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Problemi e Soluzioni

Creato il 02 gennaio 2015 da Pedroelrey

Qual­che tempo fa in que­sti spazi è stato pub­bli­cato un pezzo dal titolo “Essere Online Vs Essere Parte della Rete” in rispo­sta a un arti­colo di Sever­gnini cri­tico nei con­fronti dei com­menti agli arti­coli sul Cor­riere online.

[Se hai perso la cro­no­lo­gia della vicenda puoi par­tire dall’arti­colo di Masha­ble, ripreso da un pezzo di Sever­gnini al quale hanno fatto seguito le rispo­ste dia­let­ti­che e inter­lo­cu­to­rie di Man­tel­lini su IlPost e Data­me­dia­hub].

Ho letto que­sti inter­venti tenendo sullo sfondo una recente rifles­sione di Fede­rico Bada­loni sul tema dell’interazione tra cul­tura e tec­no­lo­gia. Secondo Bada­loni la tec­no­lo­gia è “la rispo­sta a biso­gni iden­ti­fi­cati da una cul­tura e si occupa di tro­vare le solu­zioni”. L’applicazione di que­sta regola al caso sol­le­vato da Sever­gnini si tra­duce affer­mando che la tec­no­lo­gia ha reso pos­si­bile un nuovo for­mat edi­to­riale: l’articolo com­men­tato e par­te­ci­pato, tra­sfor­mato in piat­ta­forma di con­ver­sa­zione tra let­tore e gior­na­li­sta.
Ma qual è il biso­gno che dovrebbe aver atti­vato que­sta tec­no­lo­gia? E’ un biso­gno del gior­na­li­sta? Del let­tore? Della testata? E’ un biso­gno pre­sente nella nostra cultura?

Sono d’accordo con Sever­gnini: i com­menti agli arti­coli sono rara­mente utili e spesso dan­nosi. Dal punto di vista edi­to­riale la fun­zio­na­lità dei com­menti è un flop. Non fun­ziona, costa e non rende. Tutte le cose che non fun­zio­nano per­ché non rispon­dono a un biso­gno, prima o poi spa­ri­scono. Soprat­tutto se costano più di quanto rendono.

Non parlo, ovvia­mente, della pos­si­bi­lità di espri­mere un’opinione o un com­mento sulla Rete. Ci sono ambienti nei quali l’espressione di un feed­back più o meno strut­tu­rato è la risorsa fon­da­men­tale per la costru­zione di un ser­vi­zio e dà ori­gine a solu­zioni favo­lose: tutti i sistemi di review e rating di pro­dotti e ser­vizi, le com­mu­nity tema­ti­che, gli ambienti di col­la­bo­ra­zione dif­fusa, l’intrattenimento e le rela­zioni sui social. Qui la tec­no­lo­gia risolve dei biso­gni pre­cisi e, infatti, ha tra­sfor­mato la nostra cultura.

Parlo invece dei com­menti agli arti­coli sulle testate d’informazione e offro il mio ragio­na­mento su tre diret­trici: la quan­tità, la qua­lità dei com­menti e la man­cata pro­messa della partecipazione.

La quan­tità dei com­menti
La regola empi­rica parla di un gene­ra­tore di con­te­nuto online ogni 100 frui­tori. Nel caso dei com­menti agli arti­coli, una mia stima indica la media di un com­mento al giorno ogni die­ci­mila let­tori. Si deve con­clu­dere che un com­mento è letto da un let­tore ogni 100. Dal punto di vista del mar­ke­ting del pro­dotto edi­to­riale, che senso ha man­te­nere in piedi un sistema che sod­di­sfa (forse) l’1 per cento degli utenti? Non vor­rai mica con­vin­cermi che gra­zie ai com­menti aumen­tano i let­tori, il tempo speso sulla pagina, le con­di­vi­sioni sui social. Io non ho mai cono­sciuto un let­tore che va a leg­gere un arti­colo online per leg­gerne i commenti.

Quindi, i com­menti non rispon­dono ai biso­gni della testata.

La qua­lità edi­to­riale (i com­menti si scri­vono, le opi­nioni si leg­gono)
I com­menti non rispon­dono al biso­gno dei let­tori di espri­mere un’opinione.
Da che il Web è social non si è mai visto un com­mento diven­tare opi­nione. Chi ha un’opinione non scrive un com­mento, scrive un arti­colo. Come fac­cio io ora. E chi ha tanta pas­sione e tante opi­nioni non scrive com­menti qua e là ma apre un blog o fini­sce per fare il gior­na­li­sta su qual­che testata. Cioè, costrui­sce il pro­prio stile edi­to­riale e offre una visione del mondo a chi la cerca. Legge i fatti nella cul­tura del pro­prio tempo, o in una delle tante, e trova i let­tori che cer­cano pro­prio que­sto tipo di media­zione e di spie­ga­zione della realtà.

Il biso­gno di espri­mere una valu­ta­zione sin­te­tica può essere sod­di­sfatto in modi diversi, più sin­te­tici e imme­diati e, in que­sto modo, più aperti al con­tri­buto di tutti. E’ ciò che si è veri­fi­cato con la prassi della con­di­vi­sione dell’articolo sui social, spesso non asso­ciata ad alcun com­mento, e con la pos­si­bi­lità di espri­mere un rating di valu­ta­zione dell’articolo in una sem­plice scala in cin­que step.

La pro­messa man­cata
I com­menti potreb­bero allora rispon­dere ai biso­gni dell’autore dell’articolo. Avere un ambiente di discus­sione è un’opportunità per gli autori per­ché con­sente di man­te­nere il con­tatto coi let­tori e la loro sen­si­bi­lità sui temi trat­tati. In linea di prin­ci­pio que­sto è molto utile e nobile ma nella pra­tica di que­sti anni non si è rea­liz­zato. Almeno non nelle testate gene­ra­li­ste e popolari.

Lo dico con ama­rezza: è un pec­cato per­ché sarebbe stato bello. Pensa, una Rete in cui le per­sone leg­gono, appro­fon­di­scono, discu­tono per aiu­tarsi a capire; una Rete in cui i gior­na­li­sti diven­tano le voci della coscienza civica rac­co­glien­done le istanze e le rifles­sioni nel rispetto delle opi­nioni diverse. Una Rete, insomma, in cui matura la sen­si­bi­lità demo­cra­tica.
Nel caso dei com­menti non è andata così. La fun­zio­na­lità del com­mento è come la carta moschi­cida, attrae solo una certa spe­cie di let­tori, e favo­ri­sce alcune com­po­nenti della dina­mica di par­te­ci­pa­zione, gene­ral­mente non edu­cata e non costrut­tiva. Spiace dirlo ma va detto in modo bru­tale, come scrive Sever­gnini: i gior­na­li­sti non pos­sono essere i guar­diani dello zoo dell’online ed è meglio per loro spen­dere tempo per stu­diare, veri­fi­care e impa­rare, che per dia­lo­gare con per­sone che non rap­pre­sen­tano i let­tori e hanno più tempo che argo­menti da spen­dere quando scri­vono i loro commenti.

Credo che soste­nere la tesi della neces­sità di un gior­nale comu­nità o di una testata in cui i let­tori par­te­ci­pano alla linea edi­to­riale sia una for­za­tura. Ci sono luo­ghi dell’online che nascono con una forte com­po­nente di par­te­ci­pa­zione asso­ciata all’informazione ma non pos­siamo con­si­de­rarli l’evoluzione dei gior­nali di carta. Una cosa sono i dibat­titi e le assem­blee a cui si par­te­cipa, altra cosa è una con­fe­renza a cui si va per ascol­tare e imparare.

La Rete ha tra­sfor­mato le dina­mi­che d’interazione ma non l’identità dei sog­getti che la com­pon­gono. Io do cre­dito a una testata che mi informa e mi fa riflet­tere. Voglio leg­gere i suoi arti­coli sapendo che li leg­gono altre migliaia di indi­vi­dui (per que­sto non mi piac­ciono gli algo­ritmi di per­so­na­liz­za­zione). Se non sono d’accordo con le opi­nioni di una testata trovo molte altre occa­sioni per veri­fi­care e appro­fon­dire. Non è la fun­zio­na­lità dei com­menti a farmi sen­tire parte di una comu­nità o di un seg­mento socio-culturale: sono i valori, gli ideali e lo stile di ana­lisi che trovo nella testata e nei suoi giornalisti.

Un elenco di tecnologie che hanno arricchito l’informazione online negli ultimi anni e che hanno dato risposta alcuni bisogni dei lettori, dei giornalisti o delle stesse testate editoriali.

Un elenco di tec­no­lo­gie che hanno arric­chito l’informazione online negli ultimi anni e che hanno dato rispo­sta ad alcuni biso­gni dei let­tori, dei gior­na­li­sti o delle stesse testate editoriali.


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