Fa parte della new generation il brasiliano Alfonso Poyrat, di quella schiera di registi moderni che con la (video)camera ci giocano, sperimentano, amano praticarci il cinema (e non solo) nelle sue immense forme, ma ancora di più la versatilità del digitale e della post-produzione.
Rispetto ai soliti giocherelloni da YouTube, Poyrat però di cultura cinematografica non ci si è nutrito solo per diletto, ha imparato a coglierla e a riprodurla con mestiere e buon occhio, e lo dimostra il biglietto da visita di un thriller a sfondo soprannaturale che ricalca le atmosfere e le suggestioni dei migliori prodotti del genere arrivati in sala negli ultimi anni. Per alcuni aspetti folgora il suo "Premonitions", schiantandosi sullo spettatore "a schiaffo", senza accomodamento e trasportandolo già al "pronti, via" nel bel mezzo di un caso da risolvere con al centro un serial killer affermato, abile e pericoloso. Non ha alcuna paura di esaurire le carte a disposizione la pellicola, andando subito a pescare l'elemento migliore rappresentato dal sensitivo Anthony Hopkins, provvisto di quel potere straordinario che gli permette di anticipare e vedere il futuro (ma anche il passato) al solo tocco della persona o dell'oggetto a lei appartenente. Un potere che, sempre in poco tempo, si scopre appartenere in forma più sviluppata allo stesso omicida che l'FBI sta cercando di stanare e di fermare, innalzando di un'ulteriore spanna il grado di coinvolgimento elevato prodotto dalla scena.
Come un orologio svizzero allora, puntuali, la tensione e il ritmo incalzano a raffica, con un'indagine piena di dubbi e di punti interrogativi da risolvere a cui vanno ad aggregarsi le premonizioni negative, con tanto di immagini agghiaccianti, utili a ricreare il magnetismo e le atmosfere di quel "Se7en" che probabilmente è il campione numero uno a cui Poyrat, aggiornandolo, ha voluto guardare. Una carica fortissima, nella quale lo spettatore, sedotto, ha voglia di rimanere aggrappato il più possibile, ma che, invece, inaspettatamente deve abbandonare di colpo, non appena all'intrattenimento studiato e funzionante, "Premonitions" decide di attaccarci discorsi considerevoli come quello sull'eutanasia.
Spezza gli ingranaggi, dunque, la pellicola, alza l'asticella troppo in alto (e nel momento sbagliato), fondendo il motore e rovinando un viaggio al quale gli spettatori erano decisamente contenti di aver preso parte, così come delusi, poi, per essersi fermati troppo in anticipo. Svelato il nesso che collega gli omicidi di un Colin Farrell a mezzo servizio, "Premonitions" infatti sembra quasi accartocciarsi su sé stesso, volersi elevare da un contesto che magari era puramente confinato allo spettacolo (ma comunque di livello), per andare a dire qualcosa che, alla fine, stringendo stringendo, non riesce neppure ad affrontare con il giusto ordine e delicatezza. Per non accontentarsi, insomma, la sceneggiatura scritta da Sean Bailey e Peter Morgan finisce con il logorarsi da sola e penalizzare l'esordio statunitense di un regista che, per quanto ancora in fase di valutazione, aveva mostrato di voler dire la sua, ritagliandosi uno spazio.
Spazio che, purtroppo, "Premonitions" col senno di poi non può andarsi a prendere, ridimensionato grandemente dal disordine allucinante di una seconda parte auto-distruttiva, della quale non è possibile salvare nulla e con cui dissolve persino il ricordo dell'ottima partenza elogiata.
Dagli errori tuttavia c'è solo da imparare per cui per un giovane come Poyrat c'è ancora tempo per mettersi in mostra, facendo attenzione casomai, la prossima volta, ai cambi repentini di copioni potenzialmente buoni, ma da rivedere in parte, e perché no anche a quella voglia di perder tempo con effetti speciali belli da vedere, ma meno necessari ai fini pratici.
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