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Produttività e crisi in USA e nell’UE

Creato il 19 settembre 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Jean-Paul Fitoussi e altri

Beyond the Short Term, Luiss University Press, 2013

Beyond the Short Term, Luiss University Press, 2013

Il Gruppo internazionale sulla Politica Economica della Luiss, che comprende affermati economisti (tra cui un premio Nobel) guidati da Jean-Paul Fitoussi, ha pubblicato da poco una ricerca sulle tendenze della produttività e sulle sue prospettive (Beyond the Short Term, Luiss University Press, 2013).

Nella prima parte dell’Introduzione gli autori scrivono che la produttività e il progresso tecnico sono fra le principale cause di differenza fra Unione Europea e Stati Uniti; e si chiedono che cosa determini la produttività, e perché i paesi sviluppati hanno così forti differenze di produttività. Nei paesi emergenti la produttività cresce come processo di aggancio (catching up) attraverso l’importazione di capitale e di tecnologie dai paesi sviluppati. Ma è più difficile spiegare la minore produttività dell’Europa occidentale rispetto agli USA.

Per alcuni paesi europei ciò è dovuto a una accumulazione più bassa di capitale umano, e ad altri fattori come la rigidità del mercato del lavoro e del mercato dei beni, la cultura, le regolamentazioni sbagliate, ecc. Il divario con gli USA si sta approfondendo, tuttavia – affermano gli autori – questa tendenza non è ineluttabile.

Fino al 1995 la produttività europea è cresciuta più velocemente che negli USA. Il capovolgimento di metà anni Novanta secondo alcuni è dovuto alla rivoluzione informatica, guidata dagli USA. Ma ancora più importante è stato il legame tra i computer e internet con i processi di produzione, soprattutto nella distribuzione – al dettaglio e all’ingrosso – e in altri sevizi per il mercato.

Il libro arriva a due conclusioni, abbastanza diverse dalla letteratura corrente. Innanzitutto la capacità USA di conservare un livello di alta produttività deriva da un complesso di fattori che interagiscono fra loro, e che vanno molto oltre la semplice deregulation del mercato. In particolare il ruolo della politica è stato dominante. Paradossalmente, per un paese sempre sospettoso dell’intromissione del governo nell’economia, negli USA c’è stato il legame più stretto tra politiche pubbliche e iniziative tecnologiche.

Gli esempi risalgono al sec. XIX., quando si garantì la terra alle compagnie ferroviarie. Più tardi il National Institute of Health e la National Science Foundation (pubblici) hanno guidato la ricerca farmaceutica e biomedica, oltre a quella scientifica di base. La ricerca finanziata dalla Difesa e dal governo ha permesso il primato americano nei semiconduttori, nei computer, nel software, nella biotecnologia e in Internet.  La politica antitrust ha fatto crescere un’industria del software largamente indipendente dalla produzione privata di hardware. Infine le politiche dell’istruzione sono state importanti nel creare il vantaggio USA, soprattutto il sistema misto di ricerca universitaria finanziata sia dal governo che dai privati; il finanziamento delle agenzie governative fatto col criterio della peer-review (valutazione degli altri esperti di pari grado); e la posizione dominante delle scuole di economia (business schools) degli USA, delle sue banche d’investimento, delle sue imprese di gestione e management.

I modelli finanziari insegnati in quelle scuole hanno delle responsabilità nella crisi finanziaria ma è difficile credere che il sistema bancario ombra abbia avuto tanto successo. La produttività del sistema finanziario americano probabilmente è stata molto sopravvalutata.

Un altro fattore del divario di produttività è lo strano assetto politico europeo, che impedisce l’uso di strumenti come la politica industriale o quella sui cambi e limita l’uso dei tradizionali strumenti di politica macroeconomica. Ciò è apparso evidente nella crisi dei debiti sovrani. Ad esempio gli effetti del fiscal compact (restrizioni alla spesa pubblica) sulla produttività non possono che essere negative. Esso aumenta la recessione del settore privato e riduce la capacità d’investimento del settore pubblico. Tuttavia le politiche appropriate variano a seconda del settore, del paese e del momento. Perciò lo sviluppo ha bisogno di capacità istituzionale e politica.

La seconda conclusione di questo libro è che bisogna evitare unilateralmente critiche all’Europa ed elogi agli USA. C’è molto che non sappiamo sulle cause dell’aumento di produttività, e quello che crediamo di sapere dipende da misure poco sperimentate. La valutazione della produttività multifattoriale prova piuttosto la nostra ignoranza. Essa dipende da così tante variabili che è difficile identificarle.

Per di più diversi fattori tendono a rallentare l’aumento di produttività in entrambe le aree; tra questi l’invecchiamento della popolazione, la distruzione di lavori molto remunerativi a causa della globalizzazione, e i debiti che la crisi finanziaria del 2007 ha scaricato su consumatori, banche e governi.

Un altro fattore comune alle due aree viene dalla natura stessa dell’innovazione, che non fa prevedere nuove grandi invenzioni. In sostanza non sappiamo dove e quando emergerà la terza rivoluzione industriale.

D’altra parte alcuni fattori vanno a svantaggio degli USA, come la disuguaglianza crescente. Il tasso medio di aumento del reddito americano è notevolmente superiore a quello del 99%  della popolazione. C’è quindi un divario crescente tra aumento del reddito pro-capite e qualsiasi misura di benessere. Ciò mostra che il modello di crescita americano non è sostenibile.

Un altro fattore di svantaggio degli USA è il sistema mediocre delle scuola secondarie e i costi crescenti della scuola superiore. C’è un declino americano nello standard internazionale dei college. Infine le politiche americane contro il riscaldamento globale e per l’ambiente sono arretrate rispetto all’Europa.

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