Andiamo al Cinema
1984. Gran Bretagna.
Un gruppo di persone viene stigmatizzato dal governo, viene infangato dai media, viene ostracizzato , lasciato in disparte a anche ingiuriato dal resto del popolo.
Questo si unisce, allora, scende in piazza a manifestare e a tenere salda la sua posizione, a gridare e inveire contro la signora Thatcher.
Stiamo parlando dei minatori, certo.
Ma stiamo parlando anche della comunità gay.
Due mondi che sembrano molto distanti tra loro: da una parte l'immaginario dell'uomo rude, dalle mani callose che lavora sodo, che si gode la sua pinta al pub, dall'altra un universo colorato ma allo stesso tempo drammatico, con l'accettazione di sé e della famiglia che non è affatto scontata, e con l'ombra dell'AIDS che inizia a mietere le sue vittime.
Questi due mondi, però, proprio nel 1984 si incontrano e si uniscono, per il caso, per il nemico comune da affrontare, per le stesse percosse e trattamenti che la polizia e i giornali intentano ai loro danni.
E' durante il gay pride di quell'anno che Mark Ashton decide di aiutare l'unione dei minatori, di fondare il gruppo Lesbians and Gays support the Miners e di raccogliere per loro dei soldi, di fare collette in modo da contribuire allo sciopero che da mesi portano avanti.
Idea semplice, sembra, ma provate voi negli anni '80 a chiamare identificandovi come membro del LGSM e vedete in quanti vi prendono seriamente.
Per disguidi, per casi fortuiti, a Onllwyn lo fanno.
Un paesino piccolo, molto piccolo, in cui un bus carico di gay e lesbiche non passa certo inosservato, e in cui riuscire a fare breccia, tra pregiudizi e bigotti non sarà così facile.
Allo scontro con mentalità tanto chiuse, che a poco a poco si aprono, va di pari passo la maturazione del giovane Joe, che inizia ad accettare se stesso, pur nascondendosi dal giudizio dei suoi genitori, tenendo segreti i suoi viaggi, la sua partecipazione.
Con il tempo che passa, i mesi che avanzano e i viaggi da e verso il Galles che si fanno più frequenti e anche più gioiosi, la situazione politica non sembra però migliorare.
La pagina inglese che ci viene raccontata è di quelle che i più giovani come la sottoscritta non hanno vissuto in prima persona, e che, se conosciuta, non lo è mai in modo approfondito.
Pride è così una lezione di storia, ma anche e soprattutto una lezione di umanità, di accettazione e solidarietà costruita tra mille difficoltà e diversità.
Gli inglesi ce la raccontano come sanno fare meglio, mescolando espedienti da commedia a quelli del dramma, facendoci ridere e commuovere, tra le note della musica disco e quelle di Bread and Roses.
Unendo personaggi realmente esistiti e ancora in vita ad altri di finzione, si costruisce un cast corale sentito e in forma, in cui spicca quel macho di tutt'altra sponda in The Affair di Domenic West e l'inimitabile Bill Nighy, più giovani promesse.
Insieme si divertono, e come non amare quelle signore anziane che scoprono le lesbiche e scoprono il veganismo? come non riconoscere che è dall'educazione e dal rispetto che tutto può cambiare?
Non si cade nel buonismo, così, e anche se la durata poteva essere un po' inferiore, con quel finale fatto di mani che si stringono e che si sorreggono a vicenda, l'essere testimoni di questa storia, di questo film, ci rende un po' tutti migliori.
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