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professione assassino

Creato il 03 settembre 2011 da Albertogallo

THE MECHANIC (Usa 2011)

locandina professione assassino

Jason Statham è serio all’ennesima potenza. E con “serio” non intendo dire, alla maniera dei tamarri, che è un grande o un duro; e non intendo dire nemmeno che è profondo o drammatico: la sua serietà sta tutta nell’assoluta incapacità di mettere nella sua recitazione, in qualsiasi film, compreso questo, la minima traccia di ironia. Statham prende tutto maledettamente sul personale, come se i nemici che i suoi personaggi devono affrontare fossero suoi nemici personali, come se tutto stesse accadendo proprio a lui, nella sua vita privata, e quelle telecamere, quelle luci di scena e quel tizio che urla “ciak, si gira!” fossero soltanto dei fastidi in più. Ed è per questo che, nonostante la somiglianza fisico-tricotica, Statham non è il grande erede di Bruce Willis, ma piuttosto di altri interpreti serissimi e un po’ scarsi come, ad esempio, il caro (estinto) vecchio Charles Bronson.

E non per niente questo Professione assassino (traduzione del titolo che va di diritto nel novero delle peggiori degli ultimi tempi, cfr. anche il post precedente) è proprio il remake dell’omonimo (sia in italiano che nell’originale) film del 1972 con il bel tenebroso Bronson. La trama è presto detta: Arthur Bishop è uno scafato serial killer cui affidano il compito di uccidere un vecchio amico (interpretato da Mr. Cameo Donald Sutherland, ri-cfr. post precedente). Lui ubbidisce, ma in preda forse al senso di colpa decide di prendere come “allievo” il figlio pazzerello del defunto amico. Il quale, scoperta la verità sulla morte del padre, escogita una vendetta.

Non è poi così male questo action un po’ zarro (ma le musiche, bellissime, sono tutt’altro che zarre!) diretto da colui che, più di dieci anni or sono, fu autore di uno dei miei film Bay-style preferiti, il mitico Con Air – prodotto, va da sè, da Jerry Bruckheimer. Non siamo a quei livelli, ovviamente, nemmeno un po’, ma tutto sommato Simon West le scene di botte le sa girare, e tutta la pellicola è pervasa da un senso di malinconia low profile tutt’altro che scontato. Bella, tanto per dirne una, l’idea di un prologo di qualche minuto, prima dei titoli di testa, in cui non viene pronunciata nemmeno una parola.
Un film inutile e dimenticabile, in definitiva, ma a suo modo duro e puro e non peggiore di molti altri ben più strombazzati.

Alberto Gallo



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