Dopo il confronto televisivo in tanti erano ottimisti, per via della complementarità tra Bersani e Renzi che emergeva e raccontava di un partito che poteva improvvisamente scoprirsi ricco e plurale. Dal giorno dopo è successo di tutto, in negativo. La sconfitta di Renzi, assai probabile, potrebbe aprire la strada ai regolamenti di conti che molti pezzi da 90 del PD hanno lasciato immaginare: Bindi, Letta, D’Alema. Se così fosse, sarebbe grave, una reazione di autodifesa dello stesso segno di quella che restringe la base dei votanti al ballottaggio a quella di chi aveva votato al primo turno, e dimostra una forte rigidità del PD laddove dovrebbe invece emergere la giusta flessibilità. Cioè, un atteggiamento da partito democratico e progressista. Così non è sembrato e si vedrà cosa accadrà in futuro, ma con queste premesse, alla vigilia del resettamento totale dello scenario politico a destra, il PD rischia di non riuscire a cogliere al volo l’occasione per prendere in mano le sorti del paese. E’ una forza che spesso si è messa nel cono d’ombra di Berlusconi, agendo di rimessa, impedendosi di pensare in grande, elaborando un modello, una prospettiva, un programma. Il dramma di questo ballottaggio è che nessuno dei contendenti può rappresentare un elettore di sinistra. Ma mentre quello giovane parla di rinnovamento e di sogni, quello anziano sembra il portavoce di chi non intende mollare la presa e basta. Se il PD riesce a rispondere alla richiesta di rinnovamento espressa a chiare lettere da questo voto delle primarie, può avere un futuro, diversamente rischia di crollare dall’alto delle certezze numeriche date da sondaggi che attestano un’ipotetica preferenza che è ben lungi dall’essere consenso vero. Aprite, o rimarrete chiusi dentro e non farete una bella fine.
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