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Processo Satragno per omicidio seconda parte

Creato il 02 novembre 2013 da Yellowflate @yellowflate

a Cairo M. 012Processo Satragno 1 parte 

Interrogato che cosa volesse farne, rispose per rischiararsi la strada giacché voleva andarsene a casa sua in Biestro; dissuaso da queste due donne a partire, sia per ragione della notte scura e piovosa, sia per ragione della pessima strada, rispose, che egli ne avrebbe fatto volentieri di meno, che però non poteva esimersene giacché aveva con sé il suo massaro di Rocchetta Cairo.

Insistendo però quelle donne nel loro consiglio egli fattosi sulla porta si diè a chiamare:Beppin! Beppin! Ma non avuta risposta, rimase fermo nel pensiero di andare a casa. La Pignone allora uscì, si recò in sua casa, ne prese una lanterna e la portò nel forno dell’Anselmi al Cabitto, che voleva pagarla, pagamento però, che venne da essa rifiutato.

L’Anselmi mise dell’olio in quella lanterna, e il Cabitto lo pagò con un soldo, e per pagarlo estrasse una borsa di bozzona da cui cavò delle monete da quaranta, da cinque e da tre centesimi, e delle svanziche, lasciando dell’altro denaro nella borsa la quale presentava un discreto volume, e come se contenesse ancora dieci circa lire di moneta.

Dopo ciò il Cabitto usciva dal forno, trascorsa un’ora e più senza che abbiasi potuto sapere come, e dove il Cabitto abbia impiegato questo tratto di tempo, il Cabitto stesso si recò nella bottega di Angela Penna, detta la Boccetta, ed ivi fece acquisto di un mazzo di zolfanelli, che pagò con una moneta da 3 centesimi, che trasse dalle sue tasche, sola.

Qui pure fu richiesto del dove fosse diretto, e qui pure disse che andava a Biestro, a casa sua. Sconsigliato dal farlo per le ragioni istesse già allegate dall’Anselmi, e dalla Pignone, rispose che doveva andare, perché accompagnato dal suo colono di Rocchetta Cairo;

e siccome tanto la Boccetta, quanto una Maddalena Barberis, che trovavasi in quella bottega, tutte e due dicevano al Cabitto di non andarsi a perdere con quella serata, e la Barberis specialmente, offrivagli cena e letto; egli si fé sulla porta, e chiamando: Beppin! Beppin! Disse:senti che cosa dicono queste signorine, che ce ne stiamo qui perché è tempo cattivo, ma nessuno rispose.

Intanto presenta vasi sulla porta della bottega, esercita dalla Boccetta, un uomo, il quale diceva al Cabitto: vi chiamano, e il Cabitto rispondeva: è il mio manente, ditegli che venga qui.

Quest’uomo di nome Pietro Perando era veramente stato incaricato da un individuo che era sulla via, di chiamare il Cabitto, non riconobbe neppure all’udienza colui che gli aveva dato l’incarico, e non ritenne di esso altro che era di bassa statura e tra le 36 e le 38 once.

 Questo teste pure sospettò che l’individuo che gli aveva dato l’incarico di chiamare il Cabitto, non volesse lasciarsi vedere.

Che il Cabitto dicesse in quella sera di andare a Biestro, col suo colono di Rocchetta Cairo, lo attestano altri testimoni; che lo chiamasse ripetutamente con nome di Beppin è accertato, come è accertato che egli si irritava perché questo Beppin non gli rispondeva, e che diceva:“Costui mi è vicino, mi ode, e non mi vuol rispondere”; è accertato infine che il Cabitto non aveva in Rocchetta Cairo altri coloni, tranne il Satragno, e che fra i di lui coloni non ve ne ha alto che porti il nome di Giuseppe.

Qui trascorrono altre due ore senza che sappiasi come il Cabitto impiegasse il suo tempo, e solo intorno alla 10 di quella istessa sera si trova il Cabitto presso il Collegio degli Scolopi in Carcare ed è là appunto dove incomincia la via che mette a Biestro, che sta contestando con uno sconosciuto.

Maria Barbitta depone che il Cabitto da esso molto ben conosciuto alla voce, diceva un po’ vivamente: “non voglio venire in su perché l’ora è tarda, avete sentito che altri ce lo hanno già detto”, e udì una voce a lei ignota che rispondeva: “dovete venire, me lo avete promesso.”Depone del pari ch’essa chiamò per nome il Cabitto, lo sconsigliò dall’andare a casa in quell’ora, e che il Cabitto rispose: “è costui che vuol che vada”. Questa circostanza è pure attestata da altri testimoni.

Il Satragno negò sempre di essere stato in quella sera in Carcare, sostenne di aver lasciato sulla via tra Carcare e Cairo il suo padrone e di essersi ridotto a casa sua in Rocchetta Cairo prima delle 9 di quella sera.

Ma la Maria Barbitta, dopo aver udito a parlare il Satragno, sostenne all’udienza che la voce dell’accusato era la stessa voce che aveva proferite le parole: dovete venire, me lo avete promesso.

Rosa Morena-Gallo e la di lei fantesca Luigia Giorella depongono che nella sera del 16 gennaio, nella sera cioè del commesso reato, sovra un pubblica via di Carcare, un individuo ad esse sconosciuto, loro domandò se in quel paese si vendessero lanterne: affermarono d’aver in quell’individuo riconosciuto il Giuseppe Satragno.

Risultò all’udienza che la Rosa Moreno quando fu chiamata in Savona per riconoscere se nel Satragno v’era veramente l’individuo che aveva parlato con essa la sera del 16, dapprima fra i quattro che le vennero presentati, indicò un individuo dal Satragno diverso; dappoi si fermò sul Satragno. Luigia Giorello per contro (ragazza minore degli anni 12) sia nei primi confronto, sia all’udienza, indicò sempre il Satragno siccome colui che aveva chiesto dove si vendessero lanterne.

Dalle deposizioni di Pietro Basteris parroco di Rocchetta Cairo, della di costui fantesca e di altri molti testimoni, fu accertato che la moglie di Giuseppe Satragno dichiarò in più luoghi ed a più persone che il marito nella sera del 16 venne a casa molto tardi, ch’essa lo aveva aspettato fin verso le 10, che poi se n’era andata a dormire, che quindi fu svegliata dal marito che entrò nella camera tutto tremante, che chiestogli che cosa avesse, rispose che aveva freddo, che invitato a cacciarsi in letto dove si sarebbe scaldato, accese invece il lume, scese in cucina dove accese il fuoco, si cacciò quindi in letto, ma era inquieto, non poteva prender sonno, e dopo alcun poco si alzò, uscì, e non ritornò in casa che la mattina del 17 successivo a giorno fatto.

Fu accertato del pari da altri testimoni, che un nipote del Satragno, d’anni 8, o poco meno, dichiarò a più persone che lo zio, nella notte in cui fu trovato morto il Cabitto, era giunto a casa assai tardi, ch’era tutto lordo di fango, specialmente nelle mani, e nelle braccia, che tremava, che interrogato da lui che cosa gli fosse accaduto, rispose che era cascato e gli ordinò assoluto silenzio su queste circostanze.

Fu accertato che pochi giorni prima del 16 gennaio, il Satragno aveva mostrato mal’animo contro del padrone, lamentandosi di lui perché volesse tutto per sé, perché lo avesse fatto condannare, perché lo avesse licenziato dalla Colonia.

 Fu accertato che alcuni giorni pria del fatto, il Satragno aveva manifestato il progetto di recarsi in America, qualora gli fosse riuscito un affare, che infine discorrendo con alcuno, gli erano sfuggite le parole, che il suo padrone un giorno, o l’altro, sarebbe stato trovato in un qualche fosso.

Il sacerdote Giovanni Pollio depose, che nel mattino del 17 gennaio, fra le 7, e le 7 e mezza, intanto che si recava a dire la messa, fu raggiunto dal Satragno, che era infangato, che dimandandogli di dove venisse, rispose che veniva dai boschi, e ciò contro verità, mentre scorgevasi invece ch’egli proveniva da parte affatto opposta, che era turbato, che tentava sottrarsi ai di lui sguardi.

Un Giorgio Rodino depose, che la suocera del Satragno gli aveva raccontato tutte le circostanze già narrate ad altri dalla moglie, che di più avevagli aggiunto, che il Satragno in quella notte s’era recato sul solaio della casa, che la moglie, dietro consiglio della madre, s’era recata su quel solaio per vedere se ivi fosse qualche cosa relativa al reato, che ivi aveva trovato un fazzoletto di proprietà del Cabitto, che aveva abbrucciato quel fazzoletto.

Tutti i testimoni concordarono nel mostrare il Cabitto uomo d’indole mitissima, quasi estremo di forze fisiche e tale che un ragazzo qualunque lo avrebbe potuto cacciar per terra e battere. Mostrarono per contro il Satragno siccome uomo d’indole cupa, dedito a furti di campagna; siccome uomo che aveva poco rispettato il padre, il quale al dire del parroco Basteris gli aveva predetto ch’ei sarebbe morto su d’una galera.

Bruno Chiarlone


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