Così si realizzò quell'evento inatteso che mi mandò in visibilio. Un visibilio appena attenuato dal fatto che mi avrebbe accompagnato la mamma, mentre io volevo papà che però detestava le marmaglie volgari e saccenti dei treni.
Quel mattino Giosuè, medicati i bubboni, vestito come un piccolo lord, s'imbarcò con la mamma, vestita in modo tanto sgargiante e volgare da far vergognare Giosuè che sopportò con pazienza, pensando che quel rosso da vera mugnaia era il prezzo che Giosuè doveva pagare.
E così, come aveva temuto, Giosuè dové sorbirsi gli insulsi discorsi della massa che lanciava anatemi e disquisiva su tutto: su Turchi, governo, canzonettari e novele. E sulle novele, con foga, si gettò la mamma, che nel suo rosso chiassoso cominciò a raccogliere grano, macinarlo con cura, macinarlo con foga, sorridere a destra e sinistra, mulinare le gambe inguainate e parlanti che dicevano al Giorgio, venditore di arredi, "Guarda! Guarda che grazie!"
Così quel Giorgio sorrideva alla mamma, parlava alla mamma, elogiava la mamma e guardava le gambe, facendo impazzire Giosuè che, osservando la mamma che rispondeva eccitata a quel Giorgio perché lui le guardava le gambe, aiutando quel Giorgio a guardarle, restituendo parole e sorrisi, dilatò le sue pustole che crebbero come vulcani pronti a scoppiare e cominciò le sue danze, dapprima senza successo perché la mamma era troppo eccitata e poi frapponendosi fra quel Giorgio e le gambe e indicando i vulcani col dito fino a che anche la mamma e quel Giorgio videro il pus e tornarono a terra.
Seguì quindi la mamma mugnaia in toilette dove lei asciugò e disinfettò non solo senza la cura e l'affetto di una buona mamma canonica ma anche rimproverando Giosuè di parlare di pustole di fronte alla gente. Giosuè protestò, al che la mamma divenne furiosa e finì quel lavoro con tanta malgrazia che Giosuè se lo chiese sul serio che aveva quel Giorgio, a cui mamma voleva tanto mostrare le gambe e allora, sballottato dalle rotaie, umiliato dalla mamma Mugnaia, da quel Giorgio lascivo che si mangiava le gambe, si rifiutò di rientrare e rimase a guardare le montagne fra Bologna e Firenze, senza per questo dimenticare quei due, ché anzi, vedendo che chiacchieravano allegri, fece il suo dovere di figlio e poiché non poteva coprire le gambe e mettere un tappo alle bocche giulive, s'allontanò dal suo vetro, cosicché dove prima la mamma vedeva Giosuè, di colpo, vide il verde dei pini e, conoscendo le sue bizze dementi, uscì per cercarlo. Così avvenne che il treno passò l'Appennino, arrivò a Firenze e la mamma mugnaia scese dal treno, annotandosi il numero del lascivo Giorgio che invece, rimasto sul treno, promise che avrebbe usato quel numero e con gioia contattato la mamma.
In albergo Giosuè attese che mamma si rinfrescasse, poi dové rinfrescare se stesso e, ultimato il rinfresco, quando lui voleva volare al museo, la mamma ebbe un altro problema, poi ritenne che lo avesse Giosuè poi volle mangiarsi un bel toast, poi che lo mangiasse Giosuè, poi consumare un caffè, poi consultare la carta, poi consultar l'orologio, il cielo e le nubi per concludere che la mamma era stanca e che consumato un brodino sarebbe andata a dormire. "Faremo tutto domani" disse e Giosuè, che durante quella lunga melina aveva mangiato cacca in silenzio, si sorbì un brodino con cacca e un'insalata con cacca mentre l'aura di mamma mutava dal rosso al violaceo e il suo odore passava al fegato d'oca. Insomma, pur vedendo che mamma voleva irritarlo, Giosuè mantenne la calma e così, dopo la cena alla cacca, si ritirò.
Questo sorprese la mamma che invece, da stanca, distrutta, sfinita si scoprì riposata e ruspante "Non andiamo a passeggiare Giosuè?" chiese con colore inquieto e cangiante a Giosuè, che, angelico come non mai, si disse stanco e desideroso di pregare il Signore e così un Giosuè trionfante e la mamma, che, pur inquieta mugnaia, era pur sempre una mamma, salirono in camera dove Giosuè dormì soddisfatto.
Il mattino Giosuè e la mamma si lanciarono nella nuova avventura. Ma nulla filò perché Giosuè, dove s'aspettava dedizione per l'arte, trovò un direttore falso e mellifluo che si chinò a carezzargli la testa "Ah, questo è il giovanotto che ama i dipinti" ma poi vista la mamma di quel giovanotto, rossa sgargiante e con gambe parlanti, individuò la mugnaia e così, dimenticato il prodigio Giosuè, si dedicò al nuovo prodigio, ordinando a una torva impiegata di sollazzare Giosuè e illustrare come si sanavano i quadri.
Giosuè, che scorazzò in quelle dodici sale osservando tele malate, tele guarite, tavole morte, tavole vive, profeti, miracoli, fu incontenibile e mise i pollici ovunque mentre molti piangevano e pochi ridevano, tanto che un piangente bussò al direttore, al che l'orco, scocciato, rispose e solo dopo lunghi minuti la porta si aprì su un orco e su un'orca affannati, tanto rossi nei volti, che Giosuè, annusando le ottave, senti che mentre lui scorazzava felice tra i quadri, l'aggeggio dell'orco scorazzava in un altro oratorio.
Così terminò quella epica visita. Meraviglie nessuna: stanchi impiegati, carte di riso, cappuccini, dossier. Giosuè ritornò nauseato e la mamma entusiasta, raccontando a nonna e papà di questo e di quello, di direttori, di artisti, di arti e bellezze mai viste.
Giosuè fu dignitoso. Interrogato da nonna rispose con nulla e lasciò che la mamma completasse quel nulla, elogiando un Giosuè che, come Gesù coi sacerdoti del tempio, aveva parlato con garbo, esposto con ampia dottrina e stupito quei bravi pittori che s'erano sperticati in elogi per lui e congratulati con lei, onorevole mamma di tanto prodigio. Insomma Giosuè di fronte a tanto berciare avrebbe davvero cacciato i mercanti dal tempio, ma non potendolo fare, continuò a sopportare l'inesausta mamma mugnaia che decantò il direttore che, mugnaio di somma perizia, aveva elogiato Giosuè, magnificato Giosuè, carezzato Giosuè e invitato la mamma a visitare una pala splendente, appena finita, e pronta a tornare in Padania. Non parlò la mamma di altra pala carnosa, nodosa e carnale che s'era inoltrata, in un'altra Padania di cui solo papà possedeva la chiave legittima.