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Prendo dolore (automagically bye bye)

Creato il 16 ottobre 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Cos’è stato il Romanticismo, cosa ci ha lasciato? Pagine inghiottite nei libri di scuola, tutta questa voglia d’amare e arrivare al cuore con le parole per direttissima senza disturbare la polpa. Meraviglia un poco ammuffita. Il vinile è diventato mp3, è cambiato il modo di fare musica, di acquistarla e ascoltarla. La ribellione partiva dai capelli, partiva dalla coesione. Dal stare male insieme. Passami la bottiglia. Non era una cosa astratta, non erano le sedie semi vuote di un parlamento indolente. Aveva nomi e cognomi, nessuno ci ha mai ignorato.  Noi ragazzi eravamo un corpo solo, c’era chi sbagliava e si perdeva ma la periferia ci conteneva tutti, coi muri di nessuno scrostati a sostenere pance piene di birra, spinelli, risate, stronzate, mani in cerca di libertà e stelle.

Queste erano le nostre gite fuori porta, non distavano molto dalle porte. Ma non c’eravamo per nessuno. C’era chi moriva per voler essere troppo diverso, perché sfuggiva al controllo della normalità esercitata dalla famiglia. Tra noi esistevano solo cose di dominio pubblico. Innamorarsi, venire alle mani, dire qualcosa di cattivo su qualcuno era qualcosa di immediato. Eravamo senza una strada, non senza una direzione, non senza una (non richiesta) striscia di mezzeria dipinta da qualche parte, non eravamo a secco. C’era il pieno per partire e non tornare più, diventare grandi, spaccare le amicizie, imparare un dialetto nuovo al rientro dal turno in fabbrica, amare une veneta bionda un po’ fredda che si sarebbe scaldata con qualche figlio.

Avremmo deciso il colore dell’auto, e la disposizione delle stanze. Avremmo dato istruzioni al giardiniere ricordandoci i tempi in cui facevamo i garzoni e la vita era così bella di briciole, abbastanza di briciole, da raccogliere con un poco di sforzo.

Diventare grandi non è stato come ci aspettavamo, non più bello non più brutto. Diverso. L’apericena al posto dei calci al palloni coi calzoni sporchi di fango in un campo di calcio inghiottito dalla nebbia a 20 chilometri da Bologna. Le scadenze, i post-it sulla scrivania al posto delle verifiche. Il significato della parola “dolore” molto più chiaro di quello di Romanticismo. L’hanno anche scritto sul bagno dell’Autogrill di Carugate “Tu col dolore ci giochi troppo”. Adesso che abbiamo le direzioni, i soldi per le mance, adesso che qualcuno ci vuole morto o vivo come non mai, adesso che stiamo in piedi solo con le attenzioni di qualcuno. “Tu col dolore ci giochi troppo”.

Viviamo la vita normale, quella che sta nel mezzo, ma ricordiamo solo i picchi. Di felicità, di infelicità. Niente di più. Una messa in piega alla settimana, la partita con gli amici. Un consiglio da Benedetta Parodi, uno da Paolo Fox e poi siamo liberi di andare a giocare ognuno col suo dolore. Cosa c’è da dire. Cosa c’è da spiegare. Cosa c’è da guardare.

Siamo grandi, ora. Non si è capito ancora quanto e chi debba stabilirlo. Un giro ancora, forse lo sapremo. Ti hanno vista andar via con un sorriso così leggero che sembrava cotto al vapore. Mi hanno visto ricordare gli anni partiti e non pIú tornati con la febbre sulle labbra. Volevo un test sul Romanticismo invece il dottore pelato e sovrappeso che ho di fronte mi chiede:

–  Mi parli della sua insonnia, lei fa qualcosa per restare sveglio? Prende il caffè, qualche eccitante?

Tiro un sospiro lunghissimo ché è tutto quello che ho.

–  No, penso, ricordo. Prendo dolore.



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