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"Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto."
(Prima Lettera ai Corinzi, capitolo 13, San Paolo).
Sorprendente e radicale l'ultimo sconvolgente Malick.
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Ricomporre mondi perduti, ricostruire l'idea stessa di un uomo, reinventare il legame tra noi e il mondo, fino ad allestire un nuovo insensato girotondo: mai stato così oscuro Malick che porta il suo cinema tra la gente, che fotografa le superfici alla ricerca disperata di una scintilla che è sempre da un'altra parte. Tra cielo e terra, si sprofonda in acqua, richiamati da un altrove lontano, senza tempo, senza durata: la materia si astrae e non rimangono che i sogni nei sogni e il ricordo vaporoso del bambino che eravamo. La nostalgia irrequieta dell'albero della vita si fa allucinazione vertiginosa, un incubo da cui il principe deve svegliarsi per poter tornare a vivere. "Knight of cups" mi è parso subito come l'opera definitiva, terribile e potentissima, di Malick sull'oblio, condizione esistenziale e fondativa dell'uomo stesso...che poi è il suo stesso moto vitale, l'inizio e la causa del nuovo pellegrinaggio.
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ciò che rimane è già destinato a partire sui canyons di hollywood
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occhi puntati sulle cose, alla ricerca commovente di una luce altra, di una grazia inaccessibile, di un reminescenza improvvisa scolpita nella patina pubblicitaria del mondo. In attesa di poterlo rivedere e scriverne in maniera più approfondita, mi convinco sempre di più che Knight of Cups sia il film definitivo sulle immagini e sulla loro stessa negazione (come se lo statuto ontologico di ogni immagine e, dunque, di ogni uomo fosse l'oblio: questo il terrore più profondo a cui è giunto, miracolosamente, il cinema malickiano).
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come angeli in alta definizione, immemori di un colore caldo che possa tornare ad abbracciare le immagini, perduti in un mondo che non si vuole più.