Anche quest’anno il Pride ha ricordato quanto importante sia l’ampliamento della sfera dei diritti per il consolidamento della democrazia, specie ragionando a partire dalle macerie del ventennio berlusconiano: il periodo più buio della storia recente nostro Paese, in cui le pulsioni e gli istinti peggiori del popolo italiano sono stati risvegliate per gli effetti di una vera, drammatica, involuzione antropologica.
Al di là dell’Atlantico ed in parte dell’Europa un dibattito entusiasmante sul piano intellettuale ed emozionante su quello civile e culturale coinvolge figure come Joseph Stiglitz, Paul Krugman, Jeffrey Sachs, Nouriel Roubini, Ulrich Beck, Noam Chomsky e Chiara Saraceno, e pone con forza il grande tema del superamento delle disuguaglianze sociali attraverso un’azione esclusiva e mirata dei Governi, anche sul tema della piena cittadinanza.
Nel nostro Paese, invece, tutto è immobile. Mentre il resto del mondo continua a raccontare di una grande vitalità culturale e politica, l’Italia vive in una dimensione incantata di immutabile imperturbabilità. Vittima di quella doppiezza morale che, da un lato, spinge al disprezzo incondizionato delle istituzioni e, dall’altro, rivela un servilismo clientelare che testimoniaquel familismo tutto italiano che da sempre ci piazza nelle ultime posizioni nelle graduatorie mondiali delle virtù, dalla libertà d’informazione alla trasparenza.
Sabato 22 giugno, tuttavia, la manifestazione nazionale del Pride 2013 che si è svolta a Palermo ha rivelato una tensione ideale che racconta di un bisogno di riscatto civile da parte delle persone. Una vera rivendicazione di diritti umani, per troppo tempo negati da una classe politica incolta, retriva e ostaggio di una Chiesa reazionaria e conservatrice, tutta ripiegata su se stessa che, nonostante il Concilio Vaticano II, si è rivelata incapace di dialogare con la modernità imponendo tabù e dogmi culturali anacronistici.
Migliaia di persone (duecentomila secondo gli organizzatori) provenienti da tutto il mondo hanno invaso le strade di Palermo, una città che,dopo anni di abbandono e degrado prodotti dall’incuria e dall’inadeguatezza di una classe politica che porta il nome di Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e Diego Cammarata, ha vissuto un grande momento di gioia, allegria, solidarietà. Come in una dimensione incantata, che riportava alla memoria la rivolta degli anni ’90 della società civile palermitana contro la mafia di Provenzano e Riina, Palermo è sembrata avvolta da una contagiosa tensione ideale che ha rivendicato il pieno riconoscimento della cittadinanza a tutte le persone. Un fiume di colori e musica che tra le tante associazioni ha visto sfilare anche “Polis aperta”, l’associazione gay delle forze dell’ordine e dell’esercito, il trenino delle “Famiglie arcobaleno”, l’associazione “Certi diritti” dei radicali. Una grande festa che con sfrontata e caricaturale ironia ha saputo esprimere il bisogno di nuove solidarietà, di nuovi valori, l’esigenza di nuovimodi dello stare insieme, non alternative o oppositive a quelle tradizionali, ma come dimensioni altre possibili per dare forma al proprio mondo, alla propria identità, alla propria unicità. Una comunità che, al di là degli orientamenti sessuali, rappresenta una realtà sociale complessa e variegata che ha gli stessi doveri di tutti ma non sempre gli stessi diritti. Per un giorno Palermo è stata il luogo ideale del dibattito culturale democratico. Da Palermo la società italiana ha chiesto l’estensione dei diritti a tutte le persone, senza esclusione alcuna per garantire a tutti la possibilità di vivere una vita meritevole di essere vissuta, perché regolamentata e perché riconosciuta. Sarebbe bello se le associazioni che si occupano di tematiche LGBTI si facessero promotrici di una legge di iniziativa popolare per il riconoscimento giuridico delle unioni civili, mettendo la classe politica dinnanzi alle sue ineludibili responsabilità. E sarebbe bello che quelle associazioni evitassero formule di pavido opportunismo del tipo “abbiamo allo studio una legge di iniziativa popolare sul tema”.
Quella del Pride 2013 palermitano è stata una vittoria sulla meschinità d’animo e sulla mediocrità intellettuale di chi si ostina a credere che la società abbia una pura connotazione giusnaturalistica, negando l’autodeterminazione delle persone e la loro capacità di provare sentimenti, costruire realtà, intrecciare relazioni. E ravvisando nell’ampliamento dei diritti un pericoloso rischio per la democrazia. Basti pensare al Family day Palermo, organizzato con intenti pretestuosi ed atteggiamento provocatorio nella medesima data del Pride e, inspiegabilmente, patrocinato dall’Amministrazione comunale. Non è un caso che– nonostante l’adesione di oltre 40 associazioni, per non parlare del programma che annunciava vere e proprie testimonianze di “guarigione dall’omosessualità” – alla fine la manifestazione sia stata un vero fallimento, con la presenza di appena un centinaio di partecipanti. Magro bilancio per chi ha come riferimenti di vita solo le sacre scritture utilizzate come strumento di interpretazione della realtà e di condanna sociale.
Forse il successo del Pride di quest’anno lo si deve a una nuova sensibilità culturale e a una maggiore consapevolezza da parte della società civile. Ma certamente il suo successo è legato anche all’attenzione delle istituzioni, dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, la cui esperienza maturata come Alto commissario per i rifugiati dell’ONU le restituisce profilo istituzionale alto e spessore umano profondo,all’Assessore alla Cultura della Città di Palermo, Francesco Giambrone, uomo di grandi battaglie ideali e fine intellettuale del dibattito culturale italiano, fino alla sinergie garantite dalle forze dell’ordine, dalla polizia ai vigili urbani, che hanno saputo garantire la necessaria sicurezza rispetto a possibili rischi di azioni dimostrative e violente da parte della microcriminalità e dei centri sociali di destra.
Due vicende, però, mi hanno colpito maggiormente, rafforzando una certa sfiducia nella possibilità di cambiamento. La prima: l’assenza dal corteo del Governatore della Sicilia, Rosario Crocetta,che ha preferito alla parata le telecamere della postazione La7 attrezzata al village dei Cantieri della Zisa, scapicollandosi tra le autorità, alla testa del corteo, poco prima che questo arrivasse dentro i Cantieri. La seconda: l’atteggiamento ambiguo del Partito Democratico.Alla parata erano presentidue delle figure di maggiore spicco del partito in Sicilia: Antonello Cracolici deputato regionale ed ex segretario del partito siciliano, ancora oggi figura di riferimento territoriale, e Vincenzo Di Girolamo, segretario provinciale di Palermo. Una vera contraddizione in termini rispetto a quanto accaduto pochi giorni prima in Consiglio Comunale. L’11 giugno 2013 il Consiglio comunale di Palermo ha approvato, infatti, l’istituzione del Registro delle unioni civili, registrando l’assenza di tutti e tre i consiglieri del PD. A fronte di un franco MPA di Raffaele Lombardo che, seppur con sfumature deliranti e toni folkloristici ammoniva con le parole del consigliere Angelo Figuccia “… Dio ci punirà tutti …”, l’intero gruppo dei consiglieri PD era assente perché secondo la capogruppo Teresa Piccione “… ci sono altre priorità …”.
Penso sempre che, in alcuni casi, la retorica aiuti più di faticose ed estenuanti argomentazioni. Ma mi chiedo: davvero ci sono altre priorità che possono soppiantare il tema dei diritti delle persone?