Prometeo: il Coraggio contro l’Intolleranza del Potere

Creato il 31 maggio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il maggio 31, 2012 | TEATRO | Autore: Anna Maria Cantarella

In un remoto paesaggio della Scizia, Kratos e Bia, Potere e Violenza, i servi di Zeus, incatenano Prometeo ad una roccia con l’aiuto di Efesto. Si scatena così la violenza del padre degli dei, che punisce il titano per aver donato agli uomini il fuoco, indispensabile al loro progresso. Sulla scena domina Prometeo, ancorato alla roccia del suo supplizio ma fiero del suo atto di ribellione. «Fu mia, quella scelta». Non il fato, non il destino incontrovertibile e arbitrario ha condotto Prometeo su quella roccia, ma la sua ribellione, l’espressione della volontà libera di chi conosce il suo futuro – Prometeo vuol dire letteralmente “presago” – e non vuole sottrarsi alla sofferenza piegandosi fino a rinunciare alla dignità. «Io sapevo questo, tutto questo» ribadisce Prometeo, riaffermando il proposito di non rivelare a Zeus un’informazione sul suo futuro: lui sa chi potrebbe spodestarlo dal suo trono e rivelandolo, potrebbe ottenere la liberazione dal supplizio al quale è stato costretto. Prometeo di Eschilo è la tragedia di chi si ribella all’autorità inflessibile e si sobbarca il peso colossale della libertà, in lui prende vita la formulazione del conflitto tra conoscenza e fato, tra agire e soffrire, tra libertà e costrizione. La libertà ha un peso, e per Prometeo il peso è schiacciante e la responsabilità grava unicamente su di lui che ha deciso di regalare il fuoco agli uomini, che prima erano «indifesi e muti come infanti», che «avevano occhi e non vedevano».

Dopo la volontà di Prometeo, la sua consapevolezza: è cosciente nel senso più etimologico del termine, fin nel profondo, e da questa coscienza viene generato il contrasto tragico, insanabile perché agito fra l’inflessibile volontà del titano di non sottostare ad alcuna prepotenza, e l’altrettanto inflessibile volontà di Zeus di reprimere la ribellione, ovunque essa si annidi. Il vero potere non è sulle cose ma sugli uomini. Per sottomettere un ribelle bisogna farlo soffrire, costringerlo al dolore e alla mortificazione, e così fa Zeus, descritto da Eschilo per la prima volta come malvagio dittatore. Prometeo è protagonista di un lungo monologo, solo a tratti interrotto dall’intervento di altri personaggi sulla scena: le Oceanine, il loro padre Oceano e la sacerdotessa Io trasformata in giovenca sono spettatori della sua punizione e cercano di convincerlo a rinunciare al suo amor proprio quasi al limite della hybris. Il pàthos che avvolge le sue parole stringe nella stessa spirale anche gli spettatori che ascoltano, in una stretta che non si allenta nemmeno quando il sipario cala sulla sua rovinosa caduta negli abissi, e nonostante il testo della tragedia sia per sua natura statico, vincolato alla personalità totalizzante di Prometeo e quasi del tutto privo di momenti acuti di tensione.

Il tema prevalente della messa in scena del Teatro Greco di Siracusa, come emerge anche dalle parole del regista Claudio Longhi, sembra essere lo sguardo. C’è lo sguardo di Prometeo che vede il futuro, e lo sguardo di Zeus, non padre comprensivo, ma tiranno autoritario che dall’alto osserva, desidera e ascolta. Lo sguardo di Zeus si è posato su Prometeo e l’ha punito; si è posato su Io e l’ha trasformata in una donna-giovenca. C’è infine lo sguardo delle Oceanine, commosso e pietoso, velato dalle lacrime per quella che considerano una punizione esagerata e per questo meritevole di compassione. Fortemente evocativi i movimenti scenici, la gestualità e le posture di Massimo Popolizio, che nella sua interpretazione di Prometeo ricorda un martire antico, quasi un Cristo crocifisso ad una moderna gabbia di ferro, che è la roccia della punizione che ha meritato per un gesto d’empatia, per un’elargizione di cui già conosceva le terribili conseguenze. Intenso anche l’allestimento coreutico della compagnia di danza Martha Graham, che disegna uno stuolo di Oceanine afflitte ma determinate che con il loro canto assecondano la sofferenza del titano.

E basta solo una piccola riflessione per comprendere che forse è la solitudine, l’immobilità, l’anelito alla libertà, quello che più rende Prometeo l’eroe nel quale possiamo identificarci. Il titano è l’eroe dei sottoposti, il paladino degli indifesi, impavido e al tempo stesso pericoloso perché appartenente alla stirpe degli dei; in lui si fa vivo l’eterno contrasto tra il potere che vuole esercitare un dominio coercitivo e la determinazione dell’uomo che vuole mantenere intatta la sua dignità. Ecco perché la rappresentazione di “Prometeo” di Eschilo è così moderna. La sua cifra interpretativa più profonda può essere rintracciata nella sensazione di instabilità, nell’incertezza per un futuro di cui si conoscono alla perfezione le sofferenze, o di cui si sconoscono i dettagli che potrebbero scongiurare la rovina. Prometeo è un martire, moderno nella sua incapacità di accettare imposizioni dall’alto e sempre pronto a sfidare l’autorità; il suo «Io non mi piegherò» è il simbolo, oggi più che mai, di un’umanità che mal sopporta il potere cieco e dispotico e cerca il coraggio per rifiutare la conciliazione, che sarebbe la via d’uscita più facile ma la meno dignitosa.

Fotografie di Luca Coppola

XLVIII Ciclo di Rappresentazioni Classiche

Teatro Greco di Siracusa

11 maggio / 30 giugno 2012

Prometeo

di Eschilo

Traduzione: Guido Pagano

Regia: Claudio Longhi

con Michele Dell’Utri (Violenza), Gaetano Bruno (Efesto), Massimo Nicolini (Potere), Massimo Popolizio (Prometeo), Daniela Giovanetti (Corifea), Mauro Avogadro (Oceano), Gaia Aprea (Io), Jacopo Venturiero (Hermes)

Istituto Nazionale del Dramma Antico – Fondazione onlus

www.indafondazione.org



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