I filosofi non sono persone tranquille e pacifiche. Proprio no. Sono inquieti e, soprattutto, se le danno di santa ragione. Non da oggi, da sempre. Platone, tanto per fare un nome, non sopportava Democrito e la sua teoria degli atomi, a tal punto che nei suo “mitici” dialoghi l’unico nome assente della filosofica famiglia greca è proprio Democrito. Cancellato, censurato, come se non fosse mai esistito. Arthur Schopenhauer non sopportava la filosofia di Hegel ma anche il piccolo particolare che le lezioni del filosofo della Fenomenologia dello spirito erano affollate all’inverosimile e quelle di Schopenhauer, nonostante tanta rappresentazione e tanta volontà, le seguivano quattro gatti. Così Schopenhauer ricorse all’insulto, che teorizzò come rimedio dell’extrema ratio: “Hegel è uno sciupatore di carta, di tempo e di cervelli”. Ottimo insulto. Ancora un assaggio: “Hegel, insediato dall’alto, dalle forze al potere, fu un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato che raggiunse il colmo dell’audacia scarabocchiando e scodellando i più pazzi e mistificanti non-sensi”. Il catalogo degli insulti di Schopenhauer – anche sui giornalisti: “Sono solo allarmisti” - è foltissimo e rimando al volumetto L’arte di insultare. Un’arte che non è mancata a Waismann (anche senza leggere Schopenhauer) il quale non ce la faceva più a sentirsi ripetere la frase di Wittgenstein – “Qual è lo scopo della filosofia? Far uscire la mosca dalla bottiglia” - e sbottò: “Per rispetto taccio ciò che stavo per dire”.
La storia delle polemiche filosofiche continua in eterno. La cosa non deve stupire perché le idee filosofiche sono per loro natura polemiche, cioè per affermare se stesse devono necessariamente negare altre idee. I due maggiori filosofi italiani del Novecento, Croce e Gentile, furono amici e poi divennero nemici. Si divisero prima sul piano filosofico e poi su quello politico: il primo opponendosi al fascismo, il secondo teorizzandolo (anche se la sua filosofia come “atto puro” è l’esatto opposto di un immobile regime, come giustamente ha sempre sottolineato Emanuele Severino). Oggi in Italia ci sono due filosofi che si scornano dopo essere stati amici: Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris. Il primo è il filosofo del “pensiero debole” e il secondo è l’autore di un libro intitolato Manifesto del nuovo realismo che ha al suo centro il recupero della nozione di “realtà” e la critica del postmoderno sfociato nel populismo e nel realitysmo. Nel suo ultimo libro intitolato Della realtà, Vattimo adotta la strategia di Platone nei confronti di Democrito – lo so, sto esagerando con il paragone, ma tanto è solo filosofia - cioè critica Ferraris senza mai nominarlo e dice che i nuovi realisti sono degli irrealisti e alla fine dei conti ciò che a loro fa difetto è proprio la “realtà”. A questo punto come Socrate – mi trovo a esagerare - chiedo: “Che cos’è la realtà?”.
I filosofi moderni coltivano una particolare ossessione: “In che modo l’uomo incontra il mondo?”. Cioè: come facciamo ad essere certi che il mondo “là fuori” c’è effettivamente e non sia solo un’illusione o “una mia rappresentazione”? Il problema, secondo Ferraris, ha la sua origine con Kant che con i suoi giudizi sintetici a priori risolverà l’ontologia nell’epistemologia o il mondo nel sapere e così si aprirà la strada al postmoderno e alla dissoluzione del mondo reale. Per noi comuni mortali il problema del mondo “la fuori” non è un problema perché ci atteniamo un po’ al senso comune e un po’ decliniamo la sintesi kantiana non (solo) con l’epistemologia ma anche con l’estetica e la storia e così la filosofia non si configura come la dissoluzione della realtà bensì come ciò che la identifica perché la distingue nelle sue diverse dimensioni: della natura, della storia, degli uomini, del divino o di ciò che rientra nel dominio della nostra volontà e ciò che (per fortuna) le sfugge. Ma di questa tradizione critica della filosofia italiana ai nostri filosofi amici e poi nemici interessa poco.
Per dare corpo al suo pensiero Ferraris fa ricorso a quello che chiama “esperimento della ciabatta”. Dice: “Prendiamo un uomo che guarda un tappeto con sopra una ciabatta; chiede a un altro di passargli la ciabatta, e l’altro, di solito, lo fa senza incontrare particolari difficoltà”. L’esperimento dimostra che la realtà “la fuori” – la ciabatta - non è un’opinione, è uguale per i due uomini che al di là delle loro diverse culture o modi di vedere le cose e le azioni possono intendersi sulla realtà – la ciabatta - che è un fatto esistente indipendente dal sapere. L’esperimento continua con un cane: “Portami la ciabatta” e il cane addestrato, pur non avendo il cervello umano, incontra la ciabatta. Quindi è la volta del verme al quale non si potrà neanche dire “portami la ciabatta”, però “strisciando sul tappeto” anche il verme “incontra la ciabatta” e “può scegliere tra due strategie: o le gira intorno, o le sale sopra. In ambo i casi, ha incontrato la ciabatta, anche se non proprio come la incontro io”. Dopo il verme è la volta dell’edera che pur non sapendo nulla di nulla della ciabatta, come del resto il verme, “o aggirerà la ciabatta, oppure ci salirà sopra”. Per finire – dice il filosofo del “realismo moderato” - prendiamo una ciabatta che non sa niente di niente, meno del verme e meno dell’edera, meno di zero, e la tiriamo contro la ciabatta sul tappeto. Cosa accade? La ciabatta “incontra” la ciabatta. E anche senza prendere un’altra ciabatta si può ricorrere alla prima ciabatta che è lì sul tappeto anche se nessuno la vede, nessuno dice a nessuno di prenderla, nessun cane la prende in bocca, nessun verme le monta sopra o le gira intorno, nessuna edera la avvolge: insomma, la ciabatta esiste indipendentemente da me e dai miei organi di senso.
L’esperimento della ciabatta è perfettamente riuscito e ora sappiamo – ma il verbo sapere è ininfluente - che “la fuori” c’è realmente la ciabatta e siccome non sono Waismann, ma sento montare in me la filosofia insultante di Schopenhauer, la posso anche prendere e tirare dietro a Ferraris che avrà così effettivamente ragione nel considerare la inemendabilità della realtà-ciabatta.
I due amici-nemici filosofi si dividono sulla realtà. Vattimo ripete Nietzsche e dice “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, mentre Ferraris risponde dicendo che esistono i fatti altrimenti il rischio è che il mondo diventi una favola e non si sa come distinguere le cose vere dalla propaganda, i giusti dai barbari. Come al solito tutto ruota intorno al rapporto tra l’essere e il pensiero. La nozione di verità si porta dietro quella di verità: non a caso Vattimo sostiene che dobbiamo dire Addio alla verità mentre Ferraris la ritiene tutt’altro che inutile, necessaria. La disputa condotta dal filosofo debole e dal pensatore del neo-realismo non ci conduce da nessuna parte. Ciò che non si considera, soprattutto per ragioni di scuola e di partito preso, e che possiamo sia prendere la realtà senza cadere nel realismo ingenuo, sia dissolvere realtà e verità senza cadere nel postmodernismo. Lo storicismo italiano o la tradizione critica del pensiero italiano non serve per dissolvere la realtà ma per individuarla e lo fa proprio perché il mondo reale (o vero) non lo pensa più come il mondo “là fuori” o come essere ma come fatto o storia. Con la filosofia italiana la vecchia idea della verità come adeguazione dell’intelletto alla cosa è superata nella verità come giudizio storico. In questo senso il pensiero è, come diceva Hannah Arendt, “preparazione alla realtà”: va conservata una certa idea dell’essere come qualcosa di dato, ma senza cadere nel destino, e allo stesso modo va tutelata la libertà umana senza cadere nel soggettivismo.
Letture consigliate:
Arthur Schopenhauer, L’arte di insultare, Adelphi, 1999
Giovanni Reale/Dario Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, volume terzo, La scuola, 1987
Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, 2012
Gianni Vattimo, Della realtà, Garzanti, 2012
Una filosofia debole. Saggi in onore di Gianni Vattimo (a cura di Santiago Zabala), Garzanti, 2012
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, 2000
Hannah Arendt, Che cos’è la filosofia dell’esistenza?, Jaca Book, 1998
Roberto Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Einaudi, 2010
tratto da Liberal del 14 aprile 2012