Prima dell’Apocalisse, il romanzo che vi farà dubitare di esistere

Creato il 17 febbraio 2016 da Trescic @loredanagenna

Un paio di anni fa, nel corso di un’ospitata al Cavacon, mi trovai a passare in rassegna alcuni saggi all’interno della libreria della fiera. Uno di questi, firmato da Ray Kurzweil, offriva un indice talmente ricco e interessante da giustificare i 25 euro del prezzo di copertina. Il titolo, del resto, aveva già fatto metà del lavoro, spingendomi all’acquisto: La Singolarità è vicina (Apogeo, 2008). Non avevo idea che quello fosse il primo passo di un percorso finito pochi minuti fa, quando ho letto le ultime pagine di Prima dell’Apocalisse (Nord, 2015).


Gli studi di Kurzweil riguardavano principalmente il campo delle intelligenze artificiali, proiettando e prevedendo nel prossimo futuro l’accelerazione esponenziale del progresso tecnologico in vista di una vera e propria Singolarità: il momento in cui l’intelligenza artificiale supera quella umana. Quando ho ritrovato questo assunto nel prologo del romanzo di Christopher Galt ho capito che forse era giunto il momento. Il momento di dare il benvenuto all’equivalente letterario di Matrix.

Sarò chiaro: la lettura di questo romanzo potrebbe farvi dubitare di esistere. Allo stesso modo in cui il film-rivelazione dei fratelli Wachowski rischiava di convincere lo spettatore di essere vittima di una colossale illusione, mostrandoci l’esistenza come una neuro-simulazione interattiva, il romanzo di Galt mette in campo una serie di elementi in grado di distruggere ogni nostra certezza sulla realtà circostante. Ha un solo difetto, forse: non è per tutti (ma può diventarlo).

Se l’Interstellar di Nolan poteva coinvolgere emotivamente per le dinamiche umane, dunque risultare piacevole anche per uno spettatore non esattamente appassionato delle ipotesi teoriche di Kip Thorne (sì, lo stesso che ha fondato il Ligo per cercare le onde gravitazionali), Prima dell’Apocalisse (titolo originale: Biblical) richiede almeno una piccola infarinatura di fisica moderna. O meglio: viene apprezzato appieno se si conosce qualche basilare concetto “quantistico”, che ci permette di cogliere il significato di diversi e audaci momenti della narrazione in cui si scontrano il macromondo dell’universo e il micromondo delle particelle. Niente di impossibile. La “formazione base” di cui parlo è la stessa che basta e avanza per capire le battute sul gatto di Schrödinger.

La partenza è delle migliori, un set-up degno di un’avvincente serie tv: diverse persone, nel mondo, iniziano a soffire di allucinazioni improvvise, estremamente credibili e dalle caratteristiche particolari (una donna, per esempio, assiste al rogo di Giovanna d’Arco come se stesse avvenendo proprio lì, di fronte ai suoi occhi, nel nostro tempo). Non capita solo a singoli individui, ma anche a gruppi di persone. Il protagonista, lo psichiatra cognitivo John Macbeth (il nome avrà un senso ben preciso nella storia) sperimenta uno di questi fenomeni durante un apparente terremoto in quel di Boston. Tutti lo vivono, nessun sismografo lo registra. Sembra non essere mai avvenuto, eppure è un’esperienza condivisa.

Che si sia diffuso in tutto il globo un virus in grado di generare esperienze di dissociazione e schizofrenia? Nel frattempo, nel mondo, una scritta sui muri (stiamo diventando) mette gli esperti di fronte a un inatteso enigma, mentre personaggi senza alcun precedente psichiatrico si tolgono la vita, alcuni anche in gruppo, apparentemente senza motivo.

Non andrò oltre: raccontare dettagli di questo o quell’episodio potrebbe rovinare la lettura. Sì, perché la storia è una continua sorpresa. Il ritmo serrato, l’impostazione strutturale che sposta il focus da un personaggio all’altro mantenendo una narrazione dall’alto, in terza persona, nonché la solidità delle basi scientifiche sono caratteristiche che già da sole fanno dell’opera un colpo vincente. Curiosando nella biografia di Galt mi sono imbattuto nel sito www.craigrussell.com e ho scoperto che quello sulla copertina è uno pseudonimo. L’autore si chiama Craig Russell, è tradotto in 23 lingue e ha all’attivo diversi thriller ambientati ad Amburgo (la serie di Jan Fabel, già adattata e trasmessa dalla televisione tedesca) e a Glasgow (la serie di Lennox).

Lo ammetto, non ho saputo resistere. Viste le tematiche di interesse comune (su tutte quella della coscienza umana), dopo aver divorato la prima metà del romanzo mi sono messo in contatto con il (gentilissimo) autore. Ho scambiato qualche messaggio con lui e così, a lettura completata, non ho potuto non chiedergli la sua opinione a proposito della possibilità che un cervello artificiale sia in grado, in un prossimo futuro, di concepire e scrivere un romanzo originale.

“Come sai che io non sono un cervello artificiale? Non ci siamo mai parlati faccia a faccia e interagiamo grazie a un medium elettronico” ha risposto, citando poi a esempio il Test di Turing. “Sì, un’intelligenza artificiale sarebbe in grado di generare – grazie a degli algoritmi – un romanzo all’apparenza scritto da un umano. Ma sarebbe ‘originale’? No. C’è da dire che pochi racconti, composizioni musicali o lavori artistici si possono davvero definire ‘originali’: quasi tutti sono influenzati dal contesto culturale in cui nascono”.
E poi ha concluso: “Comunque non preoccuparti, io sono umano (almeno credo)”. Voi che ne dite?

Dal canto mio, penso che questo autore sia assolutamente da seguire e consiglio vivamente il titolo uscito da poco per Nord. Prima dell’Apocalisse è un romanzo sconvolgente, che oltre a presentare un colossale conflitto tra scienza e fede ci invita a una profonda riflessione sull’esistenza. A meno che non abbiate paura di conoscere una nuova verità sulla vita che state vivendo, una rivelazione del tutto plausibile. Terribilmente concreta. Drammaticamente geniale.

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