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Marco Stabile Marco è laureato in fisica e ama leggere e scrivere. Sfoga entrambe le passioni sul suo blog, con lo pseudonimo Salomon Xeno, dove potrete trovare articoli su letteratura, scrittura, scienza, musica, ma anche storie e racconti, principalmente di genere fantastico. Vi lascio l'indirizzo alla sua pagina di Goodreads e a quella di Facebook dedicata al suo blog.
L'opinione di Marco Stabile
Quando esco dal cinema, rigorosamente alla fine dei titoli di coda, resto in silenzio. Non sono uno che si lamenta, o sa rispondere sul momento alla fatidica domanda: "Ti è piaciuto?" Ho bisogno di elaborare ciò che è visto, prima di esprimere un giudizio - salo quando la pellicola non ha pretese. Solitamente, invece, quello è il momento in cui gli altri si lanciano nelle critiche, che nel caso di film tratti da libri solitamente sono circoscritte alla scelta degli attori e ai tagli alla trama.
Io non sono uno che si immagina i personaggi, almeno non con il livello di dettaglio di alcuni miei amici. È difficile che dica: "Tizio lo immaginavo diverso." Sono anche piuttosto tollerante rispetto ai tagli. Molto spesso accade che due o più personaggi vengano accorpati, o che alcuni episodi siano taciuti o semplificati. Non è molto diverso da quello che accade da un romanzo storico, biografico o ispirato a fatti di cronaca. Le scelte di sceneggiatura devono essere efficaci, nel minor tempo a disposizione. Cinema e narrativa parlano due lingue diverse.
Esistono tuttavia tentativi di avvicinare questi due linguaggi. In generale, la narrativa contemporanea è molto attenta a "mostrare" attraverso i sensi dei personaggi, piuttosto che raccontare gli eventi. Credo che questo approccio, che alcuni considerano una vera e propria regola, discenda dalla diffusione del cinema. Alcuni scrittori optano manifestamente per un approccio "cinematico" alle scene, lavorando molto sulla scenografia e sul ritmo. È il caso di Joe Abercrombie e dei suoi romanzi fantasy. Altri scrittori intervengono sul bilanciamento fra dialoghi e descrizioni, sempre nel rispetto del mostrato di cui parlavamo. Porto l'esempio dell'italiano Riccardo Coltri, autore sempre fantasy ma con tinte horror, la cui attitudine cinematica traspare anche dal modo in cui sono strutturate le scene.
Più frequente forse è lo sforzo contrario. Trasporre un'opera letteraria su pellicola è un'operazione che viene fatta sempre più di frequente, in questo momento in cui in certi generi (penso sempre al fantastico) sembra che l'industria punti più spesso sull'usato sicuro che sulle idee nuove.
Due esempi di un buon risultato sono, a mio modesto parere, la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson e Blade Runner di Ridley Scott. Nel primo caso, c'è stato un sapiente lavoro di ritaglio, necessario a comprimere le vicende nelle nove ore di pellicola proiettata nelle sale. Il primo dei tre film, La Compagnia dell'Anello, è vicino al mio ideale per una trasposizione sul grande schermo dell'opera di Tolkien, senza alcuni eccessi o errori degli altri due. Ci sono alcuni cambiamenti di un certo rilievo, quali la rimozione di Tom Bombadil (per chi ne sente la mancanza) e il ringiovanimento miracoloso di Frodo, non più cinquantenne. Di contro, il regista ha iniettato tutta la sua precedente esperienza nel genere horror. L'oscurità che pervade i Nazghul, gli orchetti e tutto il regno di Sauron è cupa e violenta, e non sarebbe stata altrettanto marcata nelle mani di un altro regista. Questo aspetto, insime più all'epicità delle scene di battaglia e agli splendidi panorami neozelandesi, hanno reso questo film particolare e riconoscibile.
L'essere riconoscibile è molto più importante di quella che comunemente è chiamata fedeltà all'originale. L'altro esempio, Blade Runner, mi permette di spiegare meglio. Perché il film c'entra pochissimo con il libro di Philip K. Dick da cui è tratto. Qui non si tratta di personaggi mancanti o filoni di trama troncati senza pietà. L'opera di Scott va a toccare quelli che sono i temi del romanzo, a tal punto che credo si possa considerare il film una delle trasposizioni meno fedeli. Eppure il film è ricordato come uno dei capolavori del genere e lo stesso Dick, che ebbe modo di vederne una quarantina di minuti, rimase colpito dalla presenza di Ford/Deckard e dalla resa di alcune scene. Certo non poteva prevedere che il monologo finale del replicante sarebbe diventato una delle frasi più fortunate della storia del cinema.
Ecco, questo per me è importante. Avere il coraggio di allontanarsi dal tracciato quel tanto che basta da rendere l'opera unica, sufficientemente diverso rispetto all'originale e riconoscibile, in modo da giustificarne la realizzazione. Paradossalmente, ciò si può dire per molti dei film tratti dalle opere di Dick, di cui Blade Runner è il più noto. Differenziarsi però non è tutto. Non sono rimasto altrettanto soddisfatto della nuova trilogia di Peter Jackson, tratta da Lo Hobbit, che cancella parte del lavoro svolto in precedenza. Ma di questo ho parlato fin troppo a suo tempo sul blog, dove gli interessati possono trovare le mie osservazioni. Se Lo Hobbit era sulla carta un'ottimo candidato per la trasposizione, per come la storia si sviluppava, vedo il risultato come la dimostrazione che non basta un soggetto promettente per fare un gran film.
Concludo facendo notare che ho tralasciato due casi, che non conosco bene: quello delle novelization, ovvero la trasposizione di film in forma scritta, e dell'influenza della narrativa sul cinema. Su questi due casi sarei felice di leggere (o ascoltare) l'opinione di chi ha qualcosa da dire. Grazie per l'attenzione.
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