Magazine Rugby

Prima viene la mentalità, Mirco dixit

Creato il 26 luglio 2011 da Rightrugby
Prima viene la mentalità, Mirco dixitCi sono due punti che rendono interessante l'intervista rilasciata da Mirco Bergamasco a Midi- Olympique - Rugbyrama. Della quale tenderemmo a risparmiarvi le solite banalità dell'occasione, "domande di cortesia" (non ce la prendiamo certo col giocatore - forse un po' con gli intervistatori - quando "scopriamo" che al terzo mondiale ci si senta un punto di riferimento per i giovani, ma esserci sia pur sempre un sogno etc.etc.).
Dunque, il primo punto è personale ma diventa un fattore critico per l'intero team nazionale: la domanda è "Il fatto di essere il piazzatore designato dell'Italia ti fa sentire ulterore pressione sulle spalle?".
La risposta di Mirco: "No, per niente. Non mi considero ancora un buon calciatore. Devo lavorarci, è una sfida permanente. Direi che è una scommessa che mi piacerebbe vincere, e fortunatamente ho persone che mi aiutano intorno. La vivo più come una motivazione supplementare che una pressione".  Una risposta intelligente che un po' "scarica" (come dire, sono qui solo di passaggio, che volete da me?).
Problema è, a livello tattico l'Italia possiede un pack potente e grazie al lavoro di  Mallett, abbastanza disciplinato, quindi portato a guadagnarsi falli; avere una percentuale realizzativa sui piazzati inferiore alla soglia del 75%, sarebbe tragico per il morale di tutti.
Per aiutare Mirco ad abbassare la pressione, oltre all'allenamento (vedi foto a Villabassa) sarebbe opportuno che il pack puntasse più regolarmente alla meta: dalle rimesse laterali più driving maul e coi pick&go che hanno una dinamica collettiva più elementare. E poi c'mon, gente come Castrogiovanni o Parisse, l'ovale la san portare quando giocano nei loro club!
L'altro rischio per Mirco oltre alla pressione, è il principio focus always means defocus: se ti focalizzi molto su qualcosa, fatalmente trascuri qualcos'altro. Nel Sei Nazioni abbiam visto il trequarti patavin-parigino meno "presente" nelle fasi di attacco, rispetto ai tempi in cui non aveva responsabilità di piazzare e rispetto soprattutto alle buone prestazioni offerte nel campionato francese.
Il secondo punto toccato nell'intervista a Mirco Bergamasco, lo troviamo la miglior risposta indiretta al tema delle direzioni tattiche e strategiche da imprimere al movimento nazionale nel medio-lungo periodo, per consentire agli Azzurri di emergere per davvero e raggiungere i sempiterni obiettivi: basta Cucchiai e arrivare ai quarti di finale ai mondiali.
La domanda è diretta, cosa manchi ancora all'Italia per raggiugnere i quarti di finale al Mondiale. La risposta di Mirco fortunatamente non è del tutto diplomatica. "Per farcela" inizia, "dobbiamo mettere a punto dei piccoli dettagli". Esce subito dal generico centrando il cuore del problema:"Ci manca la convinzione. Ho l'impressione che la squadra abbia preso l'abitudine a perdere. Chiaramente, questo non aiuta ... Ci manca ancora la confidenza".  Il doveroso ottimismo torna subito, ci mancherebbe: " Ma questo sta cambiando. Il gruppo s'è ingrandito, ci siamo rinforzati tutti. L'ultimo Sei Nazioni ci ha fatto bene. E poi direi che in generale siamo progrediti non male. Tutti desiderano veramente di farcela".
Aldilà degli auspici che condividiamo, troviamo che l'indicare "l'abitudine di perdere" come primario elemento negativo sia la miglior risposta agli Zio Tom pro Fir che proliferano nel giro degli addetti ai lavori.
Non è necessario aver frequentato gli Stati Uniti, patria della mentalità sportiva vincente - dove già tra bambini dell'asilo, "sfigato" si dice "loser" - per comprendere che la "mentality" sia il primo tassello da risistemare. Altro quindi che focalizzarsi sui limiti autarchici (che poi non funzionano mai)  ai numeri dieci, otto e trentanove, caro Tonni (il Dg degli Aironi che al Gazzettino ha dichiarato, bene ai limiti Fir sul numero di stranieri in Pro12 e sull'età delle aperture in Italia).
Basterebbe confrontarsi con le attigue Irlanda, Galles o Francia del rugby per ricavarne al volo e senza bisogno di professori veri (non di diplomati Isef), che la prima cosa da fare per lavorare sulla mentalità è far vincere regolarmente Benetton e Aironi nella maledetta Celtica. In tutti i maledetti modi, legali ovviamente. Altro che autarchie e limitazioni insulse e unfair nei confronti e degli avversari e dello spettacolo offerto.
Vogliamo far crescere "i ggiovani"? Si vogliono evitare le figure degli Azzurrini alle prime partite della JWC, lingua fuori alla mezz'ora e incapacità di reggere i ritmi avversari? Non si fa certo coi recinti e i sandbox fino a 23 anni.
Si tratta piuttosto di allargare la base rendendo le proprie squadre di club attraenti cioè vincenti (non c'è altro modo, come seppe fare la pallavolo anni fa, la quale usò poi ottimamente la penetrazione nelle scuole); per poi far selezione, il che è esattamente il contrario del concentrarsi su pochi pre-selezionati sulla base di parametri fisici. La selezione si fa .... in tutti i modi possibili, tranne uno solo, uno standard codificato sulla base di criteri "Accademici" (si veda il post precedente). Per poi infine esporre le nuove leve ai benefici effetti della concorrenza con quelli bravi per davvero. Per 365 giorni, cioè in allenamento, non in sole due partite l'anno. Ben vengano gli stranieri bravi!
Invece di tutto questo, mettono paletti regolamentari che paiono pensati appositamente per mantener perdenti le nostre compagini impegnate nei campionati e coppe continentali. Caso strano poi che anche in Nazionale alligni la medesima mentalità perdente della vast majority dei suoi members?
Eppure la logica sopra esposta sulla base della considerazione di Mirco Bergamasco, non ci parrebbe così difficile da afferrare. Evidentemente c'è qualcosa che ci sfugge.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines