Stasera vorrei sentir gli odori, fedeli amici
di stagioni andate che in tempi nuovi li ritrovo appena
nella distratta esistenza mia, quasi la fretta li portasse via.
S’alzava il sole nelle vecchie masserie del bel Salento
e l’acre odor della fatica seguiva fino a sera
i percorsi tortuosi di scirocco o d’altro vento.
All’alba già l’odor del latte fresco
che si fondeva nell’etere all’umido lezzo del letame
dava il buongiorno agli uomini e al bestiame.
E poi nei giorni caldi e lunghi dell’estate l’effluvio del sudore sulla pelle
svaniva confuso tra i profumi di basilico e pomodoro fresco,
cotto, passato e conservato con cura e amore
per il freddo inverno con le sue porte chiuse e il suo rigore.
E quell’ aroma a porte aperte si diffondeva intorno a chiacchiere bonarie
e vivaci complicità tra le comari convinte e mai dubbiose
sul sale al punto giusto nella salsa e sulla sua inconfondibile bontà.
L’estate era anche il tempo del tabacco
e giocare a nascondino tra i filari
era come spezzare la corda dura che all’alba ti tirava giù dal letto.
E quelle foglie verdi ad una ad una
infilate come preziose perle da seccare al sole
col loro odore a volte accattivante…sapevano d’Oriente o d’altri mondi,
ma quando mio nonno arrotolava attento una cartina
e piano sminuzzava foglie secche di xanti-jaca
e le batteva sul dorso della mano prima di mandarle tutte in fumo…
allora anch’io capivo che anche quello
che volava via era un odore della terra mia.
E poi settembre arrivava lento tra essenze agreste e umide
di botti e di palmento, ma era del mosto
l’odore più attraente che parlava già di sé,
del vino buono maturo per novembre.
E San Martino arrivava un giorno coi calici pieni e traboccanti:
qualcuno tra i festanti si ubriacava e ancor si ubriaca, oggi come allora,
per dimenticare o forse soltanto per sentire,
almeno una volta nella vita, l’ebbrezza magica di un’incoscienza antica.
È questo il gioviale profumo di novembre
e mi soffermo poco su quello triste di ceri, fiori e nenie che pure infondono
di stagioni andate mesti ricordi e tenera memoria.
Ma questa ora è tutta un’altra storia!
Ed ecco l’inverno e le sue gemme nere nei frantoi
ed il fragrante olezzo che dall’unto torchio scivola in goccia miracolosamente,
prezioso come l’oro, come questa gente, la sua terra, il suo lavoro.
Son vari i profumi che memoria offre
ad un presente stanco ed odoroso solo di ossido di carbonio e di Chanel…
Ma se ancora ci è concesso, (e siamo ancora in tempo!)
senza inutili rimpianti e vano malcontento,
siamo di buon olfatto e siamo in tanti:
rendiamo onore a Bacco, al suo “di…vin spirito”,
al profumo di unione e goliardia, e a chi, mutando
l’agro mosto in dolce vino, ha fatto certamente una magia!
Poesia candidata al Premio internazionale di poesia Piccapane