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«La
Santa Sede non ha mai pubblicato testi che autorizzino le religiose a
prendere anticoncezionali, anche se corrono il rischio di essere
violentate»,
così monsignor Piero Pennacchini, vicedirettore della Sala Stampa
Vaticana, il 5 marzo 1993. Era accaduto che un pretonzolo del
Reggiano aveva accusato la Santa Sede di usare due pesi e due misure,
col no alla pillola per le bosniache che in quei mesi venivano
stuprate dai serbi, dopo aver consentito, anzi sollecitato, che ne
facessero uso le suore a rischio di stupro nelle loro missioni
dell’Africa
sub-sahariana.
Era voce, questa, che circolava già da tempo.
Impossibile dire se fosse voce attendibile, tanto meno se fosse vero,
come si andava mormorando già da tempo, che la deroga all’assoluto
divieto della contraccezione estroprogestinica imposto con la Humanae
vitae
fosse stata concessa da Paolo VI in persona. Di fatto non esisteva
alcun documento ufficiale che lo provasse. In quanto all’enciclica,
non dava adito ad alcun fraintendimento: «È
esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel
suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si
proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né,
a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente
infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna
scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti
costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi
seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà
morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male
morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene
più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il
male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto
positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi
indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare
o promuovere beni individuali, familiari o sociali»
(14).
E allora che cazzo dice Bergoglio? Gli chiedono se, per far
fronte al rischio posto in essere dal virus Zika, «la
Chiesa può prendere in considerazione il concetto di “male
minore”»
e autorizzare all’uso
della pillola per evitare il ricorso all’aborto. E cosa è capace di scacazzare? «L’aborto
non è un “male minore”, è un crimine»,
e vabbè, siamo nel solco. Ma poi?
«Riguardo
al “male minore”, evitare la gravidanza è un caso. Parliamo in
termini di conflitto tra il quinto e il sesto comandamento. Paolo VI,
il grande, in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle
suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza. Non
bisogna confondere il male di evitare la gravidanza, da solo, con
l’aborto. L’aborto non è un problema teologico: è un problema
umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne
un’altra,
nel migliore dei casi, o per passarsela bene. È contro il Giuramento
di Ippocrate che i medici devono fare. È un male in se stesso, ma
non è un male religioso, è un male umano. Ed evidentemente, siccome
è un male umano, come ogni uccisione, è condannato. Invece, evitare
la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in
quello che ho menzionato del Beato Paolo VI, era chiaro».
Chiaro, un cazzo. In un colpo solo si sputtanano Paolo VI e la
dottrina. E questo, come per il dirsi non legittimato a giudicare chi commetta «atti intrinsecamente disordinati [e] contrari alla legge naturale» (Catechismo, 2357), come per il cazzotto che riteneva «naturale» tirare in faccia a chi gli toccasse la mamma, accade ancora una volta nel corso di un incontro con i giornalisti al seguito in uno dei suoi viaggi all’estero, in volo. O quell’aereo ha problemini di pressurizzazione o li ha Bergoglio, e sui fondamentali.
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