Questa la domanda affrontata nell'ultima puntata di questa stagione di Presa diretta: il rapporto opaco e poco trasparente tra il mondo dell'informazione, il potere economico e il potere politico.
Legame che oggi, specie per la presenza del Conflitto di interessi (per cui una sola persona incarna queste tre funzioni, di politico di industriale e di editore) ci dovrebbe far nascere la seconda domanda: "Possiamo ancora affermare che l’Italia è un paese democratico? Che ruolo svolgono i media nel garantirlo?"
Il servizio di Alessandro Sortino è partito da Pontecagnano, con un'intervista al sindaco nonchè ex assessore Ernesto Sica, coinvolto nell'inchiesta P3. Assieme all'ex sottosegretario Cosentino, avrebbe costruito un falso dossier su Stefano Caldoro (candidato per la presidenza della regione).
Più che un dossieraggio, per il sindaco (che davanti ai magistrati ha ammesso la sua responsabilità sul dossier) si tratta di "relazione di indebolimento".
Indebolimento anche nei confronti del governo Prodi? Quando Sica si vantava di aver fatto pressioni su alcuni senatori per farlo cadere?
La magistratura sta indagando.
Dal 28 settembre 2009, con l'articolo de Il giornale (allora diretto da Feltri) su Boffo, contenente affermazioni false e infamanti, si parla di metodo Boffo.
L'uso di campagne stampa come arma contri i nemici politici: ma andando indietro nella storia italiana, vengono alla memoria altri episodi.
La campagna stampa di Candido contro il Psi di Mancini.
E si potrebbe andare indietro fino alla campagna stampa (orchestrata dal ras di Cremona Farinacci) che portò alle dimissioni di Augusto Turati prima da segretario del PNF e poi da direttore de La Stampa.
La macchina del fango, dunque, è qualcosa che affonda nelle radici della storia italiana.
E che arriva oggi a toccare anche partiti di protesta (o presunti tali) come la lega Nord.
Con la storia dei presunti dossier redatti da Monica Rizzi (assessore allo sport della Lombardia, in trasferta a Malta a seguire la nazionale padana), contro altri esponenti leghisti che andavano tolti di mezzo perchè poetvano ostacolare l'elezione di Renzo Bossi nel colleggio di Brescia.
Ma forse, se la Rizzi dovesse avere ragione nella sua difesa (non è comunque indagata), la storia si potrebbe leggere in altro modo: i dossier (che probabilmente esistono veramente, come ha raccontato a Sortino l'ex leghista Arrighini) sarebbero stati creati per colpire Umberto Bossi.
E' in atto una guerra per la successione nella Lega, oggi alle prese anche con una forte protesta dal basso che viene censurata in tutti i modi: i maroniani da una parte e il cerchio magico dall'altra.
E questa guerra verrebbe combattuta anche con documenti e intercettazioni provenienti dalla banca dati del ministero. Degli Interni.
L'uso di informazioni riservate, di provenienza giuiziaria, è stato la base del provvedimento di carcerazione contro l'onorevole Alfonso Papa, ex pm, ora parlamentare PDL: il primo parlamentare a finire arrestato non per fatti di sangue.
Papa è accusato di associazione (assieme a Bisignani e Enrico La Monica) a delinquere e acquisizione di informazioni riservate su procedimenti giudiziari e di informazioni sensibili di vertici istituzionali.
E' l'inchiesta P4.
Informazioni che venivano usate per fare pressioni su imprenditori, come Alfonso Gallo: per un'imprenditore come lui, sapere dell'esistenza di procedimenti era una cusa di ansia (per il fatto che potevano causare problemi per l'impresa, per i fidi dalle banche e dai creditori).
"Se vuoi fare business, ti devi difendere", spiegava Gallo.
E come si difendono le imprese italiane?
Ricorrendo al business sulle informazioni riservate, su potenziali concorrenti o potenziali clienti.
Non a caso Gallo ha messo su la G Risk (una società di security cui socio è l'ex vicecomandante del Ros De Donno).
Ma a parlare del mondo delle società di security è stato proprio Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Pirelli e Telecom: dopo l'inchiesta sui dossier di Telecom (che lui però assicura, non furono mai usati per ricattare) ha patteggiato la pena.
Tavaroli ha spiegato a Sortino del fatto che oggi è strategico per le imprese prendere le informazioni su concorrenti, con tutti i mezzi: uno scambio di infomazioni, a volte reciproco tra queste, che è alla base poi delle inchieste P3 e P4.
E per cui, più che a delle imprese che vivono in un libero mercato, queste assomigliano a associazioni criminali.
Tavaroli doveva difendere Tronchetti dal potere romano: aveva paura dei vari Bisignani, Milanese che costituivano parte di quel mondo di mediazione tra il mondo istituzionale e il mondo degli affari nel settore pubblico.
Se vuoi fare affari con lo stato, questo il senso del discorso, devi ricorrere a scorciatoie: bisignani non si è autoprodotto, qualcuno (nelle istituzioni e nel mondo delle grandi imprese) gli ha riconosciuto quel ruolo: "sono i burattinai che gli hanno riconosciuto quel ruolo".
Oggi, i piccoli e i grandi appalti pubblici non sono dunque più decisi nel parlamento: ci sono dei network occulti in cui si decidono nomine, poltrone e affari.
Il Parlamento è svuotato di potere reale, anche di controllo, e tutto si sposta in palazzi meno noti, come palazzo Vignarelli.
E se vuoi conoscere oggi le facce del potere, devi seguire Dagospia: sito di gossip, che viene finanziato per la pubblicità da un'ente pubblico come l'Eni.
Per evitare, come ha spiegato Chicco Testa, che pubblichi certe notizie.
Il gossip politico.
La macchina del fango: un altro aspetto, è l'uso di campagne scandalistiche (con foto compromettenti) per attaccare taluni personaggi politici.
Foto scattate da paparazzi e fotografi e poi ritirare dal mercato (per ritirarle fuori dai cassetti al momento opportuno).
Come il video dell'ex governatore Marazzo.
Come il caso del deputato di Fli Italo Bocchino.
L'articolo di Marco Lillo sul Fatto quotidiano:
Ci ha messo un po’ ma alla fine anche Italo Bocchino ha capito: “Basta uscite serali. Ho preso atto che c’è una certa attenzione della macchina del fango e per un po’ si sentirà parlare di me se solo per il mio lavoro politico”. Finalmente. Questa dichiarazione storica chiude l’inchiesta di Alessandro Sortino sulla cosiddetta “Macchina del fango” che andrà in onda stasera nel programma Presadiretta di Riccardo Iacona. Bocchino consegna il suo voto di penitenza al pubblico di Raitre dopo un lungo colloquio nel quale Sortino svela l’esistenza di un’inchiesta della Procura di Roma sulla strana storia di alcuni scatti che ritraggono il politico a Roma in compagnia di un trans celebre: Manila Gorio. Dopo il caso Began è la seconda incursione sfortunata di Bocchino nelle linee, o meglio nelle curve nemiche. Manila Gorio è l’amica di Patrizia D’Addario che raggiunse la fama grazia alla sua difesa a sorpresa del premier dopo lo scandalo.
IL FASCICOLO (per ora un semplice modello 45 senza indagati né reato) comprende i verbali di testimonianza dei paparazzi e dello stesso deputato. Ovviamente l’obiettivo giornalistico di Sortino non è puntato sull’amicizia tra il politico e il trans ma il backstage dell’industria del gossip dove l’informazione diventa potere e ricatto. Presadiretta affronta la macchina del fango da una prospettiva inedita. Non punta lo sguardo sul fango con l’atteggiamento giudicante di Roberto Saviano ma mette al centro la macchina. Gli ingranaggi sono illuminati anche grazie alle interviste a protagonisti come Roberto D’Agostino, Luciano Tavaroli e il superteste dell’inchiesta P4, Alfonso Gallo.
La ricostruzione del caso Bocchino-Gorio inizia con l’intervista al paparazzo Maurizio Sorge, indagato a Milano per aver parlato al telefono di una vicenda diversa, il ritiro a pagamento della foto che ritrae un politico con una brasiliana di dodici anni. Il paparazzo apre il libro dei ricordi e racconta di due foto che “Se vanno in mano a Silvio” potrebbero cambiare lo scenario politico. Riguarderebbero, dice Sorge, l’incontro di un politico con un trans. Sortino indaga e arriva a Manila Gorio che svela: “Ho avuto fino a poco tempo fa una storia importante con un politico che mi ha conosciuto a una convention e corteggiata”. Poi aggiunge “è una storia documentabile ma io non rivelerò mai il suo nome”. Sortino non molla l’osso e scopre che per quegli scatti è stata presentata una denuncia in Questura (di qui l’apertura del fascicolo da parte del
pm Caperna) da parte del fotografo Giancarlo Marrocchi, lo stesso che è sotto inchiesta per estorsione per la storia della escort emiliana che sosteneva di essere stata con Gianfranco Fini. Marrocchi sostiene di essere stato truffato perché non ha incassato un euro nonostante le foto di Bocchino siano state scattate grazie a lui da un’agenzia che poi non le ha vendute e che quindi non gli ha riconosciuto la percentuale. Le coincidenze aumentano. Non c’è solo Marrocchi, protagonista di due storie che infangano Fini e Bocchino. Anche l’agenzia è stata coinvolta in passato in una strana manovra per colpire un settimanale ostile a Berlusconi. Sortino ascolta attento la versione di Marrocchi, stavolta nella parte del “buono”. Il fotografo innanzitutto smentisce la riservatezza della trans. Secondo lui a dargli la dritta dell’incontro di Bocchino è stata proprio Manila Gorio. L’agguato riesce ma le foto non sono nelle mani di Marrocchi. Né lui né Sorge possoo nandare alla stazione Termini di Roma a immortalare l’incontro. Così girano la dritta a un collega che però – secondo loro – si comporta in modo anomalo.
QUANDO un giornale si fa avanti con un’offerta il fotografo e l’agenzia non si presentano all’appuntamento. A questo punto Marrocchi presenta una denuncia a Roma. Se l’agenzia e il fotografo non fanno uscire le foto, secondo Marrocchi, ci deve essere una ragione: o le hanno vendute a chi non le pubblica oppure c’è un ricatto in atto. Ironia della sorte la denuncia è presentata allo stesso Vicequestore che lo indaga per l’altra vicenda. Resta una domanda: perché Bocchino incontra Mania Gorio? Questa è la versione del deputato Fli: “Manila Gorio è iscritta all’ordine dei giornalisti. Mi ha chiesto un’intervista e non v’è alcuna ragione per cui uno che non è affetto da omofobia non vada”. Poi il deputato nota: “guarda caso il fotografo è lo stesso che adesso è sotto processo per una presunta estorsione contro Fini”. Per Bocchino counque “la trappola non è riuscita. Le foto non le ho viste ma comunque non possono testimoniare altro che un incontro di un parlamentare con un giornalista. Non c’è materia per un ricatto”. Il pm però continua a indagare. C’è anche spazio per l’autocritica: “Ora mi rendo conto che la frequentazione con Sabina Began non era affatto opportuna. Comunque ho risolto il problema: ho cambiato vita e la sera sto a casa”. Speriamo .