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I Primal Scream sono un gruppo che ho sempre amato particolarmente e che allo stesso tempo ho sempre trovato molto sfuggente. Nel senso che la loro musica per me ha un permanente alone di mistero e di impenetrabilità addosso, cosa che contribuisce solo ad aumentarne il fascino. Ogni volta che penso di averli capiti, di essere riuscito ad afferrarli, ecco che loro mi sfuggono via dalle mani e mi escono con qualcosa di diverso e imprevisto. Che poi nella loro musica a guardare bene c’è un impronta rock’n’roll molto classica. Se c’è un gruppo di degni eredi dei Rolling Stones in circolazione, sono sicuramente loro. Allo stesso tempo, i Primal hanno però anche un’anima più elettronica, innovativa, che li porta altrove rispetto alle altre rock band tradizionali in giro. I loro dischi, almeno quelli più riusciti, sono un gran calderone di suoni e influenze diverse, che posso ascoltare e riascoltare più volte, ma scoprendoci dentro sempre nuovi aspetti. È come se non riuscissi mai a conoscere fino in fondo un loro album. E ciò è stupendo.
I primi due album “Sonic Flower Groove” del 1987 e l’omonimo “Primal Scream” del 1989 tra shoegaze e atmosfere dilatate guardano già al futuro, verso gli anni Novanta e oltre, con un sound indie non distante da molti gruppi cool di oggi. Niente male entrambi, ma sono solo un antipasto di ciò che la band di Bobby Gillespie avrà in serbo per noi da lì in poi. “Screamadelica” è il loro primo capolavoro. Un album fondamentale dal sound molto baggy, psichedelico, ipnotico e pure house, che getta le basi per una parte di Britpop così come soprattutto di una buona fetta di musica elettronica degli anni ’90, risultando fondamentale per band come, per dirne un paio, Chemical Brothers e Daft Punk, mica dei cretini. E poi “Higher than the Sun” ancora oggi che pezzo della Madonna è?
Dopo la parentesi più puramente rock’n’roll e stonesiana di “Give Out But Don’t Give Up”, valido ma che non mi ha mai esaltato più di tanto, con il successivo “Vanishing Point” realizzano un altro autentico capolavoro di inafferabilità. A 15 anni di distanza, è ancora un’auto lanciata a folle velocità che non riesco a fermare. Pazzesco come ad ogni ascolto mi sembri un disco nuovo, fresco d’uscita. Un album cinematografico come pochi, che al suo interno contiene anche “Trainspotting”, un brano composto indovinate per quale film, e realizzato come se fosse una seconda colonna sonora non ufficiale del cult movie 70s Punto zero - Vanishing Point.
Il successivo “XTRMNTR” è un altro album enorme, con un sound da devasto che ancora oggi pare provenire dal futuro. Niente male, per una band rock’n’roll dalle semplici influenze stonesiane.
Dopodiché, i Primal calano, ma lo fanno progressivamente. “Evil Heat” non è al livello dei lavori precedenti, ma è ancora una bella botta, con dentro una bomba come “Miss Lucifer” che si mangia tutti i gruppi techno-rock da Playstation del mondo a colazione, il mattino dopo un rave sfrenato.
A questo punto, i Primal tirano fuori il loro album più deboluccio, “Riot City Blues”, rock country tradizionale, naturalmente stonesiano ma non troppo ispirato. Va un po’ meglio nel 2008 con “Beautiful Future”, che contiene l’esaltante “Can’t Go Back” e una notevole varietà sonora, tra pop, rock ed elettronica. Il tutto però suona troppo pulito e precisino rispetto ai loro standard.
Primal Scream "More Light" Dopo due dischi sottotono e dopo questa lunghissima premessa, eccoci arrivare infine e finalmente al loro ultimo album, “More Light”. Ve lo dico subito (subito? ma se il post è già iniziato da mezz’ora!): si tratta di un lavoro degno dei loro migliori. Lo si capisce fin dall’apertura ipnotica e accattivante, che ricorda ai più sbadati l’anno in cui ci troviamo.
L’ispirazione, quella vera, è tornata. L’effetto che provoca l’ascolto è quello dei loro album più riusciti. Ti porta in un’altra dimensione, ti colpisce nel suo insieme con il suo potere enigmatico. Un mare di suoni che ti trascinano in un fiume di dolore (la stupenda “River of Pain”), ti fanno muovere la testa come pochi altri rocker oggi (“Culturecide”, “Hit Void”, “I Want You”), ti accompagnano figosi a visitare una città invisibile (“Invisible City”), ti portano dentro un film di Quentin Tarantino (“Goodbye Johnny”), ti fanno fare un trip acido da acido (“Sideman”) ti regalano il blues più cool dell’anno (“Elimination Blues”), ti cullano con una ninna nanna (“Walking with the Beast), ti fanno sentire come se nel mondo tutto per una volta può andare bene (It’s Alright, It’s Ok”) e alla fine ti hanno stordito talmente tanto che non c’hai capito niente e vuoi riascoltare il disco da capo, anche se sai già che nemmeno questa volta riuscirai ad afferrarlo nella sua interezza, perché i Primal Scream sono così. Per me sono così. Il gruppo più inafferrabile della mia vita. (voto 8/10)
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