Primo amore, primo schiaffo
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
La persi ben prima che potessi rendermene conto e farmene una ragione. Ero ancora uno sbarbatello, uno di quelli che le donne non le guardava se non con la coda dell’occhio ma arrossendo sempre. Guardavo le loro gambe, eleganti; tutte mi sembravano promessa e paradiso. A quei tempi avevo la testa tre metri sopra le nuvole, ero preso solo per la filosofia, e del femmineo capivo proprio niente. Però, in strada non potevo fare a meno di guardare l’incanto delle gambe: spesse volte distraevo la coda dell’occhio, per timidezza che una ragazza scorgesse sulle mie guance rossore di vergogna.
Una volta una ragazza, che io avevo fissato per un istante soltanto, si era voltata verso di me, senza sorriso ma adombrata manco le avessi trapanato il cuore con un paletto di frassino. Io rimasi impietrito, con le gambe molli: ero sul punto di svenire, infatti una vampa di calore immondo m’aveva assalito e le orecchie mi bruciavano come due tizzoni ardenti. Lei incedeva verso di me, con sicurezza, pronta all’assalto: indarno cercai di biasciare una parola, una qualsiasi, che mi levasse almeno un poco da quella situazione infernale. Ma dalla mia strozza non uscì nemmeno un sottile sibilo. Aprii la bocca solo per farle vedere le tonsille, come un imbecille. Lei lo capì subito che ero uno di quelli, un vergine, che non aveva ancora provata l’effimera ebbrezza d’una sega. Mi si piantò proprio davanti e mi mollò un ceffone a cinque dita… cinque candele accese che mi si stamparono sul volto ancora glabro. Io le rimasi di fronte innocente, sputando una lacrima dall’occhio, non per dolore ma perché ferito dentro. Quello schiaffo così improvviso mi aveva innamorato: e però la prima cotta inizia e finisce nello stesso momento.
Ero un filosofo a quel tempo, pensavo ed esistevo solo se facevo filosofia sulle cose della vita e della morte che, mio malgrado, mi gravitavano attorno. Lei girò sui tacchi, mi diede le spalle, e sculettando si portò via tutta la bellezza e il mio cuore – che in petto non cessava di battere, quasi volesse spaccarmi le costole, compresa quella che Dio m’aveva estirpato alla nascita perché maschio. A quel punto non mi rimase che soffrire, vedere il suo culetto allontanarsi per sempre insieme all’amore che sopra ci avevo disegnato. Ce l’aveva succoso come un cuore: dolci delicate curve, quelle che mettono il diavolo in corpo agli umori di chi giovane e senza esperienza di donne e letti.
Me ne tornai a casa con il cuore spezzato: capivo soltanto che l’amore nasce per morirsene in sé subito, nel tempo d’uno schiaffo e di una lacrima.
Quella notte non riuscii a dormire: lo schiaffo mi bruciava sulla pelle, mi penetrava nell’anima, fin nelle più recondite viscere della carne. La campana bronzea aveva lanciato la sua eco più e più volte: dovevano essere le due passate, l’ora dei vampiri e delle donnine allegre. Almeno immaginavo dovesse esser così, perché dalle mie letture non riuscivo ad immaginare quali altre creature a quell’ora si potessero aggirare nel buio della notte. Mi coprii la testa con il lenzuolo bianco arrossendo: e presi a toccarmi. Non fu difficile: bagnai il materasso di me e fui assorbito in esso. Quella notte qualcosa dentro di me morì. Mi addormentai, caddi in un sonno profondo: e quando mi svegliai era già mezzogiorno, e il letto era asciutto, profumava solo di dolciastro, del mio seme che oramai era stato assorbito dalle lenzuola, dal materasso, per lasciare di sé solo una debole traccia dolce, come quella che lascia il sangue versato in combattimento. Era un pugno sui denti quel profumo dolciastro: quando fai a botte, quando il sangue che assapori per la prima è il tuo, è dolce, è così tanto dolce che saresti tentato di lasciarti assestare un altro pugno sui denti solo per bere altra sanguigna dolcezza.
Mangiai con appetito vorace, fin troppo: e poi, abbandonando i libri di filosofia e i quaderni aperti sulla scrivania, scesi in strada a guardare le gambe delle donne nella speranza che un’altra ragazza mi tirasse un ceffone per la mia impudenza.
Sì, aspettavo un altro schiaffo per innamorarmi di nuovo per la prima volta, ma con occhi ben aperti, colmi di giovane lussuria, e non timorosi e prigionieri della loro coda.