Primo Levi nel 1919
di Giuseppe Leuzzi. Settant’anni fa erano ebrei: la prima emigrazione di massa nel Mediterraneo, di profughi, con mezzi di fortuna e centinaia di morti, fu quella degli ebrei europei verso la Palestina subito dopo la guerra. Erano un nucleo piccolo ma consistente di quei dieci milioni di displaced persons, come verranno chiamati dalla sociologia negli anni 1980, profughi in genere dall’Est, ma anche di sopravvissuti ai lager nazisti, che costituirono uno dei punti maggiori di crisi in Europa nel 1945-1946. Otto su dieci erano tedeschi , delle aree della Prussia, della Slesia e della Galizia occupate dai russi e dai polacchi, e furono in qualche modo sistemati in Germania. Dei erstanti due milioni (polacchi, baltici, rumeni etc, in fuga dal sovietismo o ex collaboratori della Germania occupante), 250 mila circa erano ebrei: 70 mila sopravvissuti ai lager, centomila ebrei polacchi che si erano salvati nella guerra in Unione Sovietica, e nel 1946 fuggirono dalla Polonia dopo alcuni sanguinosi pogrom, e 80 mila circa sopravvissuti in Germania e altri paesi occupati dal Hitler.
Il Salento divenne “la porta di Sion”, dove confluirono per l’imbarco verso la Palestina almeno trentamila e forse quarantamila (molti non avevano documenti) ebrei europei. Il governo italiano favoriva gli imbarchi, un po’ per ragioni umanitarie, un po’ per calcolo: “La scelta di assecondare una iniziativa carica di risvolti umanitari, che […] intralciava la strategia inglese nel Mediterraneo, diveniva col tempo uno strumento per riaffermare una parziale autonomia operativa dell’Italia”, ha scritto lo storico diplomatico Mario Toscano (“La porta di Sion: l’Italia e l’immigrazione clandestina ebraica in Palestina, 1945-1948”, 1990). I più passavano dal Brennero – “lo stretto canale di un vasto imbuto”, Primo Levi. Due-tremila al mese passavano il confine di notte, da campi a campi profughi di fortuna di là e di qua del confine, mediamente in gruppi di 500 a notte.
Dei 17 campi profughi (DP, displaced persons) organizzati in Italia dall’Unrra, un’agenzia Onu, la metà erano in Puglia, a Palese, Barletta,Trani, Bari, e quattro nel Salento: Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea e Tricase..Santa Cesàrea Terme nel Salento conserva ancora le iscrizioni in nero sulla calce bianca degli edifici dei punti di raccolta e di imbarco dei profughi ebrei di tutta Europa per il Levante.
La lunga didascalia di una foto americana di un giornale Usa che Brecht riutilizza nell’“Abicì della guerra”, mostra una madre col bambino ripscati in mare insieme con altre 180 persone, mentre 200 erano morte annegate, nel naufragio di una carretta del mare, il “Salvatro”, sulle coste rocciose dell Turchia. Come oggi. Un’altra carretta, “Patria”, era esplosa con 1.771 persone a brodo. La “Pentcho” si era incagliata su un’isola italiana con 500 imbarcati. La “Pacific”, con 1.062 profughi, e la “Milos” con 710, erano state costrette a proseguire il viaggio senza sbarcare in Palestina – allora amministrata dalla Gran Bretagna. Un’altra nave, con 500 profughi ebrei, “fu rimandata di porto in proto per quattro mesi”.