Timido sui diritti civili, allineato al neoliberismo su quelli sociali. Renzi ripercorre la strada della sinistra anni '90, succube delle ideologie dominanti (di Piero Ignazi - l'Espresso)
Renzi è giovane ma il suo programma è vecchio. Dalle iniziative del governo promana un sentore da anni Ottanta, non solo per lo stile politico del leader, che rimanda al craxismo arrogante e decisionista degli esordi, quanto per i riferimenti ideologico-culturali. Le proposte messe in campo dall'esecutivo sembrano più ispirate ad un conservatorismo compassionevole con qualche tinta di solidarismo cattolico piuttosto che ad una visione di riformismo progressista, cioè orientato all'espansione dei diritti (anche sul lavoro, ovviamente) e alla conquista di una maggiore giustizia sociale.
Renzi ha perso per strada molti spunti innovativi delle prime Leopolde: oltre a esibire una timidezza vittoriana sul terreno dei diritti civili, il segretario Pd si è allineato al pensiero dominante di matrice neoliberista in economia e ha declinato la pulsione verso l'egualitarismo, insito nel Dna della sinistra, in una versione caritatevole del welfare.
In realtà, in questa rincorsa dell'avversario sul piano dei valori e delle idee Renzi arriva buon ultimo. Il presidente del consiglio, con la sua giovanile baldanza, ha portato alle estreme conseguenze una linea già tracciata dai suoi predecessori. Il leader del Pd, a ben vedere, si inserisce in una linea di continuità con il passato. Ha solo inferto l'ultimo colpo a miti e simboli della sinistra che erano già stati incrinati, e a volte picconati, dai suoi predecessori. Se rileggiamo la storia politica degli ultimi trent'anni in questa ottica possiamo immaginare un percorso circolare: inizia con l'irruzione craxiana che infrange certezze ossificate della sinistra comunista (ricordiamo solo l'esito del referendum sulla scala mobile del 1984 promosso - e perduto - dal Pci); prosegue negli anni Novanta, quando il centro-sinistra è al potere, con la scoperta dei vincoli finanziari internazionali e le virtù della imprenditoria arrembante (la "rude razza padana" …); e si conclude con la soggezione culturale vuoi al mercatismo tremontiano, vuoi all'austerità montiana. Un percorso a ritroso, quello della sinistra, a scoprire le virtù degli avversari lasciando cadere le proprie bandiere. La timidezza dei progenitori del Pd, alla fine, è transitata anche nel partito democratico, ed ha eroso le fondamenta valoriali di una sinistra che volesse chiamarsi tale.
Le politiche del governo Renzi si affermano in questo contesto. E radicalizzano le sudditanze e i pensieri deboli partoriti dalla sinistra in questi decenni. Ha buon gioco Renzi a limare l'art 18, a definire il Jobs Act come una grande riforma modernizzante, a imporre un concetto aziendalista alla scuola con il preside manager, a intervenire sulla povertà con la social card dell'epoca berlusconiana dimenticando che «quando uno va a ritirare il proprio bonus ritira anche la sua dose di vergogna», come scrive il grande sociologo Richard Sennett. Il presidente del consiglio prosegue la sua marcia riformatrice adagiandosi sulle ricette del neo-liberismo e del conservatorismo compassionevole, e inserendovi, qua e là, alcuni spunti più solidali e radical. L'idea di giustizia ed equità sociale, anche se talvolta evocata, magari con vibrante retorica, rimane laterale al progetto riformatore del premier.
Tutta l'innovazione politica renziana sembra allora più inverarsi nei mezzi (le slide, i tweet, il vortice presenzialista) che nei contenuti. Perché questi ultimi vengono avvolti in una nebbia che confonde i riferimenti. Quando Renzi afferma che un provvedimento «non è né di destra né di sinistra, ma giusto», intende diluire la connotazione ideologica delle sue iniziative per potersi muovere al di sopra, e tra, gli schieramenti politici. Ma la negazione della divisione sinistra-destra è velleitaria, o, al peggio, una mistificazione qualunquista e populista. In realtà l'operato del governo una impronta ideologica, in filigrana, ce l'ha, ed è vecchia di trent'anni.
Però è stata l'atrofia intellettuale della sinistra per oltre un ventennio - solo ora ci sono segni di risveglio con iniziative culturali affidate a singoli di buona volontà - a consentire l'affermarsi di un leader politico tanto insensibile alle mitologie della sinistra quanto attratto da una terza via in versione neoliberista.
(Piero Ignazi - L'Espresso)
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