Sono migliaia ogni anno i casi di infarto e ictus, anche fatali, che potrebbero essere evitati in Italia se i pazienti a rischio cardiovascolare per ipertensione, colesterolo alto e diabete di tipo 2 seguissero bene le terapie prescritte e adottassero corretti stili di vita. Oggi, invece, solo un paziente su due segue le terapie in modo corretto, mentre l’abbandono terapeutico e il fai-da-te sono frequenti. Sono solo alcuni dei dati presentati oggi a Roma all’incontro su ‘L’aderenza alla terapia: un problema per la sanità’, promosso dalla Consulta delle Società scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare – Scv.
La Consulta riunisce 14 società scientifiche del settore, alleate per contribuire allo sviluppo dell’attività scientifica in Italia e all’ottimizzazione della pratica clinica in questo campo della medicina. Le conseguenze per la salute della scarsa aderenza alle terapie “sono notevoli – spiegano gli esperti – Basti pensare che, se i soggetti con pressione alta prendessero correttamente i farmaci antipertensivi, il tasso di ospedalizzazione per infarto e ictus si ridurrebbe del 13%. Analogamente, se i pazienti con ipercolesterolemia prendessero correttamente gli ipolipemizzanti, il rischio di ospedalizzazione per infarto si ridurrebbe del 15%. Riduzioni dello stesso ordine di grandezza sono attese per la terapia farmacologica del diabete di tipo 2″.
Le malattie cardiovascolari rappresentano nel loro insieme la più importante causa di malattia, disabilità, morte e spesa sanitaria al mondo. In Italia, secondo dati dell’Istituto superiore di sanità, muoiono per malattie ischemiche del cuore 97 maschi e 27 femmine ogni 100.000 persone tra 35 e 74 anni, 40 maschi e 24 femmine per malattie cerebrovascolari. I tassi di attacco cardiaco sono compresi tra un minimo di 8 eventi l’anno per 10.000 donne (Modena) e 40 eventi per 10.000 uomini (Brianza). Si stima che ogni anno nel nostro Paese si verifichino circa 250.000 ospedalizzazioni per infarto e ictus.
I principali fattori di rischio sono obesità, ipertensione, diabete, colesterolo alto e fumo. Tenerli sotto controllo significa, quindi, ridurre in modo significativo i casi di infarto e ictus. Per contrastare ipertensione, colesterolo alto e diabete sono disponibili terapie mirate ed efficaci. “Ciò nonostante – rileva Giuseppe Mancia, ordinario di Medicina interna presso l’Università di Milano-Bicocca – l’impatto di queste terapie nella pratica clinica risulta costantemente più basso rispetto a quanto atteso sulla base degli studi clinici condotti finora”. “Purtroppo è bassa in tutti i Paesi europei l’aderenza alle terapie contro pressione alta, diabete e colesterolo alto: il dato è solo del 50% secondo una recente rassegna di tutta la letteratura mondiale sull’argomento, e l’Italia non fa eccezione”, spiega Giovanni Corrao, ordinario di Statistica medica presso l’Università di Milano.
Un recente studio ha mostrato che in Italia la tendenza all’abbandono precoce della terapia anti-ipertensiva è molto più diffusa rispetto a quella di altri Paesi europei: da noi l’addio alle cure si verifica con una frequenza quasi doppia rispetto alla Svezia. Le ricerche condotte sulla popolazione della Lombardia hanno evidenziato che 200.000, 100.000 e 40.000 soggetti di età compresa tra 40 e 79 anni entrano ogni anno in trattamento – rispettivamente con farmaci anti-ipertensivi, ipolipemizzanti e antidiabetici – per la prevenzione primaria di esiti cardiovascolari. Ma nel 36-37% dei pazienti che inizia la terapia con un farmaco di una delle tre classi sopra ricordate, la prima prescrizione non è rinnovata entro l’anno successivo la data di inizio della terapia.
Un dato allarmante per la salute dei pazienti. Un’unica prescrizione isolata, sottolinea Corrao, comporta inoltre uno spreco di risorse che, per la sola Lombardia, si aggira intorno a 2,5 milioni di euro ogni anno. “Appare dunque evidente che molto ancora si può fare in termini di prevenzione, informando e aiutando i pazienti a seguire correttamente le proprie terapie e sensibilizzando i medici di medicina generale a seguire i propri assistiti nella gestione delle terapie”, sottolinea Corrao. “Ne trarrebbe vantaggi anche la ‘salute’ del Ssn, per il quale si produrrebbe un risparmio in termini di riduzione delle ospedalizzazioni”, conclude l’esperto.