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Processo d’appello per la morte di Alessandro Mathas: una storia terribile ancora in cerca della verità

Creato il 17 gennaio 2012 da Stenazzi

Parte il processo d’appello per l’omicidio di Alessandro Mathas, il bambino di otto mesi ucciso di botte in un residence di Nervi la notte tra 15 e 16 marzo 2010. In aula ci sarà Giovanni Rasero,  che in primo grado ha avuto una condanna a 24 anni. Che cosa accadde quella notte? Ecco che cosa raccontò la mamma di Alerssandro, Katerina:

Dice Katerina parlando di Rasero, che era con lei quella notte: «Sapevo dentro di me che era stato lui. Lo sentivo come madre, ma non potevo dimostrarlo» Alessandro Mathas aveva solo 22 mesi, morì nella notte tra 15 e 16 marzo, ucciso  di botte nel monolocale di un residence di Nervi. Durante quelle ore Katerina uscì dal monolocale dove era con il suo bambino e con Rasero. Ecco che le sue parole: «Non dovevo lasciarglielo,  altre volte lo avevo lasciato da solo con Rasero… La notte dell’incidente con la Smart e poi una sera che mi allontanai per andare a prendere le sigarette. Dopo la prima volta che gli affidai Alessandro avevo notato dei segni sul volto del bambino, nella guancia sinistra e quando gli chiesi  spiegazioni lui mi disse che era  caduto. La sera dell’incidente con un mio amico siamo arrivati in casa di Rasero alle cinque e mezza del mattino. Al mio amico raccontai che Rasero mi aveva detto che il bimbo era caduto dal tavolo. In casa c’eravamo io, mio figlio, il mio amico e Rasero. Quest’ultimo non era contento che eravamo andati da lui. Arrivati a casa sua ci siamo fatti da mangiare e poi ci siamo messi tutti a dormire. Quando mi sono svegliata il bambino era in braccio a Rasero e piangeva. Ricordo che Rasero era nervosetto per il fatto che il bambino piangeva. Rasero a un certo punto prese la bottiglia del latte e con un gesto di stizza fece per darla in testa ad Alessandro».

Dice ancora Katerina: «Conosco Rasero da tre mesi. L’ho incontrato a casa di Calissano una mattina. L’attore mi aveva parlato di un lavoro che avrei dovuto fare insieme a lui. All’inizio ci siamo un po’ conosciuti. Poi frequentandosi è nato fra noi un flirt anche se non abbiamo mai avuto rapporti sessuali completi. Ricordo che la sera quando c’è stato l’incidente con la Smart mio figlio era con me. Nelle occasioni in cui il bambino c’era, Antonio era contento della sua presenza, ci giocava, lo prendeva in braccio. Il suo rapporto con lui è sempre stato positivo. Il signor Rasero mi parlò  dei suoi figli. Mi diceva che gli mancavano tanto e che sua moglie non glieli faceva vedere. Il dialogo tra noi era ristretto, spesso se ne stava zitto sdraiato sul letto. Ho iniziato ad assumere droghe prima di rimanere incinta. E sniffavo pure durante la gravidanza, anche perché all’inizio il mio compagno voleva che abortissi. Quando all’ospedale i medici mi dissero che forse era meglio non farlo perché il bimbo era già formato, decisi di non abortire più e a quel punto non feci più uso di droghe fino al parto. Dopo la nascita di Ale ho iniziato ogni tanto a sniffare cocaina e solo dopo il quinto mese ne ho aumentato il consumo.Il papà del bimbo l’ho conosciuto in un circolo, aveva già famiglia. Assumevo due grammi al giorno oltre all’hashish. Poi ho conosciuto un  ragazzo, il mio amico di Rapallo. Anche lui faceva uso di stupefacenti come Rasero. Rasero mi sembrava un ragazzo diverso dagli altri, si presentava come una persona seria. Mi piaceva, avrei voluto avere una storia con lui».

Il racconto della notte in cui Alessandro morì:  «Ale era con me, aveva mangiato a pranzo ma non a merenda. Il bambino mangiava a pranzo il minestrone o la carne, e poi faceva merenda con merendine, omogeneizzati o yogurt e alla sera cenava solo con il latte. Quattro pasti al giorno. Quella sera gli ho dato un biberon di latte. Ho usato un biberon particolare perché aveva un buco grosso nel ciuccio e io stavo attenta che non scendesse troppo forte.Prima ero già scesa a comprare 100 euro di cocaina. Poi mi sono vista con Rasero, siamo andati a Portofino. Prima di tornare a prendere Alessandro (e il resto della droga) ci siamo fermati in auto a sniffare. Subito dopo siamo andati a Genova. Dovevo prendere le mie cose, non era previsto che restassi a dormire. Durante il viaggio Ale era sveglio. Antonio lo stuzzicava, lo toccava sulla spalla con un dito e Ale rideva. Quando siamo arrivati al residence il bimbo era sveglio. Era stanco ma non piangeva. Quando siamo entrati nel monolocale ho messo subito a dormire Alessandro appoggiandolo sul divano. Mi sono sdraiata con lui per farlo addormentare. Gli ho messo una giacca sotto la testa per cuscino, l’ho avvolto con la coperta e poi, per non farlo cadere, gli ho messo accanto delle cose. Antonio, mentre facevo dormire il bambino, preparava la droga. Quando Ale si è addormentato ci siamo fatti insieme un “pippotto”. Ho chiamato uno spacciatore per un appuntamento, mi serviva altra coca. Per mezz’ora ancora sono rimasta in casa, vicino a mio figlio. Piangevo , ero triste. Nel frattempo mi ero fatta una canna».

È verso mezzanotte che Katerina Mathas esce di casa  in cerca di altra coca. Torna nel residence dopo un’ora e mezza: «Quando sono entrata il bimbo era sul divano dove l’avevo lasciato. Era sotto la coperta e per me la giacca sotto la testa c’era, altrimenti me ne sarei accorta. Non mi sono messa vicino al bimbo, non mi sono seduta sul divano».

Quando torna Katerina scambia sms con un suo amico di Rapallo. Scrive a un certo punto di essere addormentata ad Alessandro: «Era una bugia per placare la gelosia del mio amico. Volevo fargli pensare che non ero con Rasero. Anche Rasero quella sera è uscito per prendere le sigarette. Nel frattempo io scrivevo al telefono. Appena entrata ho chiesto subito Ale come stava e poi ho preparato la coca. Quando Rasero è tornato io ero al telefono col mio amico di Rapallo che mi accusava di non avere il bimbo con me. A quel punto ho spento il cellulare imprecando e Rasero ha iniziato un approccio sessuale senza riuscirci. Gli dissi che non avevo voglia. La tv quando lasciai la casa era accesa senza volume, quando tornai era spenta e lui la riaccese quando io ero già a letto. Poi mi sono addormentata per risvegliarmi alle 11 con Rasero che mi diceva di alzarmi perché il bambino non si muoveva. Sono corsa al divano, ho preso in braccio il bambino, ho visto che era pieno di macchie rosse, aveva le labbra viola e non dava segni di vita. Non capivo cosa stava succedendo. Mi sono vestita velocemente, ho preso la mia roba e siamo usciti di casa per andare all’ospedale. Il bambino era avvolto nella coperta».

La terribile conclusione: «Durante il tragitto lo tenevo in braccio, non dava cenni di movimento. Rasero continuava a dirmi di non dire che eravamo stati a casa sua. Ricordo solo che all’entrata dell’ospedale vidi un’infermiera che stava fumando una sigaretta e le chiesi di vedere subito il bambino. Le dissi “non dovevo lasciarglielo”. Sapevo dentro di me che era stato lui. Ma non potevo dimostrarlo».

Questo fu il racconto di katerina Mathas. Il pm che indagò sul caso le credette, rinviò a giudizio solo Rasero per omicidio. Al termine del processo, però, la giria, condannano a 24 anni di carcere l’uomo chiese anche di tornare a indagare sulla mamma di Alessandro. Ecco come si espresse la giuria:

Sono un colpo terribile per Katerina Mathas le motivazioni della sentenza di primo grado, pubblicate ieri, della condanna a 26 anni di carcere di  Giovanni Antonio Rasero per l’omicidio del piccolo Alessandro Mathas. Secondo ciò che hanno scritto i giudici, la storia va completamente riscritta. Far uscire dalle indagini la mamma di Alessandro, Katerina, fu, da parte di chi indagava, una decisione sbagliata «e destituita dal benché minimo fondamento in termini di credibilità». E cioè,  secondo la giuria, Katerina è tutt’altro che innocente.

Alessandro Mathas aveva solo otto mesi, morì, per le violenze subite, nel residenceVittoria di Nervi la notte del 16 marzo 2010. Una notte folle, in cui la mamma di Alessandro e il giovane che era con lei, Rasero, erano strafatti di cocaina.  Qui raccontammo come andò.

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Sia la Mathas sia Rasero vennnero arrestati. Lei trascorse 13 giorni in carcere poi venne rilasciata. Chi indagava credette alla sua versione, e cioè che, al momento della morte di suo figlio, fosse fuori, a cercare altra cocaina. La giuria che ha condannato Rasero la pensa però diversamente. «La Mathas era nel monolocale mentre il figlio veniva colpito a morte tra l’1,30 e le 2», scrivono. Aggiungono:  «Poco importa se abbia partecipato attivamente o solo assistendo passivamente alla violenta condotta sfociata nell’omicidio del figlio Alessandro». Tra l’1,30 e le 2 il telefono della Mathas, prima rovente, tace. Tace, scrive la giuria«insolitamente e inesorabilmente tace». Il perché lo spiega la corte nelle motivazioni: «Devono essere stati ben altri i fattori intervenuti ad annientare la spasmodica esigenza di comunicazione sino a quel momento espressa dalla Mathas nei confronti del compagno Bruno». Bruno è Bruno Indovino,   l’uomo con cui la Mathas aveva comunicato, e comunicherà, via cellulare per il resto della nottata. Che cosa accadde, quindi? «Il piccolo Alessandro è già sveglio o, con tutta probabilità, si sveglia al ritorno della madre e sciaguratamente interferisce con l’ennesima assunzione di cocaina da parte della coppia Rasero-Mathas. La donna appena tornata prepara la polvere da sniffare, sicché con tutta probabilità tocca all’imputato l’ingrato compito di calmare in qualche modo l’ostinato pianto di Ale ».

Scrive ancora la giuria della corte d’Assise: «In tale contesto si materializza, all’improvviso, la condotta violenta nei confronti della piccola vittima, condotta tutt’altro che fulminea: il bimbo viene spogliato e bagnato». Un’azione «che, qualunque sia l’esatta cronologia degli eventi, non poteva passare inosservata in un ambiente tanto angusto quale quello in cui si è consumato il delitto. Anche le disperate manovre rianimatorie contestate come sevizie».

La giuria che ha condannato Giovanni Antonio Rasero dice in pratica che, per lo stesso reato, e cioè omicidio volontario, deve essere processata anche la mamma di Alessandro. Lei non ha commentato, ha solo detto: «Sono pronta a farlo, ad andare in carcere».

Ora il processo d’appello è al via. Katerina Mathas continua a essere persona indagata. Antonio Rasero l’ha sempre accusato  di essere la reale responsabile della morte del piccolo.


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