Prometheus rappresenta il ritorno alla fantascienza di Ridley Scott, regista che con Alien, ‘79, e Blade Runner, ‘82 era riuscito a conferire al genere inedita forza visiva e contenutistica, facendo sì che dal nostro inconscio scaturissero le paure più ancestrali: concepito originariamente come un prequel del citato Alien, il film ha poi preso, proprio per volere del suo autore, strade ben diverse, pur mantenendo evidenti punti di contatto con l’opera originaria.
Dopo un prologo iniziale molto bello, simboleggiante la nascita di una nuova forma di vita là ove vi siano le condizioni necessarie perché ciò avvenga, la scena si sposta in Scozia, nel 2089, quando gli archeologi Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) e Charlie Holloway (Logan Marshall-Green), nel corso di una esplorazione all’interno di una grotta individuano, dipinta sulle pareti, una sorta di mappa stellare, interpretata come un invito da parte di probabili creatori del genere umano (“gli ingegneri”) a raggiungerli sul loro pianeta, Luna V-223. Finanziata dal miliardario Peter Weyland (Guy Pearce) inizia così, quattro anni più tardi, la spedizione dell’astronave scientifica Prometheus, guidata dall’androide David (Michael Fassbender), mentre il variegato equipaggio, ibernato, è ai comandi di Meredith Vickers (Charlize Theron)…
Noomi Rapace e Logan Marshall-Green
L’indiscussa abilità di Scott, il suo affascinante prodigarsi nei campi lunghi, la sapienza nel “riempire” la scena e nello scatenare tensione e raccapriccio, miscelando sci-fi e horror (la scena del parto cesareo e conseguente nascita della “creatura”, girata in semi-soggettiva), con richiami, tanto nell’uso dell’effettistica che nella scenografia (Arthur Max), ad una fantascienza d’impianto classico (pur in presenza del 3d, qui funzionalmente avvolgente e “partecipativo”) riescono a compensare solo in parte la debolezza della sceneggiatura, opera di Jon Spaiths e Damon Lindelof.Charlize Theron
Più che vuoti ed incongruenze infastidiscono al riguardo una scarsa attenzione verso la psicologia dei personaggi (tra la mancanza di nerbo della Rapace e la sin troppo algida Theron a prevalere è il fascino ambiguo di Fassbender, perfettamente robotico), cui viene concesso a turno, “bignamizzato”, un proprio spazio espressivo, e, soprattutto, il fritto misto costituito da disquisizioni misticheggianti e filosofeggianti, in odor di scontro tra creazionismo ed evoluzionismo, che sanno di precotto ( e predigerito), un “vorrei ma non posso” con un occhio all’efficace sincretismo espresso in tale ambito da Stanley Kubrik in 2001 Odissea nello spazio, ‘69, ( tratto dal racconto La sentinella, Arthur C. Clarke).Michael Fassbender
Le tante domande che rimangono senza risposta, la stessa affermazione nel finale da parte di Shaw (“Non voglio tornare indietro da dove sono venuta, voglio andare dove sono venuti loro”) obbediscono ad una logica serializzante di chiara matrice televisiva (infatti un sequel è già sulla rampa di lancio): come Prometeo, semplificando, aveva sfidato gli dei rubando il fuoco per offrirlo all’umanità, così Scott ha tentato di sopraffare gli ormai imperanti diktat hollywoodiani, però la fiamma donata agli spettatori non riesce a scaldare gli animi, tutt’al più ad offrire un lieve tepore, dall’altrettanto lieve durata.