Magazine Cucina
Che fine ha fatto l'industria alimentare in Italia? Una volta si diceva “braccia rubate all'agricoltura” per intendere persone che erano buone solo per zappare la terra. Chissà oggi se ha ancora senso, con i campi trasformati in deserto, aziende agricole che chiudono, incentivi per distruggere le culture del vino in Sicilia, cartelli che impongono al ribasso il valore del grano e agricoltori che prendono una miseria per fare i prodotti che compongono la nostra alimentazione, pasta, pomodoro, frutta.
I prodotti della terra non valgono più niente e il risultato sono le 770000 aziende chiuse in 10 anni ( il 30% delle imprese legate alla terra), solo in Lombardia 10 aziende chiuse al giorno.
L'inchiesta di Presadiretta ha iniziato con la domanda: quale è la percentuale di grano nelle pasta italiana? Ci sono pastifici, come quello della famiglia Bernini (Roseto degli Abruzzi) o della famiglia Tomasello in Sicilia, che scelgono solo grano italiano.
Ma a Bari, il più grande scalo commerciale, arriva il grano dalla Grecia, dall'Ucraina e perfino dall'Australia. Facendosi 48 giorni di viaggio, viaggio in cui parte della merce si rovina.
E' questo il made in Italy? Mah .. secondo gli importatori “l'importante è che la pasta si faccia in Italia”.
Il senso di tutto questo grano dall'estero lo si comprende dopo aver visto cosa succede alla borsa del grano, a Foggia: gli industriali vogliono tenere basso il prezzo, e per questo si “droga” il mercato con alte importazioni da fuori.
Il prodotto italiano è circa 3,5 tonnellate di grano, mentre la domanda dell'industria è di 5 miliardi.
La differenza viene da fuori, con grano anche dall'Australia che viene miscelato col nostro.
Il produttore Divella (senatore Fli) spiegava come solo il 60% del grano che lui usa è italiano (e il 40% straniero), ma se aumentasse la produzione interna non avrebbe difficoltà a usare solo quello.
Perchè non si aumenta la produzione allora?
Il dottor Chiarelli di Coldiretti Sicilia raccontava un'altra verità: il grano dall'estero serve proprio a tenere basso il suo valore, le navi da fuori arrivano giusto nel momento quando qui si trebbia: ci sarebbe una strategia internazionale che regola il prezzo del grano, a discapito dei coltivatori.
Perchè a regolare il prezzo ci sono di mezzo le multinazionali, come la CHS (che si occupa di energia ma anche di grano): un suo dirigente spiegava come la CHS accumuli il grano italiano per esportarlo all'estero, nonostante si dica che il grano sia insufficiente ..
Questa persona ha parlato esplicitamente di un accordo delle cinque grandi imprese multinazionali, che controllano il prezzo del grano (per fare profitto): in Italia si chiama Cartello e dovrebbe essere reato.
Purtroppo la legge sul made in Italy, che viene tanto sbandierato per fare campagna elettorale, è inefficace. L'industria agroalimentare è sempre stata contraria (dovrebbe indicare da dove arriva il grano, i pomodori nel sugo, i succhi di frutta, i formaggi ..).
Anche a Bruxelles, dove si è spostata la battaglia, c'è stato poco da fare: solo per la carne sarà obbligatoria la tracciatura.
Forse perchè l'ambasciatore Fulci lavora anche per la Ferrero?
Ma “per noi made in Italy è la trasformazione” ripete Daniele Rossi.
Il risultato di questa situazione è che gli agricoltori fanno la fame.
Lisa Iotti è andata a S Margherita Belice: “io un giorno do fuoco a tutto” dice uno di loro: di fronte ad una crescita del costo di produzione, il costo del grano rimane sui 20 centesimo al kg.
In Sicilia sono 1 milione di persone che sono impegnate nel settore, che a differenza di altri settori industriali (e a differenza degli allevatori del latte) non ha ricevuto incentivi o aiuti.
E le campagne si trasformano, con l'abbandono della produzione, in cimiteri: “chi fa cartello distrugge una società agricola”.
685000 ettari di terreno abbandonati: sono giuste le 2 tonnellate di grano che mancano nella produzione interna. Il cartello delle multinazionali porta a questo: più grano arriva da fuori, meno grano si produce.
Se si va dietro al mercato, di distrugge una industria.
La frutta.
A Siracusa la ditta Augello sta sradicando i pescheti, per non ne vale la pena.
A Pachino i pomodorini sono comprati a chi lo coltiva a 30 centesimo al kg.
I melone Cantelupo non si riescono a vendere, e sono dati alle capre.
A Ribera le arance rimagono sull'albero, perchè da fuori arrivano le arance spagnole che costano meno. Perchè all'agricoltore si pagano 15 centesimo. E noi le paghiamo qualche euro.
A Riesi le albicocche rimangono sugli alberi. Non hanno mercato.
Sempre in Sicilia, poi, c'è la vendemmia verde: i viticoltori prendono 2000 euro per distruggere l'uva. Soldi nostri.
Un bollettino di guerra. E come diventa la terra non coltivata? Terra bruciata. Abbiamo fatto il deserto e l'abbiamo chiamato libero mercato.
Circa una mezz'oretta prima il presidente di Confindustria era ospite di Che tempo che fa, e parlava delle misure urgenti per fare uscire l'Italia dalla crisi. Privatizzazioni, liberalizzazioni, togliere tasse sul lavoro. Non bisognerebbe dimenticarsi che esistono anche loro, quelli che coltivano la terra, per il cibo che arriva sulle nostre tavole.
La prima parte della puntata.
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