Precari contro operai di Mirafiori

Da Brunougolini
Nel grande dibattito aperto su giornali e Tv attorno al caso Fiat, c’è stato qualche precario che ha lamentato il troppo scalpore suscitato. Per denunciare la propria attesa di contratti ballerini, la mancanza di ferie, nessun diritto a stare malato ricevendo comunque un sostegno economico, nessun diritto a scioperare in caso di soprusi, nessuna possibilità di essere rappresentati da un sindacato. Noi, si aggiungeva, non possiamo nemmeno essere protagonisti di un referendum e votare per un Si o per un No. I nostri “contratti” sono indiscutibili e i nostri partner imprenditoriali sono tanti Marchionne che hanno già vinto senza troppi clamori. 
Un atteggiamento ben comprensibile. Qualche operaio delle Carrozzerie di Mirafiori potrebbe ribattere che nemmeno il suo futuro è assicurato e che comunque molto difficilmente i precari dei nostri giorni, presenti sì nel lavoro manifatturiero, ma soprattutto nei servizi pubblici e privati, o nel commercio e nei giornali, si adatterebbero a sostare anche dieci ore al giorno sulle future catene di montaggio di Mirafiori.
Qualche intellettuale ha alimentato questa contrapposizione tra precari e operai di Mirafiori, irridendo una sinistra che non firmerebbe appelli pro-precari, ragionando sulle novità “liberatorie” della globalizzazione. Ed è vero che tale fenomeno “libera” e fa crescere forze nuove all’Est e in Asia, sia pur costrette in gabbie prive di diritti e salari adeguati. Nel nostro Occidente una parte degli imprenditori (non tutti, come testimoniano chimici e tessili) utilizzano tale presenza come esercito di riserva per ottenere un livellamento di diritti e salari nostrani. Quale è l’alternativa per la sinistra? Qualcuno sbraita nei confronti di serbi o cinesi, considerati nuovi crumiri. Altri pensano che la globalizzazione tende a rendere tutti precari, quelli di Mirafiori e i collaboratori a progetto.  Prenderne atto o tentare strade diverse? Sarebbe importante, ad esempio, se scendesse in campo un sindacato multinazionale capace di coordinare le diverse realtà produttive. 
Ad ogni modo per i precari (diffusi ormai in tutta Europa) la sinistra farebbe bene ad uscire da una contrapposizione senza esito tra le due categorie (operai e precari), da questa guerra tra poveri. Magari indicando, anche per i precari, una via di lotta e obiettivi raggiungibili (come aveva tentato il governo Prodi). Operazione non facile per il fatto che il sindacato arranca nel cercare di organizzare una moltitudine che in questo campo spesso opera in solitudine e che comunque poco si fida del sindacato stesso.  La Cgil della Camusso si è mossa con la campagna sui giovani “non più disposti a tutto” e con le iniziative per i ricorsi previsti dal decreto governativo del governo. Piccoli passi, ma meglio delle tante dissertazioni accademiche.  

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