Gordimer e Kafka, diversità e singolarità
Diversità.Il vocabolario ci dice: diversità s. f. [dal lat. diversĭtas -atis]. – L’esser diverso, non uguale né simile.Molti autori si sono confrontati con il loro sentirsi diversi, alieni, non accettati, superbamente differenti. Per alcuni una reale sensazione di disagio, una volontà ferrea di essere come gli altri, continuamente sconfitta, per altri una decisione cosciente, rivendicata in ogni rigo, parola o sguardo che viene concesso agli altri per dimostrare che essere diversi rappresenta un valore, un’arte che si rintana nella pancia e sulle labbra di pochi eletti, senza poter mai essere afferrata e distillata.
Nadine Gordimer nel suo discorso per il conferimento del Premio Nobel, rispondendo alla consueta domanda “Perché si scrive?”, ha raccontato la sua idea di diversità, non soltanto per essere cresciuta come una privilegiata bianca in un paese di emarginati neri (Sud Africa), ma soprattutto in quanto scrittrice, inventrice di storie, maniaca della parola in tutte le sue forme, immersa in un mondo di persone normali.La sua attitudine alla continua ricerca del particolare, dell’espressione che meglio si adattava ad una situazione, il piccolo taccuino delle parole interessanti che conservava, tutto questo la faceva sentire come il cane “Mai Più”.
Kafka nei suoi Diari ci narra dei suoi tre cani: Prendilo, Tienilo e Mai Più. I primi due, ci dice l’autore, sono piccoli cani comuni, i cui nomi farebbero intendere la loro disponibilità ad accettare le richieste dell’uomo senza protestare. Nessuno li noterebbe se non fossero vicini a “Mai Più”, un bastardino, sempre attivo e scarsamente ubbidiente, sporco e spelacchiato, alla continua ricerca della prossima avventura da ideare e di un nuovo dissenso da dimostrare. Per Nadine Gordimer lo scrittore sarà sempre il “Mai Più” di turno, pronto a contestare, a far dubitare, ad inventare il mondo che il lettore vorrebbe vivere e non riesce a trovare. Per questo sacrifica il suo aspetto, il suo riposo, ciò che sarebbe meglio per lui. Non può fare a meno di essere etichettato con un “Mai Più” da chi si troverà ad incrociarlo e grazie a lui gli altri, i “Prendilo” e “Tienilo” di turno, saranno molto più apprezzati.La diversità allora diviene la chiave per riconoscere e gustare la propria uguaglianza. Senza i diversi nessuna soddisfazione ci sarebbe per l’uomo nel non essere annoverato fra le loro fila.
Ma come distinguere fra i “Mai Più” originali e i “Prendilo” e “Tienilo” camuffati da “Mai Più”? Quanti degli artisti che amiamo sono portatori di una diversità intrinseca e quanti invece se la sono costruita con il solo obiettivo di essere accettati dagli altri proprio in quanto diversi? John Bart, scrittore del ‘900 e autore de “L’opera galleggiante” (1956 – edito in Italia da Longanesi nel 1968 e poi da Minimum Fax nel 2003) ha impostato l’intero romanzo sulla ricerca della diversità. Il suo protagonista indaga sugli altri, sulla loro apparente normalità, scovando invece continui segnali di diversità, solo per cercare di capire se, alla fine, c’è un senso (profondo o leggero che sia) nel continuare ad esistere e quindi a confrontarsi con loro. Ogni volta che Bart osserva l’uomo, nel suo perpetuo avvicinamento e allontanamento da se stesso (come un teatro galleggiante, ancorato ad un terreno sabbioso), scopre un particolare in più, una goccia di diversità che fa apparire gli altri come un insieme di diversità, una massa di “Mai Più” camuffati da “Prendilo” e “Tienilo” per non perdere la certezza del gruppo. Diversità allora diviene sicurezza, la certezza di potersi fingere “Prendilo” e “Tienilo”, mentre si vorrebbe lasciare libero sfogo al “Mai Più” che, profondo, si annida in ognuno di noi.
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