Le primarie all’italiana, di questo bisogna dare atto al Partito Democratico, hanno creato una preziosa rete consultiva che, in pochi anni, si è radicata nel territorio e nell’immaginario collettivo. Ciò non può offrire particolari garanzie di buon governo, ma ha comunque attivato dei meccanismi virtuosi che stanno favorendo il ricambio generazionale e rafforzando il ruolo dell’elettorato. La strada da fare affinché si affermi questa cultura – non solo nell’ambito del centrosinistra, ma in tutto lo scenario politico – è ancora molta, ma non se ne vede un’altra percorribile per scardinare, almeno in parte, certe logiche privatistiche e familistiche nella gestione del potere, vera tara della società italiana.
Difficilmente parteciperò alle primarie per il segretario del Pd, dato che le considero in una logica interna ad un partito al quale non ho aderito e che mi suscita uno sbigottimento almeno pari all’interesse. Se partecipassi, sarei incerto tra la logica che mi consiglierebbe di votare per Cuperlo, in quanto l’unico in grado di sovvertire i sondaggi che vedono Renzi strafavorito, o l’affinità che mi porterebbe a parteggiare per Civati, incarnazione di un’idea di partito moderna, ma senza la rivoluzione culturale maoista (nei modi, non nei contenuti) di Renzi. Quello che mi preme, non è tanto chi sarà il prossimo segretario del maggior partito di centrosinistra italiano, ma piuttosto quale proposta di governo sarà in grado di offrire.