A pranzo alla mensa di uno dei principali gruppi editoriali, ospite di un amico, mi appunto mentalmente due particolari che so che prima o poi utilizzerò da queste parti. Delle esperienze non si getta via nulla, come il maiale. Il primo è la visione di Paolo Mieli, così è facile anche capire a casa di chi sto scroccando un piatto di zuppa di lenticchie. Lo seguo in fila alla cassa con un completo blu. Il direttore prende il vassoio e si mette in cerca, come tutti, di un tavolo libero.
Noto quindi un paio di dipendenti più giovani della media motivati verso il comune obiettivo. Due venti-e-qualcosenni che si fanno spiegare dal barista come funziona il meccanismo della mensa, probabilmente sono alle prime esperienze non solo professionali. Valutano se prima occorra munirsi di scontrino o del vassoio, se la macedonia sia alternativa al dessert o al caffè. Considerando il momento storico, mi viene voglia di andare a disturbarli per congratularmi con loro di essere lì e di esserci da poco, ma non vorrei generare ulteriore confusione nel loro tentativo di osservare la procedura, sapete come sono i primi giorni negli ambienti professionali inesplorati. E vorrei anche estendere loro i complimenti per la tenacia con cui probabilmente ci sono arrivati. Ci sono più possibilità di vincere un conclave in Vaticano che di lavorare nei media e nei giornali di quel livello, quindi è encomiabile che ci siano ancora giovani che scelgono volontariamente una vita di stenti, precariato e incertezze, e credo di essere stato fin troppo clemente nell’attribuzione dei termini per qualificare il settore.
Mentre li osservo sfoggiare il giovanilismo in eccesso del loro outfit – una delle peggiori piaghe del nostro tempo che imbruttisce individui di ogni età, io parteggio per il completo blu di Paolo Mieli – mi sovviene la consueta metafora dei funamboli su un crepaccio per ottenere la più opportuna rappresentazione visuale di un lavoro molto difficile che è già difficile in partenza, quando cioè lo cerchi. Tutti vi ambiscono non solo perché si sta seduti, uno può farlo un po’ come vuole, dove e quando preferisce. Senza contare che ogni volta che un mezzo di comunicazione diventa popolare tutti fanno credere che c’è bisogno di gente specializzata, questo è successo prima con i giornali poi con la radio quindi con la tv e ora sul web. Dev’essere così che funziona l’economia. Ma lo spunto che mi ha dato l’opportunità di raccogliere queste riflessioni l’ho avuto ieri sera, quando durante il programma di Rai3 Gazebo sono stati trasmessi alcuni stralci dalla manifestazione dei pentastellari di domenica scorsa a Genova, iniziativa nota ai media – demerito quindi anche degli operatori di stampa e tv – come vaffaday o qualcosa del genere.
In più occasioni, ma non è la prima volta che accade, il movimento mascherato dal basso che più basso non si può ha dimostrato una paura immotivata nei confronti dei giornalisti, altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento con cui in ogni occasione vengono additati dai megafoni al soldo della coppia di capelloni canuti come i primi della lista dei nemici del popolo, mettendo nel mucchio dall’opinion leader più sovraesposto – uno come Paolo Mieli, per esempio – all’articolista meno blasonato, in un settore in cui oggi tra rete, freepress e cani sciolti c’è un livello di confusione senza precedenti.
Nella mia esperienza quotidiana, ma se cercate in giro troverete conferma di ciò, il numero di lettori di quotidiani è soggetto a un calo mai visto. Fino a qualche anno fa in una qualsiasi carrozza sul treno dei pendolari del mattino qualcuno con il Corriere o Repubblica si intravedeva. C’era persino chi ti sbatteva in faccia la sua, di faccia, una faccia molto da cazzo coperta dal Foglio, dal Giornale o da Libero. Molti di questi sono stati soppiantati con altrettanta cieca supponenza dai lettori del Fatto Quotidiano, e come non mai abbiamo cominciato a percepire il vento della cospirazione durante le trasferte quotidiane, anche con i finestrini aperti e lontano dalle toilette chimiche. Dalle ultime elezioni a questa parte, non so se sia casuale, mi accade di trascorrere intere settimane senza vedere nemmeno un lettore con un qualsiasi quotidiano aperto davanti. Ecco, il fatto che M5S abbia così paura dei giornali, oggi che i giornali non se li incula più nessuno, rimane un’incognita.