La Programmazione dei fondi europei 2014-2020 potrebbe costituire un’occasione per trasformare il bisogno di ruralità, che sempre più si va diffondendo nelle odierne società, in economia civile capace di rigenerare le città e i territori rurali.
Le diverse politiche mirano tutte al raggiungimento di 11 obiettivi tematici che discendono direttamente dalle grandi priorità strategiche di “Europa 2020” per lo sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo.
Gli obiettivi tematici che mi sembrano più significativi per il nostro Paese sono i seguenti: competitività dei sistemi produttivi; tutela dell’ambiente e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali; occupazione; inclusione sociale e lotta alla povertà.
Quest’ultimo obiettivo compare per la prima volta nelle politiche strutturali europee, la Commissione ha proposto agli Stati membri di allocare per esso almeno il 20% del Fondo Sociale Europeo.
Rispetto al ciclo precedente di programmazione, le novità sono rilevanti non solo per quanto riguarda gli obiettivi delle politiche ma anche per quel che concerne l’architettura.
Una delle principali novità è il ripristino di un quadro comune di programmazione, che includa anche lo sviluppo rurale e la pesca. Non avremo più due documenti nazionali di programmazione distinti (uno per le politiche regionali e sociali e uno per lo sviluppo rurale) ma uno solo, denominato “Accordo di Partenariato” che farà da cornice metodologica e strategica ai programmi regionali operativi dei diversi fondi (da redigere congiuntamente al documento unico nazionale).
Dell’Accordo di Partenariato esiste già una bozza di proposta che dovrà essere esaminata dalla Conferenza Unificata e approvata dal CIPE per poi essere negoziata con la Commissione.
Nella bozza si individuano tre opzioni strategiche:
- Città;
- Aree interne;
- Mezzogiorno.
Sulle strategie per il Mezzogiorno non c’è ancora nulla.
Per le Città, le prime riflessioni che circolano ignorano completamente l’agricoltura urbana, periurbana e metropolitana come una specificità rilevante della sostenibilità sociale e ambientale. Senza una chiara scelta in questa direzione qualsiasi iniziativa contro il consumo di suolo avrà solo un carattere propagandistico. Considerando l’agricoltura una funzione urbana, si potranno effettivamente integrare le diverse politiche per le città e gli strumenti di pianificazione, compresi quelli urbanistici. Se le campagne urbane non saranno pianificate per insediarvi agriturismi, fattorie sociali, fattorie didattiche, reti di orti sociali, insomma tutto quel terziario agricolo che serve mettere al servizio delle aree urbanizzate, esse resteranno aree di riserva che prima o poi (se la popolazione dovesse crescere) saranno cementificate. Per preservarle e custodirle, le campagne urbane vanno riempite di attività, vissute, fruite, presidiate con opere che servino alle comunità locali e che le comunità locali reputino utili per tutti.
Sulle strategie per le Aree interne si propone di lanciare una serie di progetti pilota sui territori, che includano interventi destinati sia alle potenzialità produttive di queste aree (tra le quali anche l’agricoltura), sia ad una serie di fattori di base dello sviluppo (scuola, welfare, accessibilità e telecomunicazioni). Inoltre, si ipotizza la possibilità di federare i progetti. In questo modo si potrebbero adottare requisiti più stringenti avvalendosi di una piattaforma di conoscenze e competenze (intesa non come piattaforma di assistenza tecnica ma di confronto). Nell’ambito dell’opzione “Aree interne” ci dovrebbe essere anche il sotto-programma “Montagna”.
Ci vorrebbe una strategia forte che metta insieme le azioni per favorire l’occupazione dei giovani con quelle per l’integrazione degli immigrati. Se le aree interne (montagna e collina) non torneranno ad essere abitate ricostituendo le comunità, si accentueranno i fenomeni di dissesto idrogeologico e la montagna e la collina saranno destinate a cadere a valle.
Nella bozza di proposta di Accordo di Partenariato non c’è ancora alcun riferimento al nuovo approccio Leader. Eppure, la stessa Commissione ci ha raccomandato (con il Position Paper di dicembre 2012) di incrementare i fondi per l’utilizzo di questi strumenti e di adottare progetti di sviluppo locale che attingano ai diversi fondi. Si tratta di pensare a strumenti per la progettazione integrata territoriale che possano sostituire le modalità tradizionali d’intervento che si sono finora rivelate del tutto inefficaci.
Per quanto riguarda le prime indicazioni riferite alle azioni dei singoli obiettivi tematici, è sicuramente un fatto positivo che l’agricoltura sociale compaia tra le azioni volte a rafforzare l’economia sociale mediante l’occupazione di giovani e di soggetti in condizioni di disagio. Ma l’agricoltura sociale costituisce un’opportunità per modificare i modelli competitivi dei sistemi produttivi. Si tratta di creare sistemi locali che vedano il co-protagonismo di più soggetti pubblici e privati, mediante anche forme nuove di aggregazione tra le aziende per la valorizzazione e commercializzazione di prodotti etici in collegamento con l’emergere di nuovi stili di consumo (GAS, comunità di cibo, ecc.).
C’è, dunque, bisogno di coordinare le azioni dell’obiettivo “Inclusione sociale e lotta alla povertà” con quello “Competitività dei sistemi produttivi”, con quello “Occupazione” e con quello “Tutela dell’ambiente e valorizzazione delle risorse culturali e ambientali”.
Nella bozza di proposta di “Accordo di Partenariato” è opportunamente sottolineata la valorizzazione del paesaggio rurale come elemento da integrare con le filiere dei prodotti tipici e con il turismo. Andrebbe aggiunta anche la memoria della cultura rurale (comprese le forme di Welfare produttivo ante litteram come le regole comunitarie solidali) da recuperare anche al fine di rafforzare le identità territoriali e il retroterra storico-culturale dell’economia solidale.
Per quanto riguarda l’obiettivo “Occupazione” fa riferimento al ricambio generazionale in agricoltura e alla creazione di nuove imprese ma manca qualsiasi riferimento alla possibilità di utilizzare i terreni pubblici. Eppure, siamo in un momento particolarmente felice per affrontare in modo concreto e risolutivo questo annoso problema. Lo Stato, le Regioni e gli enti locali sono obbligati da una norma costituzionale a conseguire il pareggio di bilancio e una delle modalità per abbattere il debito pubblico è l’alienazione e valorizzazione del patrimonio pubblico. Si tratta di un’occasione irripetibile per riorientare finalmente tale patrimonio verso forme moderne ed efficienti di proprietà collettiva che nel corso dell’Ottocento furono ritenute marginali e soppresse con le leggi napoleoniche e con quelle dei governi liberali.
In sostanza, i terreni agricoli di proprietà pubblica andrebbero venduti in blocco, ai valori di mercato, a una società appositamente costituita, che li paga finanziandosi sul mercato dei capitali, attraverso l’emissione di titoli garantiti dal valore del patrimonio acquisito. Tale società dovrebbe essere controllata dai soggetti del Terzo settore e dell’economia sociale e aperta alla partecipazione popolare mediante forme di azionariato diffuso. Si creerebbe così un soggetto collettivo che subentrerebbe alla proprietà pubblica e garantirebbe l’inserimento nello statuto dell’impresa di tre vincoli essenziali: la tutela dei beni ambientali, il mantenimento della destinazione d’uso per i beni agricoli e l’inalienabilità.
E’ attraverso forme partecipate di effettiva responsabilizzazione dei cittadini che i beni comuni agricoli, una volta restituiti alle popolazioni, potranno essere preservati e finalizzati al benessere sociale. E una volta innescato tale processo in una porzione importante di territorio, si potrà conseguire nel tempo un’analoga finalizzazione per l’insieme del paesaggio agrario, compreso quello di proprietà privata.
Sono idee forse troppo ambiziose. Ma se non alziamo il tiro nel confronto con il governo e con le Regioni, ancora una volta si predisporrà in modo burocratico e farraginoso una programmazione dei fondi europei che non lascerà tracce di sviluppo nei territori.
