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Ieri, alle nove di mattina, accolte dalla fanfara, il picchetto della marina e circa 400 immigrati cinesi festanti con bandiere rosse a cinque stelle e tricolori, la cacciatorpediniere e la fregata cinesi Guangzhou e Chaohu sono arrivate al porto militare di Taranto, uno dei più importanti della Nato nel Mediterraneo, per la prima visita ufficiale in Italia.
Oggi le due navi militari della Repubblica popolare terranno per la prima volta nella storia alcune manovre congiunte con l’Italia. Le navi sono di ritorno dalla missione cinese contro i pirati somali nel Golfo di Aden, condotta in coordinamento ancora con l’Alleanza atlantica.
Si tratta di un doppio segnale di amicizia, cosa estremamente importante in questioni strategiche che riguardano lo sviluppo e la crescita della marina militare cinese, l’unica in teoria che, fra alcuni decenni, potrebbe sfidare la supremazia dell’America nei mari o almeno in alcune parti degli oceani.
L’arrivo a Taranto era programmato da tempo e non è stato cambiato o cancellato, nonostante le recenti tensioni tra Stati Uniti e Pechino. La questione è molto importante, perché solo una decina di giorni fa il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha quasi gettato un guanto di sfida alla Cina, dichiarando in una conferenza dei Paesi asiatici che il Mar Cinese meridionale è questione strategica per gli Usa.
Quella porzione di oceano si allunga dal Sud della Cina fino a davanti a Malaysia e Indonesia, allargandosi a Est e a Ovest a sfiorare le coste del Vietnam e delle Filippine. Sette Paesi e territori (Cina, Taiwan, Vietnam, Filippine, Indonesia, Malaysia e Brunei) si contendono la sovranità su due piccoli arcipelaghi, le Spratlys e le Paracels, e un tratto di mare passaggio quasi obbligato per le merci che da Europa e Africa sono dirette in Giappone e Corea. Lì sotto, poi, ci sono riserve di gas e petrolio particolarmente preziose in una regione affamata di energia.
Da circa dieci anni la Cina, Paese di gran lunga più potente della regione, ha dichiarato il principio dello sviluppo congiunto e pacifico della zona, ma questo ha significato poco in sostanza perché gli attriti non sono diminuiti. Oggi le tensioni maggiori sono tra Vietnam e Cina, che nel 1988 ebbero una violenta battaglia navale nella regione, l’ultimo scontro militare combattuto da Pechino.
Finora gli Stati Uniti, Paese leader dell’Alleanza Atlantica, come sottolinea la stampa cinese, si erano tenuti cavallerescamente lontani da questi dissidi. Ma ora il segretario di Stato Clinton ha dichiarato quello che tutti sanno ma che pure tutti pudicamente hanno finora taciuto, cioè che il Mar Cinese meridionale è questione strategica per gli Stati uniti, terreno di prova per vagliare e magari anche bloccare le intenzioni militari cinesi.
Da un paio di settimane la stampa cinese, dove l’influenza dello Stato non è certo minima, ruggisce e ulula contro la sfida americana nel suo cortile di casa. A fronte di queste proteste c’era forse da aspettarsi che la marina militare di Pechino cancellasse la visita a Taranto. Questa è infatti una chiara dichiarazione di intenti: la Cina vuole continuare e rafforzare i rapporti con la Nato in un settore chiave per entrambi, quello navale. E se la Nato è guidata dall’America, allora il messaggio implicito è che Pechino accetta, in qualche modo, la leadership militare statunitense.
Questa la prima parte del messaggio. Una seconda parte anche molto significativa è che la marina militare cinese non è più fatta da casseruole semi-arrugginite condotte da marinai d’acqua dolce, spediti nell’oceano in base alla massima «affogare o sopravvivere».
L’ammiraglio Zhang Wendan, comandante del gruppo, ha detto a «La Stampa» che la missione in Somalia è stata importante per aumentare gli scambi di informazioni con la Nato e rafforzare la fiducia reciproca. «Questa nostra missione indica che gli scambi e la collaborazione saranno sempre maggiori e che vogliano dare il nostro contributo per il mantenimento della pace nel mondo», ha affermato Zhang.
L’ampiezza della missione cinese nel Golfo di Aden non è però da sopravvalutare: gli ufficiali italiani spiegano che le missioni in Somalia sono condotte da Nato e Unione europea, le quali insistono perché la Cina entri nella parte di coordinamento stretto. «Pechino però finora ha declinato l’invito, anche se fa calorose dichiarazioni di principio», ha detto l’ammiraglio Giovanni Gumiero. Nei mari caldi davanti alla Somalia la Cina si limita ad attività di scorta convoglio, come fanno del resto anche i russi. Un rafforzamento del rapporto cinese con la Nato, dal punto di vista di Pechino, va misurato anche in relazione con Mosca, vicino attentissimo a seguire al millimetro ogni minimo movimento politico strategico cinese.
In questo senso, un avvicinamento alla Nato attraverso Italia, nazione che ha una politica estera molto equilibrata, attenta al Medio Oriente e ai Paesi emergenti, potrebbe essere un compromesso tra le rigidità di Washington e i sospetti di Mosca. Oppure, a ben vedere, indica una direzione politica cinese che favorirebbe l’Italia, se l’Italia sapesse cogliere il segnale e gestirlo verso la Cina e verso i suoi alleati della Nato e vicini europei.
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