Pro-social motivation: Making a Difference Makes a Difference

Creato il 28 settembre 2012 da Pandm

In post precedenti abbiamo parlato della “trascendent motivation”, più recentemente definita “contributive motivation” .

In effetti in questo periodo parlare di motivazione “contributiva” fra IMU e altro è un po’ difficile.

In ogni caso su tale tema avevamo parlato degli studi e delle tesi del Prof. Perez Lopez dello IESE Business School, che differenzia fra motivazione estrinseca (me ce hanno mandato), intrinseca (mi piace, mi appassiona) ed appunto contributiva (ho desiderio di contribuire al bene di altre persone o più in generale al contesto che mi circonda). Abbiamo anche detto che una base di partenza forte di questa tesi viene dagli studi dello psichiatra austriaco V. Frankl, che sosteneva che il fine dell’uomo è solo parzialmente riconducibile alla “self-actualization”, va visto necessariamente nella dimensione anche della “self-trascendence”. Ovvero l’uomo vive una dimensione trascendente, trova senso pieno della propria esistenza nella relazione, nel contribuire a qualcosa che lo trascende: il bene di altre persone, un progetto più grande, il contesto cui appartiene.

Anche Martin Seligman parla della virtù della Self-trascendence: riconoscersi parte di un contesto più ampio cui contribuiamo e di cui siamo responsabili.

In alcune multi-nazionali parlerebbero di “citizenship behavior”.

Ricordo di una volta in aula, in cui una persona mi ha contestato che non c’è differenza fra motivazione intrinseca e motivazione contributiva. Anche chi fa volontariato lo fa per sé… lo fa perché si sente bene.

(… insomma che egoisti questi che fanno volontariato…)

Servirebbe un bel corso sulla Felicità. Abbiamo perso proprio i “basic”.

Tutto quello che facciamo è per essere felici. E’ l’unico fine che ci accomuna tutti. Solo che alcuni hanno avuto la capacità o la fortuna (o più spesso un buon mix dei due) per capire meglio di altri dove sta. Chi non lo ha capito per nulla si è rassegnato all’idea che non esiste…

Ma ritornando a noi, certo che facciamo tutto per una gratificazione personale, per la nostra ricerca della felicità. Martin Seligman in modo efficace riprende Aristotele e ci dice che ci sono tre macro-tipi di gratificazione: Pleasure, Passion, Purpose.

Piacere, Passione e Scopo. La terza è quella che dura per più tempo e ha maggiore profondità.

Se scavate nella storia dei vostri “momenti topici” forse riconoscerete la differenza fra una gratificazione materiale (la prima volta che avete guidato la nuova macchina), una passione (esercitare una attività che vi piace molto) e una occasione in cui avete avuto piena consapevolezza di aver realizzato qualcosa di significativo per il bene di altre persone. Io la chiamo la sensazione da “cuore pieno”.

La prof.ssa Nuria Chinchilla dello IESE in modo analogo parla di bisogni materiali, di progresso e di “relazione”.

Interessante che oltreoceano i professori che si riconducono alla citata POS stanno investendo nel comprendere meglio la PRO-SOCIAL MOTIVATION: il desiderio di contribuire al benessere di altre persone e più in generale della collettività (Grant, 2007, Kanfer, 2009) . Sostanzialmente la stessa definizione della motivazione contributiva.

Allora qual è la differenza fra motivazione intrinseca e “pro-social”? La seconda non ha in sé il “self-interest”. Incredibile a dirsi alcune persone nell’ambiente di lavoro fanno a volte cose senza pensare al torna-conto personale.

Forse la prima domanda che ci poniamo è se è proprio vero, ma altra domanda provocatoria è perché no!

Perchè dovremmo riscontrare in tutti gli ambiti umani: famiglia, associazioni, sport… ma escluderlo dal lavoro, che è semplicemente una dimensione della vita umana. Perché facciamo un gioco stupido con nostro figlio solo per vederlo sorridere, perché ci sacrifichiamo per un amico. La persona è sempre la stessa.

Ferraro e Pfeffer in un articolo del 2005 dicono che le teorie organizzative ed economiche sono a volte “auto-avveranti”, tutti ci credono e di fatto le realizzano con i propri comportamenti. Forse è così che a furia di dipingere il professionista, il manager, come un egoista e narcisista, tanto i manager ci hanno creduto che lo sono diventati. E’ il momento di realizzare una teoria organizzativa differente… L’egoismo… e pure la caz…imma esiste sul lavoro. Ma non solo quella.

Essendo la POS un’area di studi organizzativi sono interessanti gli studi condotti su come l’organizzazione permette alle persone di esercitare e sviluppare questa attitudine. Cito una modalità, che ho trovato interessante: il RELATIONAL JOB DESIGN: disegnare il ruolo in modo da permettere alle persone di prendere consapevolezza del beneficio che apportano attraverso il proprio lavoro, e meglio ancora mettere in contatto le persone con i beneficiari. In un esperimento in una clinica americana hanno messo le foto dei pazienti sulle radiografie da analizzare: si è riscontrato un netto miglioramento nell’accuratezza delle diagnosi…

Interessante anche la tesi che la pro-social motivation rafforza la motivazione intrinseca per la creatività. La motivazione intrinseca di fa creare cose nuove per la passione insita. Ma la motivazione pro-sociale ti spinge a creare cose nuove che siano anche utili per qualcuno!

Forse la cosa più pro-social che possiamo fare è aiutare altri ad esercitare questa motivazione.

Ci ho riflettuto. Ecco cosa potremmo fare:

  1. Evidenziare ai colleghi più giovani il beneficio che un lavoro apparentemente insignificante che stanno realizzando porta in verità agli altri.
  2. Ringraziare per il lavoro svolto, non darlo per scontato, e farlo dedicando qualche secondo più di occhi negli occhi di quanto ci verrebbe istintivo.
  3. Raccontare storie positive in cui il lavoro professionale è stato un contributo al benessere delle persone. Anche in famiglia, ai nostri figli.

Voi ne avete altri? Sareste un po’ pro-social nei miei confronti…

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