Il mare mi sbatteva contro il fianco della carcassa con una forza tale che le mie costole ritennero opportuno spezzarsi.
Solo un paio di frasi: la presentazione che il protagonista fa di se stesso e una piccola situazione seppur estrema.
Solo un paio di frasi che rendono immediatamente l’idea della scrittura di Arto Paasilinna.
Lo scrittore finnico che ha creato questo stile ironico e tragico allo stesso tempo.
Avvenimenti drammatici e situazioni grottesche.
Paasilinna non parla quasi di cose al di fuori del normale.
E’ vero che in questo caso la vicenda è un po’ più estrema rispetto al suo solito, ma comunque sia, la parte del protagonista dei suoi racconti non la fanno mai le storie, ma il suo modo di raccontare.
Presi nudi e crudi, gli avvenimenti possono anche essere roba di poco conto, vedi L’anno della lepre, ma raccontati da questo autore ecco che prendono una forma per la quale diventano divertenti da leggere e con molte riflessioni da fare.
Disastri, morti, catastrofi e suicidi (prerogativa questa di altre sue opere) fanno da sfondo ad un’atmosfera divertente e surreale che pare impossibile possa sostenersi con argomenti del genere.
In questo caso una vicenda alla Lost porta una cinquantina di persona in un luogo sperduto nella profonda Indonesia dove, tanto per non farsi mancare nulla, imperversa pure una sanguinosa guerra civile.
Il clima di tensione che normalmente dovrebbe sovrastare una realtà del genere, qui appare inesistente; viceversa le cose si succedono una dopo l’altra come fossero racchiuse in una cupola che tiene fuori le vere sofferenze.
L’alcool sempre così presente nelle storie di Paasilinna avrà un ruolo importante in questo? Non saprei.
In ogni caso questo Prigionieri del paradiso non è a mio parere tra i suoi lavori maggiormente da ricordare: il mio preferito era e rimane Il mugnaio urlante.
Tempo di lettura: 3h 25m