Primavera araba o autunno israeliano: voci dal Medio Oriente, passando per il nord Africa

Creato il 07 settembre 2011 da Elvio Ciccardini @articolando

La primavera araba sembra aver sconvolto il Medio Oriente, mentre oggi è d’interesse collettivo un ricercato d’eccellenza, Mu’hammar Gheddafi, che un giorno è in un posto e un giorno altrove. L’unica cosa certa è la direzione dei suoi camion ricchi di oro. L’oro del popolo libico, forse utilizzato per l’acquisto di mercenari.

Le ripercussioni geopolitiche sulla privamvera araba, tuttavia, ancora non sono note. Il mondo occidentale è convinto che si stia vivendo una svolta epocale, in cui la cultura della democrazia è entrata in maniera preponderante all’interno di popolazioni soggiogate da decenni di dittatura. E’ verosimile che questa sia una visione romantica, una scelta comunicativa politica e non la realtà dei fatti. Nessuno, infatti, può non tenere in considerazione che quelle dittature sono il frutto di una politica internazionale occidentale e non il normale evolvere delle sorti di un popolo. Così come nessuno può non tenere in considerazione che quello arabo non è un popolo, almeno non come si intende nei nostri Stati, ma un aggregato di tribù, di famiglie, se vogliamo di etnie, che convivono più o meno forzatamente tra loro.

Il mondo arabo è legato, nell’immaginario “nostrano”, ad un’altra faccia della medaglia: Israele. Il conflitto tra Israele e Palestina ne è la sintesi. In realtà è una questione politica, culturale ed economica che vede coinvolta l’intera Lega Araba e molti altri interessi che con il Medio Oriente e il Nord Africa avrebbero ben poco a che fare. Eppure ce l’hanno.

Così, se da un lato gli osservatori musulmani temono uno smembramento degli Stati arabi, così da depotenziarne il peso internazionale, attraverso la divisione in tribù. Dall’altro, c’è chi si preoccupa di un Israele sempre più isolato e, a sua volta, sbranato da diatribe politiche e di potere interne. Il principio del “divide et impera”, potrebbe essere uno scenario ancor peggiore in termini di future conflittualità dell’area.

Dalla stampa israeliana arriva un messaggio forte, che è una preoccupazione reale e cioè che dalla “primavera araba”, che sicuramente ha segnato la fine del socialismo arabo, possa nascere l’affermazione di ulteriori e nuovi partiti islamici. In questo scenario il rischio è che si cada nella contrapposizione di stati para-teocratici. Referenti istituzionali israeliani stanno sondando il terreno e tengono contatti con i nuovi interlocutori. Tuttavia, è prematuro ipotizzare un’evoluzione delle relazioni.

Se queste sono ipotesi e paure, i non addetti ai lavori almeno un problema se lo pongono: quello del cambio di mentalità e di civiltà. E’ impensabile che interi popoli siano costretti alle vessazioni di governi fantoccio che si affermano con il potere della coercizione e delle armi. Non è questione di democrazia, ma di civiltà e di visione dell’uomo come soggetto civile.

Considerando che ogni attore è artefice del proprio destino. Allora è lecito poter affermare che è impensabile che Israele continui a comunicare con il solito mantra della storia del popolo ebraico. Oggi, quel popolo è chiamato alla scoperta di una nuova forma di fratellanza, basata sul dialogo e su una visione che non può tener conto solo delle sorti dello Stato di Israele, ma delle sorti dell’intero Medio Oriente. L’intera area non sarà mai “sicura”, se non si creano “contesti politici e culturali” di dialogo. Ma anche questa è una visione romantica di una parte d’occidente, che difficilmente viene digerita altrove.

L’unica certezza, che oggi è preoccupante, è l’evoluzione del rapporto tra l’unico Stato arabo non soggetto a “nuove primavere” e lo Stato di Israele: la Turchia. Qualche settimana fa i giornali riportavano titoli sullo strappo tra il governo di Ankara e lo stato di Israele.

La Turchia, alleata con Israele dal 1996, ha aperto una rottura formale di ogni relazione. Il Primo Ministro ha annunciato la “sospensione totale” dei rapporti militari e commerciali. Inoltre, ha definito Israele un “bambino viziato”. Il riferimento è l’atteggiamento assunto nei confronti dei palestinesi. Contemporaneamente lo Stato ebraico ha dichiarato di non voler rispondere alle provocazioni.

Di fatto, il premier turco non ha affatto digerito le mancate scuse israeliane per i nove turchi uccisi a Maggio 2010, nel corso di un raid israeliano in acque internazionali contro una flottiglia filo-palestinese, in cui sono morti 9 attivisti turchi. Così la Turchia, da alleato, diventa oppositore del governo israeliano. L’unico vero ponte diplomatico tra Israele e mondo arabo, inizia a scricchiolare rovinosamente.

A questo c’è da aggiungere un altro aspetto, legato alla comunicazione della nuova classe dirigente, quella che si sta affermando dalla primavera araba. Quest’ultima sta proponendo un binomio particolare: l’accostamento dei dittatori caduti in disgrazia con lo Stato di Israele. In una trasmissione televisiva egiziana è stato innescato un processo durante il quale dei bambini accusavano l’ex presidente Hosni Mubarak, rappresentato da un pupazzo, di aver “inoculato agli egiziani il cancro importato da Israele”. In sostanza, la discontinuità politica passa per l’accostamento tra la vecchia classe dirigente, deposta o in via di deposizione, con la politica israeliana, denunciandone una sorta di complicità conflittuale.

In effetti, è logico pensare che quando il potere si afferma come strumento di difesa e baluardo dalle azioni di un nemico, al venir meno della figura del nemico, si deteriori anche il potere che lo contrastava. Un pò come sta accadendo in occidente, dopo la caduta del comunismo. In Medio Oriente, però, Israele non è crollato, anzi sono i governi arabi ad essere implosi per primi. D’altro canto, il nemico della nuova classe di potere sono i vecchi regimi, che vengono associati, per continuità politico sociale al vecchio ed unico nemico ancora in vita: lo Stato di Israele.

Il secondo problema è che mentre l’occidente sta instaurando un Nuovo Ordine Mondiale, chiamato Globalizzazione o Mondializzazione, Israele non ha ancora definito il suo nuovo ruolo nello scenario che cambia. Anzi sembra essere lacerato in un declino progressivo sia politico sia sociale.

Tuttavia, se si legge il siparietto dello scenario del Pupazzo Mubarak, si comprende che qualche responsabilità, forse più di “qualche”, ce l’ha anche il nostro caro capitalismo, quello sì, agonizzante.

Bambino pubblico ministero: “Tu sei il migliore amico di Israele. Israele è il paese che si è più addolorato per la tua caduta e il tuo processo, perché tu li aiutavi a uccidere i palestinesi e occupare le loro terre.”

Secondo bambino pubblico ministero: “Sei un collaboratore dell’America in Medio Oriente”.

Pupazzo Mubarak: “Perché solo io? Tutti i presidenti dei paesi arabi sono collaboratori e traditori”. [...]

Secondo bambino pubblico ministero: “Hai portato il cancro al popolo egiziano.”

Pupazzo Mubarak: “Fratelli e sorelle, ho passato la vita a servire questo paese. Concittadini miei, la popolazione è enorme e non sapevo come darle da mangiare, così ho portato pesticidi cancerogeni da Israele. Avete visto chicchi d’uva grandi come cocomeri, cocomeri grandi come bufali e bufali grandi come polli. Ci sono ottanta milioni di persone, sia lodato il Signore. Come si può dar da mangiare a tutti?” [...]

Bambino pubblico ministero: “Hai trattato verdura e frutta con tutti i tipi di ormoni che arrivavano da Israele allo scopo di inoculare il cancro agli egiziani, ma Dio ti aspettava al varco e ti ha fatto assaggiare la tua stessa cura, infliggendoti il cancro.”

I bambini (in coro): “Hosni Mubarak, demonio, hai inoculato il cancro al tuo popolo.

Il siparietto propagandistico si chiude con il coro dei bambini accusatori. Eppure, dietro questa parodia che suscita ilarità agli occhi occidentali, emerge un aspetto che troverebbe condivisione anche nelle nostre care democrazie. Mubarak e Israele a parte, il vero cancro dell’attuale civiltà dominante, quella occidentale, è la distruzione di un principio vitale, quello di “naturalezza”, attraverso una artificiosità distruttività che è manipolazione, sia dell’uomo, sia del suo ambiente.

Giudicare l’una o l’altra parte non ha poi un gran senso, poichè non è importante sottolineare, sempre e solamente, il “chi eravamo” nei processi di evoluzione costruttiva, ma è fondamentale soffermarsi sulla comprensione del “chi siamo” e del “cosa vogliamo diventare”, sperando che questa volta possa essere “insieme” e non “contro”. Perchè il passaggio dalla “primavera” non si trasformi nell’ennesimo autunno ricco di vittime e sangue.



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