di Jamie Shreeve
I nostri antenati, già milioni di anni prima di Lucy, l'antenato degli uomini per antonomasia che visse in Africa 3,2 milioni di anni fa, attraversarono una fase evolutiva su cui non si sapeva ancora niente. Una sicurezza per gli scienziati che, solo pochi mesi fa, hanno scoperto il più vecchio scheletro fossile di un antenato dell'uomo.
Il pezzo forte di un'arca di tesori fossili con caratteristiche ancora sconosciute, lo scheletro – attribuito a una specie chiamataArdipithecus ramidus – apparteneva a una femmina del peso di 50 kg, con un cervello piccolo, che è stata soprannominata "Ardi”.
Questo fossile ha smentito l'ipotesi, in voga fin dai tempi di Darwin, che ci fosse un anello mancante – collocato a metà strada tra l'uomo e le scimmie dei nostri giorni - che si collocherebbe alla radice dell'albero della famiglia umana. Anzi, queste testimonianze fossili suggeriscono che lo studio dell'anatomia e del comportamento degli scimpanzé, considerati a lungo dagli studiosi la scimmia da cui derivare la natura dei primi ominidi, ha in realtà scarsa rilevanza nella comprensione delle nostre origini.
Ardi, invece, mostra una combinazione di caratteristiche avanzate e di tratti primitivi che si riscontrano in scimmie molto precedenti agli scimpanzé o ai gorilla. In quanto tale, si tratta di uno scheletro che apre una finestra sulle possibili caratteristiche dell'antenato comune tra gli uomini e le scimmie odierni.
«È una scoperta molto più importante di quella di Lucy», assicura Alan Walker, paleontologo dell’Università Statale della Pennsylvania, che non ha partecipato alla ricerca. «Mostra che l'ultimo antenato comune tra uomini e scimpanzé non aveva l'aspetto di uno scimpanzé o di un uomo né di una qualche via di mezzo».
Ardi circondata da una famiglia
I fossili di Ardipithecus ramidus sono stati rinvenuti nell’inospitale deserto di Afar, in Etiopia, in un luogo chiamato Aramis che si trova nella parte centrale della regione dell'Awash, a soli 74 chilometri da dove fu ritrovata, nel 1974, la specie di Lucy, Australopithecus afarensis. La datazione radiometrica dei due strati di cenere vulcanica che sigillano i depositi di fossili dalla parte superiore e da quella inferiore ha rivelato che Ardi visse 4,4 milioni di anni fa.
Altri fossili di ominidi rinvenuti in passato, tra i quali un cranio nel Ciad di almeno 6 milioni di anni fa, sono importanti, ma nessuno svela tanti elementi quanto i resti in questo deposito ritrovato di recente dove oltre allo scheletro parziale di Ardi, si sono contate ossa di altri 36 individui.
«Da un giorno all'altro ci siamo ritrovati con uno scheletro che ha le dita, le dita dei piedi, le braccia, le gambe, la testa e i denti», riferisce Tim White dell’Università della California a Berkeley, che ha co-diretto lo studio assieme a Berhane Asfaw, paleoantropologo ed ex direttore del Museo Nazionale dell'Etiopia, e Giday Wolde Gabriel, geologo presso il Los Alamos National Laboratory nel New Messico. «Questo ci permette di fare cose che non è possibile fare con reperti isolati”, conclude White. "Ci permette di fare ricerca nell'area della biologica».
Lo strano modo di muoversi di Ardi
L'aspetto più sorprendente della biologia di Ardipithecus è lo strano modo che aveva di muoversi.
Tutti gli ominidi conosciuti finora - tutti i membri del nostro lignaggio ancestrale - camminavano su due gambe, come noi. Il bacino, i piedi, le gambe e le mani di Ardi suggeriscono invece che si spostasse come un bipede sul terreno e come un quadrupede sugli alberi.
Il grande alluce, per esempio, si separa dal piede come quello di una scimmia per meglio afferrare i rami degli alberi. Diversamente dal piede dello scimpanzé, tuttavia, Ardipithecus presenta un piccolo osso con un tendine, tramandato da antenati più primitivi, che mantiene l’alluce divergente più rigido. In combinazione con le modifiche alle altre dita del piede, quest'osso, così formato, avrebbe aiutato Ardi a camminare come un bipede sul terreno, sebbene in modo meno efficiente degli ominidi successivi come Lucy. Questo particolare osso si è perso anche nelle famiglie ancestrali degli scimpanzé e dei gorilla.
Secondo i ricercatori, il bacino presenta un mosaico di caratteristiche molto analogo. Le larghe ossa frastagliate della parte superiore erano posizionate in modo che Ardi potesse camminare su due gambe senza sbandare con il corpo da una parte all'altra come fanno gli scimpanzé. Quella inferiore invece aveva la struttura di una scimmia per lasciare abbondante spazio ai forti muscoli posteriori funzionali agli spostamenti sugli alberi.
Nemmeno sugli alberi Ardi si muoveva come una scimmia moderna, riferiscono i ricercatori. Gli attuali scimpanzé e i gorilla possiedono un'anatomia degli arti evoluta verso una specializzazione che permette loro di arrampicarsi in posizione verticale lungo i tronchi degli alberi, di appendersi e di dondolarsi tra i rami e di camminare appoggiandosi sul terreno con le nocche.
Questi comportamenti richiedono tuttavia delle ossa e delle articolazioni del polso rigide e molto forti, mentre le articolazioni dei polsi e delle dita di Ardipithecus sono notevolmente flessibili. Se n’è dedotto che probabilmente Ardi camminava sui palmi quando si spostava sugli alberi, in maniera analoga ad altre scimmie fossili primitive e agli scimpanzé e ai gorilla.
«Quello che Ardi ci sta dicendo è che nella nostra evoluzione c'è stata una fase intermedia della quale non sapevamo niente», conclude Owen Lovejoy, ricercatore di anatomia presso l'Università Statale di Kent, Ohio, che ha analizzato le ossa della parte inferiore del collo di Ardi. «Questa scoperta cambia tutto».
Superando tutti gli ostacoli, Ardi riesce a prevalere
I primi e frammentati reperti di Ardipithecus furono rinvenuti ad Aramis nel 1992, mentre la pubblicazione dei lavori è del 1994. Lo scheletro appena scoperto è stato ritrovato anch'esso nel 1992 e riportato alla luce assieme alle ossa di altri individui nelle successive tre stagioni di scavo. Dato però che le ossa erano in condizioni pessime, ci sono voluti 15 anni prima che il team di ricerca fosse in grado di analizzarle in maniera approfondita e di pubblicare quindi i risultati.
Dopo la morte di Ardi, i suoi resti, si presume, furono calpestati e spinti nel fango dagli ippopotami o da altri erbivori. Milioni di anni più tardi, l'erosione riportò queste ossa malridotte e deformate in superficie, ma erano così fragili che sarebbe bastato poco per farle diventare polvere. Per riuscire a preservare questi preziosi frammenti, White e i suoi colleghi hanno prelevato i fossili insieme alla pietra che li conteneva. Il resto del lavoro è stato poi realizzato in un laboratorio ad Addis Abeba dove i ricercatori, utilizzando un ago guidato sotto un microscopio e procedendo "dal millimetro al sottomillimetro” sono riusciti a staccare le ossa dalla matrice di roccia. Solo questo processo ha richiesto diversi anni.
I frammenti del cranio sono poi stati sottoposti a TAC e ricostruiti digitalmente da Gen Suwa, paleoantropologo dell'Università di Tokyo. Alla fine di questo processo, il team di ricerca si è ritrovato con 125 parti di uno scheletro, incluse ossa dei piedi e quasi per completo le mani - una vera rarità tra i fossili di ominidi di qualsiasi periodo, per non parlare di quelli ancora più antichi. «Ritrovare questo scheletro è stato più che una fortuna», commenta White, «è stato un miracolo».
Il mondo di Ardi
Nello stesso sito, il team ha rinvenuto anche fossili di circa 6.000 animali e altri reperti che permettono di ricostruire il mondo abitato da Ardi: una regione boschiva e umida, molto diversa dall'arido paesaggio attuale. Oltre alle specie di antilopi e di scimmie associate alle foreste, il deposito conteneva uccelli di foresta e semi di fichi e di alberi di palma.
Il consumo e gli isotopi dei denti dell’ominide suggeriscono una dieta a base di frutta, noci e altri cibi che si trovano nelle foreste. Se White e il suo team hanno ragione sul fatto che Ardi camminava eretta sul terreno, ma si arrampicava anche sugli alberi e a questo si sommano le conclusioni cui portano i reperti ambientali, questa scoperta rappresenterebbe le campane a morte per "l'ipotesi savana”, la vecchia nota teoria secondo la quale i nostri antenati acquistarono la posizione eretta in funzione della necessità di muoversi in un ambiente di erba alta.
Sesso in cambio di cibo
Alcuni ricercatori, tuttavia, non sono del tutto convinti che Ardipithecus sia stato così versatile. «È indubbiamente uno scheletro affascinante, ma sulla base di ciò che è stato presentato finora, le prove della bipedalità sono quantomeno limitate», afferma William Jungers, esperto di anatomia all’Università Stony Brook, nello Stato di New York.
«Gli alluci divergenti sono associati alla funzione della presa e questo scheletro ha gli alluci più divergenti che si possano immaginare», spiega Jungers. «Quindi perché un animale pienamente adattato a sostenere il peso sugli arti anteriori sugli alberi dovrebbe scegliere di camminare sul terreno come un bipede?».
Una provocatoria risposta a questa domanda – posta inizialmente da Lovejoy nei primi anni Ottanta e riproposta ora alla luce della scoperta di Ardipithecus – attribuisce l'origine della bipedalità a un altro tratto caratteristico dell'uomo: il sesso monogamo.
La quasi totalità delle scimmie, e in particolare i maschi, presentano dei canini superiori molto lunghi: delle armi formidabili nelle lotte per conquistarsi il diritto all'accoppiamento. Secondo i ricercatori, Ardipithecus era probabilmente già avviato lungo un percorso evolutivo di tipo umano unico, dato che aveva canini "femminilizzati", vale a dire, di dimensioni molto ridotte – un moncherino a forma di diamante.
Lovejoy considera questi mutamenti parte di un cambiamento epocale nel comportamento sociale: invece di lottare per conquistarsi il diritto ad accoppiarsi con una femmina, Ardipithecus usava come strategia quella di raccogliere del cibo e di passarlo a una femmina scelta e alla sua prole per guadagnarsi la sua lealtà sessuale.
Per comportarsi in questo modo, per portare il cibo alla femmina, il maschio doveva avere le mani libere. Il bipedalismo per Ardipithecus potrebbe essere stato inizialmente un semplice modo per spostarsi, mentre diventando funzionale alla strategia del "sesso in cambio di cibo” era anche un modo eccellente per avere una prole più numerosa. E naturalmente, nell'evoluzione, una prole più numerosa è l'obiettivo in gioco.
Circa 200.000 anni dopo Ardipithecus, nella regione fece la sua comparsa un'altra specie chiamataAustralopithecus anamensis. Le ricerche in generale concordano sul fatto che questa specie sia presto evoluta per diventare Australopithecus afarensis, dotato già di un cervello leggermente più grande e che conduceva una vita completamente bipede. Infine arrivò il genere Homo, con il suo cervello ancora più grande e una sempre maggiore abilità nell'utilizzo di strumenti.
Si può affermare che il primitivo Ardipithecus, nei 200.000 anni che lo separano dall’Australopithecus, abbia subito dei cambiamenti che l'hanno fatto diventare l'antenato di tutti gli ominidi successivi? Oppure l’Ardipithecus si estinse e con esso tutte le bizzarre caratteristiche primitive e avanzate di questa specie?
L'altro responsabile dello studio, White, non vede in questo scheletro «niente che dovrebbe escluderlo dalla linea ancestrale». Tuttavia, ritiene, per risolvere la questione ci vorrebbero altri reperti fossili. Jungers dell'Università Stony Brook aggiunge che «questi ritrovamenti sono incredibilmente importanti e considerando il grado di conservazione delle ossa, il nostro lavoro è stato una impresa eroica. Ma questo è solo l'inizio della storia».
Fonte: National Geographic