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Pratiche politiche femministe, di Sara Gandini

Da Minerva Jones
Non pensiate che le lotte femministe siano lotte delle donne per le donne. Ormai femminismo significa riflettere tutti insieme - qualsiasi sia la nostra molteplice e variegata identità - e lottare contro qualsiasi discriminazione perché una società garantisca davvero il benessere e la possibilità d'espressione a tutt* (dove l'asterisco segna proprio l'andare oltre il mero femminile/maschile).
Leggo, e riposto anche per voi prendendolo da qui e da qui, il testo di Sara Gandini dal workshop dedicato alle pratiche politiche femministe nel FemBlog Camp 2011, condotto anche da Laura Colombo. E' lungo, ma si parla di eros, biografia personale, società, rivoluzione. Vale la pena prendersi il tempo di leggerlo.
[Minerva intanto se ne va un po' di giorni per lavoro, buona settimana a voi!]

Pratiche politiche femministe
di Sara Gandini
Ciao a tutte e tutti
io vi parlerò di alcune pratiche politiche femministe, partendo da quelle più legate ad eventi pubblici di piazza, passando per la nostra esperienza con il sito della Libreria delle donne di Milano, per finire raccontandovi di un gruppo di riflessione in presenza di uomini e donne, con chiari debiti col femminismo.
Noi siamo femministe, siamo eredi di un movimento rivoluzionario che ha portato cambiamenti radicali in molti e decisivi livelli dell’esistenza di tutti, uomini e donne. Famiglie allargate, libertà di scelta su educazione, procreazione, professionalità, salute, imprese femminili che nascono in ogni ambito: sono molti gli aspetti della vita individuale e collettiva dove la libertà femminile è tangibile. Le donne vanno ovunque. Hanno acquisito una forza, una competenza che viene sempre più riconosciuta in ogni campo, come si può vedere anche dai 5 Nobel vinti dalle donne nel 2010 in diversi ambiti, dalla letteratura, alla medicina, all’economia.
Il femminismo è un pensiero e una pratica quotidiana, un desiderio che ha portato cambiamenti radicali nel mondo. La pratica di relazione e del partire da sé, dal proprio sentire, dalla propria esperienza quotidiana, per arrivare nel mondo e ripensarlo, riorganizzarlo, sono state le chiavi di volta. Niente di più lontano dal potere e dalle sue logiche. Le rivoluzioni infatti avvengono innanzitutto dentro di noi, nelle forme della nostra immaginazione, come dice bene Rebecca Solnit in SPERANZA NEL BUIO, Guida per cambiare il mondo.
La Solnit ci mostra come al cuore del processo di cambiamento ci sia la restituzione alle persone della loro capacità creativa e la riattivazione del loro potenziale di intervento nel mondo. Il problema, lei dice, sta nel cambiare l’immaginario del cambiamento. I cambiamenti che contano sono così difficili da fare, perché non scorrono lungo il tempo lineare della Storia, ma seguono il tempo della vita materiale, con i suoi umori, la sua lentezza, le improvvise intuizioni.
Rebecca Solnit fa molti esempi nel suo libro, in uno narra la vicenda di un’attivista che militava nel “Women Strike for Peace” (Donne in sciopero per la pace), il primo grande movimento antinucleare degli Stati Uniti che ottenne il Trattato per la limitazione dei test nucleari del 1963. Raccontava di come si sentisse stupida e inutile una mattina, mentre protestava sotto la pioggia di fronte alla Casa Bianca. Alcuni anni dopo le capitò di ascoltare il dottor Benjamin Spock che dichiarava di essersi convinto proprio allora a intervenire contro i test nucleari, per la pericolosità dei materiali radioattivi che si ritrovavano nel latte materno e nei denti dei bambini: quel piccolo gruppo di donne appassionate e impegnate gli avevano fatto capire improvvisamente che anche lui doveva dedicare attenzione e impegno al problema.
Rebecca Solnit qui ci mostra che la storia non è un esercito che marcia sempre avanti, obbedendo al principio di causa ed effetto, ma è come “un granchio che scappa lateralmente”, è “un rivolo d’acqua che gocciola sulla pietra consumandola” o un “terremoto che spezza secoli di tensione”.
La trasformazione del mondo, lei dice, deriva da un cambiamento che avviene prima di tutto dentro di noi ma spesso, nell’immaginario comune, la lotta politica sembra esplicitarsi essenzialmente con il richiamo alla piazza. E in effetti portare la propria passione politica sulla scena pubblica, che sia uno sciopero, una manifestazione, o altre modalità di vivere la piazza, può essere un’esperienza appassionante, può dare gioia e forza. Si tratta spesso di un’esperienza intensa perché il corpo è in gioco e se ne può trarre un sapere inaspettato; è l’espressione del desiderio soggettivo di esserci e della volontà testarda di comunicare e trasformare la realtà, soprattutto quando la piazza diventa luogo di creatività.
Ci sono molti esempi interessanti che mostrano modalità creative, in cui le donne, ma non solo, fanno invenzioni sulle pratiche anche in questi luoghi. Si tratta di esperienze che spesso nascono o fioriscono tramite la rete, preferiscono l’orizzontalità alla delega e allo schieramento e non riproducono modelli viriloidi nel proprio modo di manifestare dissenso. Pensiamo alle modalità di gestire sia la piazza che lo scambio politico che hanno caratterizzato il movimento degli indignati: si preoccupano di riflettere e fare invenzioni sulle modalità con cui gestire l’occupazione del luogo pubblico, su come prendere decisioni ed esprimere dissenso. Si prendono cura dello spazio pubblico, preoccupandosi di non lasciare sporco, di fare la raccolta differenziata…
Pensiamo anche al movimento NO TAV: le donne e gli uomini che stanno lottando in quel luogo non si arrendono alle logiche dello scontro che piacciono tanto ai media, e cercano di fare mosse che non stanno nel copione del contropotere. Lo si vede bene anche nel video che è circolato in rete in cui una donna, in una scena quasi paradossale, fa un lungo discorso alle forze di polizia: si pone di fronte ad un plotone in tenuta antisommossa e parla agli agenti, richiamandoli alla sua e loro comune umanità, esortandoli a imboccare la strada della consapevolezza e della conoscenza. Una modalità imprevista, quasi insensata secondo l’ordine precostituito, che mostra la possibilità di permettersi sogni che non stanno nella misura dell’ordine corrente. Questa donna ci mostra che cercare modalità per non cedere rispetto alle proprie ambizioni, ai propri desideri permette di non cadere nell’impotenza e non consegnarsi al gioco del potere.
In questa vicenda, come in molte che riguardano i movimenti, possiamo toccare con mano che se i media mainstream mostrano solo gli scontri, le sfide, le pratiche più maschili e funzionali al potere, internet da accesso ad altre pratiche, capaci di articolare il conflitto anche oltre lo scenario dell’appuntamento di piazza, nella dimensione quotidiana, territoriale, culturale, diffusa.
Pensiamo al movimento nato spontaneamente e cresciuto sul web per sostenere la candidatura a sindaco di Pisapia. Ha coinvolto in modo giocoso ed entusiasta persone di tante generazioni disamorate alla politica, ed è riuscito a far vincere le elezioni ad un politico che non aveva grandi appoggi politici e usava un linguaggio nuovo.
Pensiamo ancora all’Agorà del lavoro, nato con il Sottosopra Immagina che il lavoro, documento edito dalla Libreria delle donne di Milano. Si tratta di un luogo fisico ma anche virtuale, che punta sulla possibilità di integrare la riflessione sul web, tramite il blog, con gli incontri pubblici che si tengono in vari luoghi di Milano. Vuole essere una piazza, virtuale e non, in cui il lavoro che cambia prende la parola, partendo dal racconto condiviso di esperienze concrete di uomini e donne di diverse generazioni.
Pensiamo anche ai Flashmob: senza grande organizzazione logistica, sembrano appuntamenti al buio che per permettono alla passione politica di incontrare la passione artistica. Grazie ad internet, fantasia, gioco, arte e politica si incontrano e creano eventi pubblici in cui i soggetti reinventano gli spazi della città per colpire in modo nuovo l’immaginario.
Pensiamo anche alle mazurke klandestine, in cui donne e uomini di diverse età si riappropriano delle piazze con la musica e le danze folk. Di nuovo organizzazioni spontanee, grazie al web permettono di reinventare i luoghi di socialità, dando occasioni di scambio, di relazione e di recupero della tradizione, fuori da logiche di mercato e da una dimensione consumistica della vita. C’è chi suona, chi porta da mangiare e da bere, chi pulisce alle fine della nottata. La piazza viene vissuta come un bene comune di cui prendersi cura e ci si preoccupa di non dare fastidio a chi vive in quel luogo.
Pensiamo allo stesso Feminist Blog Camp, evento pubblico autoconvocato, autogestito, in cui è l’iniziativa personale, soggettiva, di chi vuol mettere in gioco la propria passione politica con altri e altre, a rendere il luogo originale e interessante.
In questi giorni abbiamo visto come in piazza si manifestino anche modalità più violente, aggressive, distruttive, a cui ultimamente anche le donne prendono parte. E in effetti si discute da tempo su come dare uno sbocco politico alla rabbia, un sentimento che molte e molti oggi provano di fronte a questo sistema politico ed economico. E’ importante continuare ad interrogarsi su come esprimere e incanalare in modo fecondo la propria rabbia, un sentimento potenzialmente politico per il potenziale trasformativo che essa porta con sé. Bisogna trovare il modo per dare parole alla rabbia, per estrarne delle potenzialità trasformative, e per vedere che, dalle parole scambiate e condivise, può nascere una maggiore consapevolezza circa le risorse di libertà, le leve politiche che già ora sono nelle nostre mani.
Pensiamo alle Madres de Plaza de Mayo, a come hanno trasformato il loro dolore, la loro rabbia in lotta, senza ripiegarsi individualmente sul vissuto provato.
Daniela Padoan in un libro del 2005 intitolato “Le pazze” riporta le parole delle Madres che dicono: “all’inizio andavamo in piazza per una necessità personale, ma poco a poco abbiamo capito che la lotta individuale non aveva senso, e che lottare solo per il proprio figlio non faceva crescere niente. […] è stato in quel nostro camminare a braccetto, una accanto all’altra, parlandoci e conoscendoci, che abbiamo costruito il nostro pensiero”. Il lavoro politico delle Madres non ha permesso solo una loro modificazione soggettiva, ma anche la creazione di una diffusa coscienza di lotta. Le Madres hanno operato l’invenzione di pratiche politiche di lotta generatrici di libertà, capaci di rendersi evidenti, chiare, leggibili da chiunque, al di là di dichiarazioni e speculazioni.
Ovviamente non è detto che sia sempre e solo la piazza o gli eventi pubblici a registrare un desiderio nuovo e diverso di politica, come sembra emergere dai media mainstream. In internet va in scena anche una politica quotidiana e meno appariscente, fatta di scambi che nascono da relazioni con donne e uomini attivi sul territorio, per diffondere idee e pratiche politiche, per cercare, nei vari contesti, confronto e condivisione. Le manifestazioni, i Flashmob, le performance, sono solo la punta dell’iceberg, la più visibile e mediaticamente riconoscibile. La parte più interessante è l’intenso scambio che precede e segue questi momenti.
Il sito della Libreria delle donne di Milano è una delle forme che ha preso la nostra passione politica. Tutte le settimane si riunisce presso la libreria una redazione composta da donne di diverse generazioni, e qualche uomo, per discutere di politica e quale taglio dare ai contributi politici e culturali che vogliamo pubblicare sul sito.
Una delle contraddizioni che abbiamo messo al centro della nostra discussione è stata la tentazione per la pluralità. Il mito della democrazia paritaria, il clickattivismo e l’adesione al proliferare infinito di cause e appelli, che sembrano caratterizzare la rete di questi tempi, regalano una sensazione pacificatoria che permette di mettere a posto la coscienza. La tentazione che ogni cosa abbia diritto di essere nominata, che per ogni diritto si debba fare battaglia, seduce ma fa perdere la capacità di scegliere e placa la passione politica, in un vortice di attivismo e movimentismo che annebbia le capacità critiche.
Per questo nella nostra esperienza con il sito della libreria delle donne di Milano è stato fondamentale il contributo della redazione carnale, come la chiamiamo noi. Lo scambio tra noi ci ha aiuta a individuare il taglio che metta al centro ciò che più ci preme e la radicalità del nostro pensiero non si perda in un pluralismo democratico tipico della sinistra che non orienta. Lo scambio in redazione, legato alle relazioni in carne ed ossa, ha permesso di tenere la nostra scommessa forte, quella di fare politica in rete senza rinunciare al senso critico necessario di fronte alla velocità delle informazioni e senza rinunciare ad uno sguardo aperto sul mondo.
Un altro aspetto di questa politica che è emerso con l’esperienza del sito, mostrando tutta la forza delle sue contraddizioni, è stata la consapevolezza della precarietà di questo progetto. Il sito infatti è un progetto che regge non per volontarismo ma per il desiderio che ciascuna e tutte sono disposte a spendere. Se in un progetto politico il motore non è il dovere bensì la passione non c’è nessun meccanismo esterno che garantisca la tenuta della cosa: ci siamo rese conto che è necessario esserci in prima persona, con forti relazioni, altrimenti tutto si sgonfia, perde di senso e può anche finire. Il sito c’è da anni, ma potrebbe finire domani – la Libreria stessa ormai fa parte della storia, esiste da più di 30 anni, ma è appesa allo stesso filo. La precarietà è data dall’assenza di meccanismi esterni che possano dare “garanzie”, come contratti, organizzazioni rigide, ruoli istituzionali, diritti garantiti. Ma la precarietà è data anche da conflitti che emergono nelle relazioni tra donne, di cui la storia della politica delle donne è tra l’altro costellata. Non ci sono contratti o regole che ne assicurino lunga vita.
Questo senso che sempre deve essere ritrovato dentro di sé per dare vita alla politica, pone in primo piano la soggettività e le relazioni, e può spaventare perché richiede tante energie per la cura delle relazioni. Non da garanzie rispetto alla tenuta del progetto ma è in grado di restituire entusiasmo e passione.
Un altro aspetto importante che è emerso con forza durante il nostro percorso è stata l’esperienza, che ci proviene dal movimento politico delle donne, che portare il proprio corpo e stare in presenza, pensare in presenza, è fondamentale per la passione politica.
Chiara Zamboni nel suo libro Pensare in presenza spiega come nella politica delle donne il piacere della presenza ha avuto effetti sulle pratiche. “Le donne desiderano partecipare ad un percorso politico dove il contagio, il contatto, la compresenza e le narrazioni di contesti vissuti sono essenziali. Si tratta di un godimento d’essere che crea effetti a catena nelle pratiche politiche inventate dalle donne, che alcuni uomini hanno cominciato a comprendere, ad apprezzare.”
Chiara punta l’attenzione anche sull’importanza del godimento, dell’eros anche in politica. “Godere della presenza” lei dice “accompagna un’apertura involontaria agli altri, a cui partecipiamo con tutti i nostri sensi. È data dal fatto che il lato inconscio del corpo ha con le persone e le cose legami molteplici, pulsionali, di affettività corporea.” Lo possiamo toccare con mano anche qui al Feminist Blog Camp e al fermento che si è creato attorno a questo evento che nasce da scambi, relazioni, contesti che si sviluppano prevalentemente su internet ma che poi hanno bisogno di scambi in presenza.
Partendo sempre dal desiderio di scambiare in presenza e di riflettere su cosa vuol dire essere uomini e donne che vivono in un’epoca caratterizzata dalla caduta del patriarcato, dall’avvento della libertà femminile, è nato un gruppo di uomini e donne, di diverse città, chiamato ironicamente Intercity-Intersex.
Siamo uomini e donne venuti dopo il femminismo, con chiari debiti rispetto alle donne che hanno fatto il femminismo, ma convinti che il discorso sulla separatezza avesse senso negli anni ‘70 proprio perché metteva le basi per poter interloquire con l’altro a partire da un desiderio. Ora vogliamo giocarci il desiderio di relazione tra uomini e donne, senza rinunciare a mettere al centro ciò che i corpi ci insegnano.
Partiamo dal presupposto che la rivoluzione femminista dipende anche dalla nostra capacità di pensare questa trasformazione e di indirizzarla con i nostri desideri, le nostre scelte, le nostre pratiche. Siamo convinti che dipende anche dalle risorse umane, culturali, esistenziali che sapremo investire in questo cambiamento. I nostri incontri si basano sull’esigenza di riflettere sulle relazioni fra i sessi, individuando e nominando i nodi che attraversano le nostre vite, le nostre relazioni e condividere insieme le nostre esperienze e le nostre riflessioni.
Inizialmente ci trovavamo nelle case, tenendo la pratica del partire da sé e lo scambio in presenza come cifre del gruppo. Poi il gruppo si è allargato al contributo di altri ma al centro rimane il piacere dello stare assieme, di prendersi cura delle relazioni, in luoghi belli, regalandosi momenti di scambi anche al di fuori di momenti puramente intellettuali.
L’attrazione, l’eros, il desiderio di relazione sono stati nominati come aspetti su cui volevamo puntare fin dall’inizio perché non ci interessa ricadere nel discorso della necessità della relazione con gli uomini in quanto necessaria per costruire una convivenza più civile, non segnata dalla violenza. Si tratterebbe di una esigenza finalizzata a un obiettivo nobile ma, se non sorretta da un reale desiderio di incontro, di scambio sincero con l’altro, diverrebbe di corto respiro.
Il desiderio di scambio però si è accompagnato immediatamente alla necessità di aprire conflitti e anche in questo ambito si è visto come fosse fondamentale lasciare spazio all’attrazione per l’altro. L’eros è l’essenza delle relazioni e lasciandogli spazio può capitare qualcosa di nuovo, di interessante anche nei contesti più impensati. Lo sanno bene le donne con l’esperienza del femminismo degli anni ’70. Si tratta di una forza che trascina, che rende inventivi. L’esperienza dell’erotismo è legata alla necessità dello scambio con l’altro, al sentimento del non bastarsi, e permette di fare aperture date dalla curiosità, dal desiderio di capire, di conoscere dove l’altro sta andando, di sbilanciarsi sull’imprevisto.


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