Processo Senese: il peggior male chiude le porte e non va in onda.

Creato il 07 ottobre 2011 da Yourpluscommunication

Ci sono processi che sono fini a se stessi o al massimo alla curiosità di qualche milione di italiani. L’esempio calzante è il plurinominato processo di Perugia, di Cogne o quello che sarà di Avetrana.

Processi, dove tutti i media hanno un grand’angolo su ogni minimo movimento che compie l’imputato o gli inquirenti. Processi che difficilmente toccano il quotidiano di ognuno di noi, ma che spinti dalla forza della comunicazione diventano quasi ossessione, diventano alcune volte l’appuntamento imperdibile.

Ci sono altri processi, che non vengono messi sotto la lente d’ingrandimento. Processi che ci riguardano da vicino. Crimini che vengono perpetrati ogni giorno, che potrebbero essere causa di dolori indicibili per i nostri figli, per i nostri parenti, per i nostri amici più cari e non.

Strana l’Italia che parla della violenza a Roma e poi non scrive due righe su un procedimento che parte oggi e che può essere la chiave per capire molto di più di quello che succede nella capitale.

Si, perché oggi è iniziato il processo d’appello a Michele Senese e al suo clan.

Non si parla di reggiseni o di maglioni ritrovati, non si parla di escort o bunga bunga.

Si parla di una delle più grosse organizzazioni criminali che hanno invaso Roma fino al 2009 (nella foto Michele Senese attorniato dai suoi sodali).
Si parla di una struttura che inondava Roma di stupefacenti, che strozzava commercianti e non con l’usura. Si parla di omicidi per il controllo del territorio. Si parla di un clan che aveva rapporti con mafia, n’drangheta ed ex componenti della Banda della Magliana. Si parla di locali storici o meno acquistati e usati per riciclare i soldi sporchi, di squadre di calcio quasi acquisite.

E’ un processo che in un momento come questo può aiutare a capire, può aiutare a spiegare chi e come sta cercando di occupare quello spazio criminale lasciato libero dopo gli arresti del 2009.

Può far capire chi sta dietro alle gambizzazioni, agli omicidi, chi comanda o vorrebbe comandare la piazza romana.

Ma nessuno ne parla, nessuna telecamera in quel di Piazzale Clodio, nessun articolo che mettesse in evidenza quello che sembra sia, per i media, qualcosa di normale. Qualcosa di lontano per il grande pubblico, eppure, mai così vicina.

Noi c’eravamo. Abbiamo salito i gradini che portano a quella sala udienza che siamo solo riusciti a sbirciare, visto che, probabilmente qualcuno degli imputati ha richiesto che il processo fosse fatto a porte chiuse.

All’interno c’erano i parenti degli imputati, fuori gli amici. Se li osservi, capisci molto più di qualsiasi ordinanza, di qualsiasi rapporto di polizia. Facce, atteggiamenti di un mondo diverso. Di un mondo che è anche il nostro mondo.

Ci hanno propinato di tutto su Amanda Knox, così lontana ormai, tra uno show e un college americano. Così lontano era anche qualcosa che si era consumato in modo orribile e tragico.

Il silenzio di oggi è vicino, vicino come la gente che dietro la sbarra, con gli schiavettoni ai polsi ha governato una grossa fetta di Roma. Ha governato i quartieri e la vita “stupefacente” di migliaia di persone, di migliaia di giovani.

Magari anche vicino a voi che leggete.

Eppure il silenzio di oggi sarà la nostra colpa di domani.

Se nessuno creerà mai una coscienza di quello che succede a venti metri da casa nostra, se nessuno informerà puntualmente di ciò che realmente ci tocca, allora avremo perso e perderemo sempre.

Non sono solo Sicilia, Campania o Puglia ad essere sotto scacco della criminalità. Siamo anche tutti noi che ci siamo lasciati assuefare da quel male che subiamo con distacco, quasi fosse una conseguenza logica dei nostri tempi.

Oggi si parla di bavaglio all’informazione, si urla, ci si straccia le vesti.

Tutto plausibile, tutto giusto da qualsiasi parte si voglia vedere.

Ma se l’informazione oggi fosse stata coerente con il proprio mandato etico e didattico, avrebbe invaso piazzale Clodio.

Avrebbe messo all’angolo i criminali sguinzagliando i loro migliori segugi. Per lanciare un messaggio, per creare una coscienza che manca.

Una coscienza che forse stride con i numeri commerciali ma che renderebbe il nostro Paese più attento e immune al male.

Noi ci saremo.


Alessandro Ambrosini

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