Gaia Conventi si reputa una blogger e si confessa una giallista. Ha scritto e pubblicato ma detesta sbandierare titoli, per quello c’è Google.
Gestisce Giramenti, blog di satira letteraria, un angolino di web apprezzato dai cattivi soggetti e detestato dall’acquario editoriale. A conti fatti, un piccolo successo.
L'opinione di Gaia.Inchiostro bianco m’invita a partecipare a questo progetto e, lo ammetto, mai proposta fu rivolta a persona meno idonea. Perché sì, lo confesso, non vado al cinema. Non ci vado perché il buio – come quando si forza la gallina a mettere la testa sotto l’ala – mi fa dormire. All’istante. Ho tentato d’andare nelle sale parrocchiali, contando sulla scomodità delle sedie in legno. Non ci crederete: ho dormito anche in quelle occasioni; sono riuscita a russare un intero Salvatores, attirandomi le critiche delle ultime file. Insomma, non c’è speranza. Sono destinata a essere uno spettatore comatoso.
Sono quindi costretta a rivelarvi che non guardo film italiani, gli attori italici sono credibili quanto un predicatore di pentole. Non mi lascio tentare dai drammoni e, se si piange, lascio piangere altri spettatori.
Peccato, perché la du Maurier ha scritto anche un romanzo splendido – La casa sull’estuario – e l’unica pellicola che ci assomiglia è Timeline di Richard Donner, ma ricalca il lavoro di Michael Crichton. Romanzo di molte pagine e molte pretese, il film è roba da ragazzini brufolosi e coetanee di rosa vestite. Se Donner avesse usato La casa sull’estuario, si sarebbe ritrovato con un Dottor Jekyl e mister Hyde di tutto rispetto, con salti temporali e attori in costume.
E poi ci sono quei libri scritti per diventare film, la pellicola è la loro naturale conseguenza. Quelli di Elmore Leonard, di Le Carrè, Stephen King. Con esiti più o meno felici, ma sicuramente adatti a essere rimaneggiati e recitati. A questo punto risulta sconvolgente che nessun regista abbia ancora deciso di prendere la saga di Hap & Leonard per farne i nuovi Arma Letale. Questi romanzi di Lansdale hanno ritmo, dialoghi fulminanti e ambientazione yankee, tutte cose che al cinema farebbero faville. E agli americani gli attori “spara e fotti” non mancano di certo.
Lo stesso è accaduto con La cruna dell’ago, tratto dal libro omonimo di Ken Follett. Non siate dispiaciuti d’apprendere che il film di Richard Marquand del 1981 risulta migliore del romanzo. Ho sempre avuto l’impressione che Follett volesse farsi apprezzare da una vasta gamma di lettori e, per questo, adottasse una scrittura piuttosto facilitata. Magari ha ragione lui, ma i suoi romanzi risultano scritti in maniera elementare. Scivolano via alla svelta.
Se poi volete sapere quanto un attore influenzi la mia personale visione di un personaggio letterario, vi svelerò che, leggendo Il piantagrane di Marco Presta e seppur io non segua il calcio, ho dato al bizzoso personaggio di Granchio la faccia di Gattuso. E spero di non aver fatto un torto a nessuno.