena al 35%: quarant’anni fa il primo pagava attorno al 26% mentre il secondo arrivava oltre gli 80. Quarant’anni fa il primo poteva permettersi un’assicurazione sanitaria completa, mentre oggi non può nemmeno lontanamente pensarci. E la situazione non è molto diversa in Italia.
Tutto questo avrebbe voluto farlo il divo Silvio se non ne fosse stato impedito dalla presenza ancora forte di un pensiero sociale e di generazioni non ancora convinte che favorire i ricchi era cosa buona e giusta e avrebbe reso ricchi anche loro. Certo lavorava ai fianchi con le televisioni, esorcizzava la mano nelle tasche dagli italiani, strizzava l’occhio all’evasione, ma in concreto non è riuscito a fare nulla di tutto ciò che predicava, non è arrivato nemmeno a un quarto della strada fatta dal rimbambito Reagan plagiato dalle corporation. E se non fosse corso in suo aiuto l’Ulivo con la prima grande e naturalmente “moderna” spinta alla precarietà del lavoro, il suo nome non sarebbe iscritto sul monumento alla decivilizzazione. Tanto più che il suo giovane emulo è riuscito anche ad affossare la scuola, si appresta a evirare la magistratura inquirente, sta sfasciando la Costituzione e imponendo una legge elettorale da regime oligarchico.
Dire che lui gli ha spianato la strada convincendo gli italiani che le tasse siano il problema della nostra economia ( ricordo che il boom degli anni 50 e 60 avvenne in presenza di imposizioni altissime per chi guadagnava più di 30 milioni l’anno), per cui oggi basta dire meno tasse per imporre qualsiasi cosa e qualsiasi povertà. Sì, adesso i frutti della sua educazione degli italiani li raccoglie il ganassa jr di Rignano che sfrutta appieno i luoghi comuni e persino la sceneggiatura del ventennio di Silvio. Ed è giusto così: solo i ricchi possono permettersi la stupidità.