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Profilo di Nietzsche (di Giuliano Campioni)

Creato il 02 dicembre 2011 da Maritzio
  1. Cenni biografici
  2. Formazione giovanile
  3. La filologia e la filosofia
  4. Nietzsche e Wagner
  5. Dalla critica della cultura alla critica di Wagner
  6. La filosofia dello spirito libero
  7. Zarathustra maestro dell'eterno ritorno
  8. Nietzsche: la volontà di potenza e il ritorno di Dioniso
  9. Nota bibliografica

Si ringrazia il Prof. Giuliano Campioni per la disponibilità a pubblicare questo scritto.

Le sue condizioni di salute si mostrarono ben presto preoccupanti. Nausea e forti emicranie, una quasi cecità, gli impedivano spesso di leggere e lavorare, tanto che, nel 1876, fu costretto a chiedere un anno di congedo dall'Università e dalla sua concomitante attività di professore al Pädagogium per un primo soggiorno in Italia. Le dimissioni diverranno definitive nella primavera del 1879: da allora, vivendo con una modesta pensione, Nietzsche inizia la sua vita di " fugitivus errans ", soggiornando tra Svizzera, Italia, e Francia (Nizza), all'inutile ricerca di luoghi che più si conciliassero con le sue precarie condizioni fisiologiche e con la sua fragilità psicologica.

Nei primi giorni del 1889, a Torino, Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano sprofondando nella follia. Dopo un ricovero di diversi mesi nella clinica per malattie mentali di Jena, Nietzsche, nel maggio 1890, fu ricondotto a Naumburg e affidato alle cure della madre. Alla morte di questa, nel 1897, la sorella Elisabeth lo volle -- ridotto ormai a un corpo inerte e inconsapevole - a Weimar, nella villa "am Silberblick", nella quale aveva trasferito l'archivio da lei fondato con il proposito di gestire il lascito letterario del fratello, ma anche di alimentarne il culto e la fama che nel frattempo si era impetuosamente diffusa in tutta Europa. A Weimar Nietzsche morì il 25 agosto del 1900, al primo piano di quel Nietzsche-Archiv che contribuirà, in modo determinante, alla creazione della sua fosca leggenda.

Di Nietzsche è conosciuto, in grande misura, il materiale postumo relativo agli anni dell'infanzia e della fanciullezza: disegni, abbozzi di drammi, poesie, poemi, composizioni musicali, riflessioni autobiografiche e critiche sui più vari argomenti etc. C'è nel giovane la precoce volontà di non subire le forti passioni del suo temperamento: la necessità di trasformarle, dominarle in consapevolezza critica, volontà di sapere, scrittura. Di qui la continua assimilazione, quasi incorporazione, di letture in una mobile riflessione intellettuale, in una continua sperimentazione di scrittura e di stili che appartengono interamente alla volontaria costruzione di sé.

Il suo interesse giovanile incontra gli eroi della tradizione classica e delle saghe della mitologia nordica e germanica con il forte fascino per le figure di eroi di primitiva e selvaggia grandezza, caratterizzati da metafore che esprimono il loro vigore animale e, già, dal termine 'sovrumano' (un esercizio poetico è dedicato alla morte di Sigfrido, un componimento scolastico alla caratterizzazione della figura di Chrimhilde, numerosi gli abbozzi e gli appunti per un commento critico del Nibelungenlied volto a individuarne gli aspetti genetici). Alla prima figura della storia germanica, il re degli Ostrogoti Ermanarico, Nietzsche dedica un poema sinfonico, abbozzi di tragedie, versi cupi e romantici: la sua passione si decanta infine in uno studio storico e nel primo lavoro di carattere filologico (ottobre 1863).

Il tema dell'eroismo si connette, fin dall'inizio, con quello della morte di Dio: nella mitologia greca la fine di Zeus conosciuta in precedenza da Prometeo, nelle saghe nordiche "il rogo del mondo, il soffocante splendore del crepuscolo degli dèi" (BAW, II, 32), "la più grandiosa invenzione che abbia mai escogitata il genio di un uomo, insuperata nella letteratura di tutti i tempi, infinitamente ardita e terribile" (BAW, I: Ermanarich, Ostgothenkönig. Eine historische Skizze, 297).

La crisi profonda della fede e la sfida nei confronti della tradizione, trovano altri strumenti di conferma: dalla critica filologica ai Vangeli della scuola liberale (in particolare David Strauß), alla filosofia di Feuerbach e, soprattutto, di Emerson. Infatti, con gli appunti e i saggi della primavera del 1862, dedicati alla libertà e al fato, in cui forte è la risonanza di temi emersoniani, il filosofo approda all'affermazione di una piena immanenza. Nella fede cristiana, contro la forza degli antichi che credevano nel fato, vede una scelta di debolezza, "una incapacità a plasmare da sé, con decisione, il proprio destino". Citando da L'essenza del cristianesimo di Feuerbach, Nietzsche pone il cammino del recupero dall'alienazione ("Dio è diventato uomo"), come espressione di un nuovo eroismo: "L'umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perplessità e ardue battaglie; essa riconosce in sé "l'inizio, il centro e la fine della religione"".

3. LA FILOLOGIA E LA FILOSOFIA

Il materiale autobiografico e le lettere che riguardano il periodo universitario di Bonn che va fino all'agosto del 1865, mostrano un Nietzsche inquieto e insoddisfatto: il giovane uscito dalla "severa ma giovevole" scuola di Pforta, cerca una sua via, rischiando, per la pluralità ed eterogeneità di interessi e passioni (tra cui, centrale la musica), quella dispersione che avrebbe potuto diventare disgregazione e impotenza. A questi pericoli un Nietzsche "passionalmente severo" contrappone la volontà connaturata di "risalire fino alle radici più remote e profonde dei singoli argomenti": la probità dello specialismo, il metodo storico critico e le armi della filologia - a cui la scuola di Pforta preparava con i suoi "eccellenti maestri" e le sue alte tradizioni.

La scelta per la filologia non è, nella coscienza del filosofo, espressione immediata di un 'istinto' o vocazione: nasce invece dalla "educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione"; "Quando mi volgo a considerare come sono passato dall'arte alla filosofia, dalla filosofia alla scienza, e in quest'ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l'aria di una consapevole rinuncia". Sono annotazioni dell'inizio del 1869.

La pubblicazione nell'edizione critica Colli-Montinari degli scritti giovanili e delle lezioni di Basilea, facilita una più accorta e autonoma valutazione del lavoro filologico di Nietzsche all'interno della storia degli studi classici e permette di conoscere il complesso rapporto di interazione e conflittualità tra un mestiere, praticato con crescente sicurezza, e il sorgere della sua identità filosofica. Nietzsche, al di là di storiche pregiudiziali negative dovute per lo più all'allontanamento del filosofo dalla corporazione dei filologi, rimane nella storia degli studi classici con validi risultati su singoli argomenti (Teognide, Diogene Laerzio, La Danae di Simonide etc.). Testi di rilievo sono i saggi, le recensioni, le conferenze che consentono a Nietzsche di diventare professore a Basilea oltre che il materiale preparatorio per la sua prolusione inaugurale Omero e la filologia classica e per altri lavori progettati, ma non portati a termine (estese e significative le note sulla storia degli studi letterari e su Democrito).

La pratica filologica si accompagna alla parallela, profonda esperienza della filosofia di uno Schopenhauer (la cui prima lettura risale all'autunno 1865) divenuto maestro di saggezza e di vita mentre Nietzsche ne critica ben presto i fondamenti metafisici nella direzione di un radicale fenomenismo neokantiano (decisiva l'influenza della lettura della Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange). La presenza di Schopenhauer nella riflessione nietzscheana di questo periodo è diffusa e avvertibile: è evocato come il "filosofo più vero", capace di "uno stile" espressione "di una Germania rigenerata", nemico della filosofia universitaria. Elementi schopenhaueriani si avvertono sia nella polemica contrapposizione tra una considerazione estetica dell'antichità, patrimonio di pochi, ed un approccio meramente storico, sia nella visione della storia come dominata dalla stupidità e dall'inerzia delle masse mentre solo il singolo è capace di creatività.

Con La nascita della tragedia (1872) Nietzsche mette in pratica un diverso approccio alla grecità, rinnovando la pratica filologica, e nello stesso tempo si schiera in un fronte comune con Richard Wagner, per la rinascita della cultura tedesca. Questo scritto, attaccato violentemente dal giovane filologo Ulrich von Wilamowitz, segna il distacco dal mondo ufficiale della filologia. La comprensione del dramma greco, influenzata in modo determinante dalla filosofia di Schopenhauer, era per Nietzsche anche l'esito originale di una salda tradizione filologica e storica che, a partire dagli Schlegel, in parte dallo stesso Ritschl, comprendeva i colleghi di Basilea Jacob Burckhardt e Johann Jacob Bachofen.

Lo schema seguito da Nietzsche nell'esporre i principi di "apollineo" e "dionisiaco" è solo a prima vista lineare (i termini che li definiscono sono antitetici e danno vita alle opposizioni in cui si articolano i fenomeni estetici: scultura e musica, lirica ed epica). In realtà Dioniso e Apollo non sono gli estremi di una contraddizione: tutta la cultura apollinea si presenta come una maschera per sopportare la tragicità dell'esistenza, come un grande tentativo di velare, attraverso la costruzione di forme stabili e rassicuranti, il fondo dionisiaco. Le due dimensioni si richiamano l'una all'altra, perché proprio la paura degli aspetti più orribili dell'esistenza è la fonte dell'illusione apollinea. Il puro "dionisiaco" è barbarie distruttiva o pura letargia.

La prospettiva culturale, vissuta dalla società greca in maniera istintiva, consiste nel lavoro per la produzione del genio. Egli emerge dalla collettività, ne è il rappresentante più alto, capace di dare un significato superiore al flusso storico, di per sé privo di senso. Nell'epoca attuale dominata dall'astrazione, il genio si separa dalla collettività divenuta massa ed è costretto a una solitaria produzione (e fruizione) del valore. La massa impedisce lo sviluppo delle forze culturali distorcendo per fini egoistici e materiali ogni tentativo superiore. Nel genio si realizza con pienezza l'essenza "generica" dell'uomo: egli diventa, con la sua umanità vera e più alta, il rappresentante delegato della specie.

Nella prefazione all'edizione del 1886 de La nascita della tragedia, Nietzsche indicherà nella compromissione con le categorie estetiche wagneriane e schopenhaueriane un motivo di offuscamento della scoperta dell'elemento dionisiaco nel mondo greco.

Ma, pur nella durezza autocritica verso un libro da lui definito 'arrogante' e 'impossibile', incapace di esprimere appieno la realtà del nuovo Dio Dioniso, il filosofo riconoscerà sempre ne La nascita della tragedia la massima concentrazione dei problemi (il rapporto arte-scienza, arte-vita, il pessimismo della forza e decadenza, il "problema greco" etc) che tratterà per tutta la vita negli stessi termini, anche se con risposte radicalmente diverse.

5. DALLA CRITICA DELLA CULTURA ALLA CRITICA DI WAGNER

Dopo l'esperienza traumatica della guerra e l'impressione destata dalla Comune di Parigi ("senso dell'autunno della civiltà"), Nietzsche si impegna in una critica del mondo moderno e della civilizzazione alla luce dei progetti culturali di Wagner, legati alla speranza di una "rinascita" dello spirito tragico in Germania. Nietzsche manifesta addirittura, in qualche momento, la volontà di abbandonare l'insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla causa wagneriana. Se, con la Nascita della tragedia, il filosofo ha proposto una "svolta dionisiaca" a Wagner, la via dell'affermazione tragica, la diffidenza nei confronti del cristianesimo (mito "sbiadito" e ostile all'arte) segna il contrasto sotterraneo quanto irriducibile con le posizioni del musicista. Per Wagner, infatti, la "rinascita" ha sempre più il punto di riferimento centrale nel mito di un cristianesimo purificato: l'opposizione al Rinascimento da parte di Wagner (all'inizio condivisa dal filosofo) è soprattutto opposizione al "paganesimo" di quella cultura, al suo immanentismo.

La valutazione delle conseguenze dell'antico " pathos della verità" e la polemica contro il moderno scientismo culminano nell'esortazione a "convincere il filosofo del carattere antropomorfico di ogni conoscenza". Nasce in questo periodo la pratica dello smascheramento che caratterizzerà d'ora in poi la sua filosofia: Nietzsche vuol portare alla luce i presupposti nascosti, pragmatici e morali, dell'impulso alla conoscenza e alla verità. Ma è anche sulla natura intrinseca del processo conoscitivo che Nietzsche cerca ora di venire in chiaro, in una ricerca che rivela un allargamento tematico dei suoi interessi e crea le condizioni per un rilevante mutamento teoretico. Prioritario è l'intento di render conto del carattere creativo, "artistico", della percezione e della conoscenza. La connessione di riflessione gnoseologica e teoria dell'espressione artistica tramite la nozione di "metafora" si trova al centro del breve scritto dell'estate 1873 Su verità e menzogna in senso extramorale, precaria, abbagliante sintesi di più temi: il carattere contingente dell'intelletto, la distinzione di una 'verità' socialmente valida di origine pragmatico-contrattuale da una verità di cui, si afferma l'inaccessibilità, la consapevolezza che il pensiero è sempre, come dice un frammento, "preso nelle reti del linguaggio", la contrapposizione delle codificazioni concettuali alla libertà dell'artista.

I frammenti mostrano bene gli obbiettivi polemici di questa inattuale quali ad esempio Eduard von Hartmann che esprime, nella sua forte teleologia storica (che comporta l'"abbandonarsi al processo del mondo"), un atteggiamento antitetico all'agonismo di Nietzsche.

Si avverte in questo periodo, determinante anche se raramente esplicitata, la presenza di Burckhardt, che agisce su Nietzsche come contrappeso critico all'ideologia germanica di Wagner: i due professori di Basilea hanno visto nella guerra franco-prussiana una lotta "zoologica" tra nazioni, un minaccioso pericolo per la cultura. "Il più delle volte, il vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...] È un letargo invernale della civiltà" - scrive Nietzsche. Attraverso lo storico di Basilea, Nietzsche delinea i tratti dell'individualità libera che si afferma soprattutto contro il peso del nazionalismo germanico, trionfante dopo la vittoria prussiana. Il modello, progressivamente, assume i caratteri dell'"uomo del Rinascimento", capace di incorporare e trasformare in nuova forma di vita il passato.

Nietzsche utilizza per Wagner la connotazione burckhardtiana di "cesarismo" legata alla forza di "semplificazione", alla falsa capacità ordinatrice del caos. Utilizzando le stesse parole di Burckhardt, Nietzsche non esita ad avvicinare il musicista, al "tiranno" descritto ne La civiltà del Rinascimento in Italia: "Il tiranno non permette che si affermino altre individualità, oltre alla propria e a quella dei suoi intimi". Ma la critica di Nietzsche va al cuore della teoria del dramma musicale ("Shakespeare e Beethoven, l'uno accanto all'altro - il pensiero più ardito e più folle") e investe le capacità artistiche di Wagner: "La musica non ha molto valore, la poesia neppure, e neanche il dramma, e l'arte teatrale si riduce spesso a retorica". La vocazione originaria di Wagner non è né quella di musicista né quella di poeta, bensì quella di attore, le sue opere, con la loro ricerca dell'effetto e la predilezione per "lo sfarzoso, l'inebriante, lo sconvolgente", vanno intese come le creazioni di un "attore mancato".

Nonostante Nietzsche presenti le sue critiche spesso impietose come indicazioni dei "pericoli" che minacciano la grandezza di Wagner, non meraviglia che egli decida di rinunciare per il momento all'opera progettata. Sorte non migliore avrà il tentativo di stesura dell'estate del 1875: solo il confronto di questo materiale postumo permette un'analisi fondata del trapasso, ancora oggi spesso frainteso, di Nietzsche dal "wagnerismo" all'"antiwagnerismo". Il distacco da Wagner non mette fine solo a un equivoco connubio che rischiava di paralizzare l'ulteriore sviluppo intellettuale di Nietzsche; criticando una figura a cui si era sentito così vicino, egli è evidentemente alle prese anche con se stesso. L' inattuale su Wagner, più che un' apologia per il musicista vittorioso, mettendo radicalmente in crisi la metafisica dell'arte - l'arte costituisce solo una consolazione momentanea: "Perché l'arco non si spezzi perciò esiste l'arte" (FP, IV, 1, p. 242 sgg.) - rappresenta un definitivo congedo dalle illusioni metafisiche giovanili.

6. LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO LIBERO

In questi anni Nietzsche è vicino a Paul Rée la cui filosofia appare una summa di temi diffusi nella cultura positivistica congiunti ad altri di derivazione schopenhueriana. La posizione pessimistica di Rée si richiama al realismo sulla natura umana dei moralisti francesi (in particolare La Rochefoucauld) e si esprime nella volontà di riportare a bassi moventi ciò che finora era stato considerato nobile e alto. Nietzsche condivide in parte questo atteggiamento demitizzante, ma lo piega a un progetto culturale più vasto. Egli propone un progresso realistico: la luce deve tener conto dell'ombra "che tutte le cose mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse" (F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, in KGW, IV, III, pp. 176; Opere, p. 134).

Attraverso il "rischiaramento" delle limitate forze positive con cui l'uomo può costruire, si perde il fascino estetico dell'onnipotenza del fondo vitale. Nietzsche afferma pacatamente e anche, in certi momenti, con grigiore disincantato il valore della conoscenza scientifica. La disumanizzazione della natura sembra comportare all'inizio una povertà desolata. La scienza ha come disseccato le cose privandole della linfa magica che l'uomo vi aveva immesso. In tal modo ha dato però un potere effettivo: l'uomo è diventato il "dio delle macchine", ha reso praticabile la natura accontentandosi degli schemi e delle astrazioni del meccanicismo. La scienza deve avvicinarci alle cose prossime, la saggezza antica, invece, volava verso gli dèi impoverendo gli uomini. Dopo l'ubriacatura degli ideali romantici, Nietzsche constata la perdita della "gioia festiva" propria dell'antichità: la sua spiegazione del fenomeno va a favore dei tempi moderni che cercano non un palliativo al dolore (la "festa") ma la modificazione delle cause della sofferenza attraverso l'invenzione di macchine e la soluzione di problemi scientifici.

In Umano, troppo umano si apre una dialettica tra lo "spirito libero" e il progresso della totalità. Il "progredire intellettuale" di una comunità è legato non alla forza e all'energia di un "eroe" che ne confermi o potenzi i valori, ma agli "individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli", i malati, le "nature degeneranti" che "ammolliscono l'elemento stabile di una comunità" e attraverso le ferite inoculano qualcosa di nuovo (Ivi, §224, in KGW, IV, II, pp. 191-93; Opere, pp. 161-62). Il malato, rispetto a una società "sana" - cioè certa di se stessa e dei suoi valori - rappresenta la possibilità del movimento. La comunità forte è quella tollerante, che non esclude e che riesce a sopportare questa inoculazione senza dissolversi. Lo Stato tende alla durata: il rafforzamento del costume, la stabilità, che ignora il nuovo, si accompagna progressivamente alla stupidità. Il mito assicurava la saldezza della tradizione e del costume, ma era ostile a ogni progresso.

Per Nietzsche il carattere demistificante della scienza e della storia, è, in questo periodo, in primo piano: si tratta di riportare in basso ciò che era stato indebitamente posto in alto. La via della negazione e della critica non viene però intrapresa fino in fondo: l'orizzonte dell'umanità e dei suoi vantaggi costituisce il limite entro cui deve svolgersi il processo scientifico, legato al sorgere di nuove aurore (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1876-1878), in KGW, IV, II, pp. 528-29; Opere, p. 447). Non c'è alcuna armonia prestabilita tra il progresso della verità e il bene dell'uomo.

Si tratta di essere "buoni vicini delle cose prossime", fare a meno dei dogmi ideali, delle religioni che hanno bloccato e impedito, sulla base di menzogne antivitali, lo sviluppo sociale e umano. Alla lunga il rovesciamento del mondo, il privilegiamento dell'aldilà comporta una completa e radicale svalutazione dell'unico mondo reale: del flusso di forze in divenire da seguire nei suoi sviluppi "storici". La ragione e la scienza sono, in questa prospettiva, le forze umane "più alte di tutte" (Ivi, KGW, IV, II, p. 530; Opere, p. 448.), che non conoscono compromessi col mito religioso, "vivono su pianeti diversi". Questa posizione intellettualistica si riflette anche su altre concezioni: la scelta per la scienza appare una scelta per la comunicazione e quindi, in senso relativo, per una costruzione sociale "ragionevole". La prospettiva ecumenica (già avvertita come esigenza nelle figure dei presocratici in lotta contro il mito) appare efficace per la liberazione dell'individuo dalle ristrettezze della stirpe, della nazione, dello Stato. Nella loro forza gregaria questi organismi si fanno eredi degli elementi di costrizione della comunità primitiva. La tradizione diventa incorporazione di costumi etici che spingono il singolo nella direzione del gregge.

In Aurora, come nella Genealogia della morale, e in altri scritti della maturità, Nietzsche critica la morale eroica, anch'essa espressione dell'ideale ascetico in cui l'entusiasmo della vittima nasce dal sentirsi una sola cosa con "il potente essere, sia esso un Dio o un uomo" a cui è consacrata (F. Nietzsche, Morgenröthe, §215, in KGW, V, I, p. 193; Opere, p. 160). Non a caso la prefazione del 1886 ad Aurora termina con l'elogio della filologia: lo spirito diventato libero scioglie definitivamente il rapporto di subordinazione del filologo-educatore nei confronti del "genio" per meglio valorizzare "l'arte di leggere bene" propria della filologia. Gli ultimi studi intrapresi da Nietzsche prima di abbandonare definitivamente la cattedra (1879) per diventare filosofo e fugitivus errans, tendono a rinnovare la pratica della filologia attraverso l'uso dell'etnologia e della sociologia dell'epoca (su questi studi di Nietzsche, sulla loro importanza e vastità si veda il volume di A. Orsucci, Orient - Okzident. Nietzsches Versuch einer Loslösung vom europäischen Weltbild, de Gruyter, Berlin 1996). Nietzsche abbandona anche il falso rapporto "idealistico" e romantico tra la Grecità e il germanesimo: piuttosto "la natura del francese è molto più affine a quella greca che non la natura del tedesco" (F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, §221, in KGW, IV,II, p. 184; Opere, p. 154). Del resto a Voltaire Nietzsche deve la metafora del "danzare in catene" (F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, §140, in KGW, IV,III, p. 140; Opere, p. 194. Scrive Voltaire in una lettera del 24/1/1761: "Voi danzate in libertà; noi danziamo con le nostre catene"): la leggerezza degli artisti greci che nasce dal lungo esercizio di vincoli posti a frenare la libertà immediata degli impulsi.

Nell'ultimo periodo Nietzsche propone la solidarietà di intenti critici tra filologia, fisiologia, genealogia, contro le interpretazioni predeterminate che rifiutano il lavoro paziente. Si tratta di leggere le intenzioni e le forze che attraversano il testo, che lo costituiscono. Una "volontà di sapere", di leggere i segni e sciogliere i geroglifici del reale senza prevaricarne il senso con distorsioni pregiudiziali.

7. ZARATHUSTRA MAESTRO DELL'ETERNO RITORNO

Nell'estate del 1881 Nietzsche soggiorna per la prima volta a Sils-Maria, in alta Engadina. Tra le sue letture legate alle ricerche sulla morale, egli si imbatte nel volume La connessione di tutte le cose di Otto Caspari. In particolare lo colpisce un brano in cui Caspari si oppone all'idea, all'epoca assai diffusa, di una definitiva cessazione del movimento dell'universo, sia nella forma fisica della morte termica, sia in quella metafisica di uno stato finale del processo del mondo. Si tratta del dibattito sulla morte termica dell'universo e sulla dissipazione dell'energia collegato alla scoperta dei due principi della termodinamica. Nelle pagine di Caspari Nietzsche trovava anche una critica del processo cosmico tracciato da Eduard von Hartmann nella sua Filosofia dell'inconscio.

L'arte non è più un residuo del passato, una sopravvivenza di stati d'animo primitivi, ma si lega piuttosto alla scienza precorrendone o sviluppandone i risultati. Dopo aver pensato l'eterno ritorno, Nietzsche ritiene di dover ricorrere a una diversa arte della comunicazione che dia espressione e forza di persuasione a un'ipotesi scientifica. L'eterno ritorno, secondo Nietzsche, è la più scientifica delle ipotesi della fisica. Ma finché resta una mera ipotesi della scienza, l'eterno ritorno non interviene modificando la vita degli uomini, non permette di cambiare il senso comune avendo meno forza dei dogmi cristiani, che, seppur fondati su una serie di errori grossolani e falsificazioni morali, sono ormai stati assimilati e costituiscono l'orizzonte all'interno del quale l'umanità dà senso alla sua storia. E' necessario che la teoria sia "incorporata": "intere generazioni debbono lavorare a essa e divenire fertili per essa - affinché diventi un grande albero che proietti la sua ombra su tutta l'umanità avvenire" (Ivi, KGW, V, II, p.401; Opere, p. 389).

Zarathustra inizialmente predica alla folla sul mercato. Si accorge che non sono queste le orecchie sensibili all'eterno ritorno. La folla del mercato vuole l'"ultimo uomo", l'uomo della massa, schiavo del benessere, delle piccole virtù e della grande mediocrità che danno una buona coscienza e un buon sonno. Ma chi è l'ultimo uomo? Nel tratteggiare questa figura Nietzsche si riferisce a una corrente della riflessione morale del positivismo che aveva fondato l'etica sugli affetti simpatetici, sulla compassione e sull'amore del prossimo (John Stuart Mill, Auguste Comte, Alfred Fouillée, Jean-Marie Guyau) e che si congiungeva alle ricerche di etnologi e sociologi come Herbert Spencer e Alfred Espinas, secondo cui il singolo deve trovare la propria realizzazione "nel sentirsi un utile membro e strumento della totalità". Questa tendenza è tipica di una società mercantile, che per favorire lo sviluppo del commercio cerca di eliminare dalla vita ogni pericolosità. Il risultato non può essere che l'appiattimento generale, la formazione di un unico grande organismo omogeneo che raggiungerebbe quella fissità di istinti che caratterizza le maggior parte delle specie animali.

Nietzsche si pone in contrasto con le teorie morali a lui contemporanee elaborando un rapporto individuo-società che privilegia la formazione di individui autonomi attraverso la trasformazione e la dissoluzione di organismi comunitari. Si prospettano quindi due movimenti opposti: uno di progressiva mediocrizzazione verso l'ultimo uomo, l'altro di ascesa verso il superuomo. Le nature superiori devono distaccarsi progressivamente dai valori gregari iniziando il percorso ascetico di creazione di sé. Zarathustra cessa di insegnare alla folla, parla ai propri discepoli per spingerli decisamente sulla via dell'autonomia. Pur essendo "il maestro dell'eterno ritorno", Zarathustra deve predicare il superuomo, colui che è capace di "assimilare" l'eterno ritorno, la cui forza di affermazione tragica riesce a convivere con l'ipotesi più estrema del nichilismo e della mancanza di senso del mondo.

Neppure gli "uomini superiori", che provano disgusto nei confronti dei valori delle masse (e proprio questo sentimento li contraddistingue in quanto uomini superiori) riescono a fare a meno di un nuovo dio, cioè di un nuovo senso che sostituisca l'ideale cristiano. L'"ombra di Dio" permane anche dopo la sua morte e costituisce il pericolo più insidioso per l'uomo superiore: nuove religioni senza Dio sostituiscono le vecchie religioni dogmatiche mantenendo la centralità dei valori dati. La nuova innocenza deve vincere anche queste ombre.

La morte di Dio e l'uomo superiore sono tra loro strettamente legati, come del resto l'eterno ritorno e il superuomo: l'uomo superiore - la sua sofferenza, il suo infrangersi, il suo spezzarsi - è un aspetto della grande crisi. L'uomo superiore non è la risposta adeguata: solo la sua sofferenza significa una resistenza contro l'"ultimo uomo". Egli è condizionato fino in fondo dai vecchi valori (anche nell'estremo rifiuto o nel tentativo di capovolgimento) e soffre quindi per la loro crisi: in questo è un decadente.

Agli uomini superiori, a questi singoli sofferenti, Zarathustra deve rivolgere il suo messaggio. Per alcuni aspetti rappresentano frammenti verso una sintesi più completa, per altri aspetti sono stazioni precedenti dello stesso percorso di Nietzsche. Nietzsche ha dietro di sé e dentro di sé questo percorso fatto del superamento delle unilateralità. Il tenersi lontano dalla piazza del mercato, dall'istrionismo dei gesti, è comunque il presupposto comune: la sincerità verso se stessi e la propria sofferenza deve diventare sofferenza per l'uomo fino a desiderarne la fine. L'educazione degli uomini superiori culmina nel loro confronto con il "pensiero più grave", la dottrina dell'eterno ritorno che ha, per Nietzsche, una funzione selettiva opposta a quella del darwinismo, che vede la vittoria del mediocre come più adatto alla vita. La capacità di assimilare il pensiero dell'eterno ritorno senza andare in rovina comporta la profonda e radicale trasformazione dell'uomo "superiore" nella direzione del "superuomo".

8. NIETZSCHE: LA VOLONTÀ DI POTENZA E IL RITORNO DI DIONISO

Nietzsche approda negli anni Ottanta a una concezione energetistica attraverso un attento confronto con le contemporanee controversie sul materialismo e con le teorie critiche del meccanicismo. Autori come Mach confermarono Nietzsche nella direzione nettamente antimaterialistica ereditata da Schopenhauer e Lange. Importante in questa direzione era stata la lettura, già nel periodo di Basilea, della Philosophiae naturalis Theoria di Ruggero Giuseppe Boscovich (1759) la cui concezione dei punti-forza era stata recuperata tra gli altri da Augustin-Louis Cauchy e Michael Faraday. La considerazione dinamica del tutto vuole essere la base per una critica distruttiva di ogni residuo dogmatico-metafisico. I centri di forza in perpetuo movimento pongono in crisi anche ogni dualizzazione della realtà che portava a conseguenze antivitali di condanna del mondo dei sensi, dell'aldiqua. E poiché l'essenza di ogni forza sta nel suo manifestarsi, al di là della forza non esiste una sostanza sede di questa forza, avente la capacità di esprimerla come di non esprimerla: "tutto è forza".

A livello gnoseologico essa si presenta come imposizione di una prospettiva. "L'appropriazione e l'assimilazione è anzitutto un voler sopraffare, un formare, un modellare e rimodellare, finché il vinto sia passato interamente sotto il potere dell'aggressore accrescendolo" (F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1887-1888), in KGW, VIII, II, p.88; Opere, p. 77).

Superare la prospettiva ristretta dell' ego non significa acquistare una impossibile impersonalità, una fredda "oggettività": la conoscenza è comunque implicata nei processi vitali, è legata al gioco degli istinti. L'ampiezza della prospettiva, la capacità di vedere con più occhi, rimarrà una costante dei gradi più alti della volontà di potenza. L'immagine dei molti occhi tornerà più volte. Ancora nella Genealogia della morale l'uomo della conoscenza è colui che "sa utilizzare, per la conoscenza, la diversità delle prospettive e delle interpretazioni affettive" non un occhio puro, privo di forze interpretative ma una pluralità di occhi: " quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro "concetto" di essa, la nostra "obiettività"" (F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, (III, 12) in KGW, VI, II, p. 382-83; Opere, p.323).

Nei suoi gradi più alti, l'impulso alla potenza, significa un allontanamento dalla prospettiva ristretta e violenta, legata al singolo punto di forza. Di contro alle promesse di una forma superiore e diversa di uomo, Nietzsche vede qua e là, nella storia, la realizzazione casuale di individui capaci di arrivare alla "giustizia". Tra i modelli più vicini che Nietzsche propone, vi è quello della natura "dionisiaca" di Goethe: " l'uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico ", che rappresenta il ritorno a una specie d'uomo del Rinascimento. Il superuomo è colui che supera la parzialità di ogni prospettiva vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena, colui che ha la forza di assimilare se stesso a tutta la realtà, e tutta la realtà a se stesso, attraverso l'affermazione del ciclo eterno.

L' amor fati è l'espressione più alta e più ricca della volontà di potenza: l'identificazione attiva con la totalità nel suo divenire. All'eroismo della lotta e della fine, che ancora caratterizza l'"uomo superiore" nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova libertà: "un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto - egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l'ho battezzata col nome di Dioniso" (F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung in KGW, VI, III, p. 146; Opere, p.151).

Nei primi giorni del 1889 Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano sprofondando nella follia, in cui sopravviverà, sempre più corpo inerte e inconsapevole, fino all' estate del 1900. In Ecce homo, scritto negli ultimi mesi del 1888 e pubblicato con irreparabili censure solo nel 1908, il filosofo consegna alla posterità la propria vicenda - ai suoi occhi conclusa ("perfetta") - per "distruggere alla radice ogni mito" possibile sulla propria persona. Da una parte una esposizione di sé "antieroica": Heine e Offenbach più che Carlyle e Wagner, i riferimenti. Dall'altra, talvolta, l'uso di una oratoria adeguata all'altezza epocale della "trasvalutazione di tutti i valori".

Le sigle sono le stesse usate negli apparati dell'edizione critica. Segue il numero del volume (in cifre romane), del tomo (in cifre arabe), ed eventualmente l'indicazione della parte del tomo. Quando l'ho ritenuto opportuno, ho indicato il numero del frammento o dell'aforisma.

BA = Sull'avvenire delle nostre scuole

CV = Cinque prefazioni

DS = David Strauss, l'uomo di fede e lo scrittore

FW = La gaia scienza

GD = Il crepuscolo degli idoli

GM = Genealogia della morale

GT = La nascita della tragedia

HL = Sull'utilità e il danno della storia per la vita

JGB = Al di là del bene e del male

MA = Umano, troppo umano

NW = Nietzsche contra Wagner

PHG = La filosofia nell'epoca tragica dei Greci

SE = Schopenhauer come educatore

VM = Opinioni e sentenze diverse

WA = Il caso Wagner

WB = Richard Wagner a Bayreuth

WL = Verità e menzogna in senso extramorale

WS = Il viandante e la sua ombra

ZA = Così parlò Zarathustra

FP = Frammenti postumi

NF = Nachgelassene Fragmente

Per GA, si deve intendere la Grossoktav-Ausgabe (così chiamata dal formato "ottavo grande"), l'edizione canonica in 19 voll. delle Opere di Nietzsche promossa e guidata dalla sorella Elisabeth (Kröner, Leipzig 1895 sgg.), da cui direttamente dipendono tutte le altre edizioni precedenti quella Colli-Montinari. Sono state usate inoltre le seguenti sigle:

KSA = Sämtliche Werke, Kritische Studienausgabe in 15 Bänden, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Deutscher Traschenbuch Verlag, München, und de Gruyter, Berlin 1980, 19882.

BAW = Historisch-Kritische Gesamtausgabe, Werke, Beck, München 1933 sgg.

BAB = Historisch-Kritische Gesamtausgabe, Briefe, Beck, München 1938 sgg.

BN = Bücher aus Nietzsches Bibliothek.


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